SRI LANKA: LA TRAGEDIA DEI CIVILI TRA OPPOSTI ESTREMISMI

di Mario Braconi
da www.altrenotizie.org

In queste ore l’esercito dello Sri Lanka annuncia la vittoria definitiva sulle Tigri per la Liberazione della Patria Tamil Eelam (LTTE), l’organizzazione secessionista del Nord del Paese, dal 1983 in guerra contro il governo centrale. Secondo le cronache locali, il Presidente dello Sri Lanka Rajapakse, al suo ritorno dalla Giordania, è stato accolto “come un eroe” nell’aeroporto stipato di membri del suo governo e religiosi benedicenti (sic!) appartenenti alle varie confessioni praticate nell’isola (buddisti, cristiani, induisti e musulmani). Venerdì, nel suo intervento al G11 (meeting tra le nazioni in via di sviluppo) Rajapakse aveva dichiarato: “Il mio governo, con il totale supporto delle forze armate, ha schiacciato una volta per tutte il LTTE, in un’operazione umanitaria senza precedenti.” Si noti come anche alle latitudini più impensabili sia diventato di uso corrente l’ossimoro tanto caro agli interventisti occidentali (la famosa “guerra umanitaria”).

Che lo Sri Lanka abbia fatto una scelta di campo, optando per l’attivismo militare “made in USA” anziché per l’atteggiamento dialogante proposto dalle potenze europee, si era capito: a fine aprile una delegazione anglo-francese di peso – i Ministri degli Esteri britannico David Miliband e francese Bernard Kouchner – all’omologo svedese, Carl Bildt, Colombo ha rifiutato il visto – che chiedeva la negoziazione di una tregua tra Governo e LTTE per scongiurare un ulteriore aumento delle vittime civili del conflitto, si è vista sbattere la porta in faccia senza tanti complimenti: “Non accettiamo lezioni dai rappresentanti occidentali”, questo il laconico commento del Presidente.

D’altra parte il governo dello Sri Lanka è poco incline a scontentare gli Americani il cui pensiero in materia di guerra civile è riassunto dal comunicato dell’ambasciatore USA datato 9 gennaio 2009: dopo i complimenti al governo per la presa di Kilinochchi da parte del SLA, che “rappresenta un punto importante nella guerra che da 25 anni ha diviso lo Sri Lanka”, la nota precisa che gli USA sono contrari ai negoziati con le Tigri Tamil: “Gli Stati Uniti non caldeggiano i negoziati tra il Governo dello Sri Lanka e il LTTE, fin dal 1997 incluso nella lista nera americana delle organizzazioni terroriste”.

Per comprendere il peso dell’influenza americana nella politica del governo dello Sri Lanka, può essere utile rileggere un passaggio del discorso pronunciato alla Camera di Commercio Americana di Colombo, il 9 gennaio 2006, da Jeffrey J. Lunstead, allora ambasciatore USA: “Attraverso la formazione e i programmi di assistenza militari, di anti-terrorismo e il blocco delle transazioni finanziarie illegali, ci stiamo adoperando per aiutare il governo dello Sri Lanka a proteggere il suo popolo ed a difendere i suoi interessi. Sia ben chiaro, se forniamo questo tipo di supporto militare non è perché immaginiamo, o addirittura speriamo, che vi sia un ritorno alle ostilità. Noi vogliamo la pace. Ci sforziamo per ottenere la pace. E siamo dalla parte di tutte le persone dello Sri Lanka che desiderano la pace. Ma se il LTTE abbandona il processo di pace, sia chiaro, si troverà di fronte un esercito dello Sri Lanka più efficiente e più determinato. Desideriamo che il costo del ritorno alla guerra sia elevato”. Quest’ultima frase è sicuramente vera, peccato che non specifichi sulla pelle di chi si intenda scaricare il costo dell’escalation militare che oggi stiamo vedendo.

Il disturbo dello zio Sam è stato però ampiamente ripagato con la firma di un “Acquisition and Cross-Servicing Agreement” (ACSA) tra gli USA e lo Sri Lanka, chiuso il 7 marzo 2007 da Gothabaya Rajapaksa, Segretario alla Difesa di Colombo e Robert Blake, ambasciatore degli Stati Uniti: l’accordo consente alle truppe americane di sfruttare strutture logistiche militari sul territorio dello Sri Lanka. Per inciso, vale la pena notare come il comunicato emesso dell’ambasciata USA per l’occasione sia un piccolo capolavoro di ipocrisia diplomatica: “Ad esempio, se l’esercito dello Sri Lanka avesse mandato delle truppe in aiuto al Pakistan dopo il terremoto, e avesse avuto bisogno di cappotti per i suoi soldati, grazie all’ACSA, gli Stati Uniti avrebbero potuto fornirglieli in cambio di carburante ed alimentari da consegnarsi ad una nave militare USA che faccia scalo a Colombo.” E noi, malevoli, a pensare che si trattasse solo di geopolitica… qui si parla di solidarietà.

E’ possibile che, come sostiene il Presidente Rajapakse, l’esercito dello Sri Lanka stia avendo la meglio sulle milizie indipendentiste; eppure c’è poco da esaltarsi. Prima di tutto, la “vittoria” ha lasciato una terribile scia di sangue innocente: secondo la bozza di un rapporto delle Nazioni Unite, dalla fine di gennaio 6.432 civili sarebbero stati uccisi e 13.946 feriti: schiacciati tra il fuoco incrociato della follia fanatica ed omicida di un gruppo terrorista e gli eccessi criminali di un esercito che eufemisticamente si può descrivere come poco attento ai cosiddetti “danni collaterali”.

Inoltre, si teme che il LTTE, messo alle strette, ricorra di nuovo alle tecniche terroristiche nelle quali in passato è stato sempre un “primo della classe”: infatti, il LTTE ha commesso più attacchi suicidi di Hamas ed Hezbollah messi insieme; si dice abbia “brevettato” la cintura esplosiva, poi divenuta un must per i terroristi islamici (ma tra i Tamil vi sono anche induisti e cristiani); ha spesso fatto ricorso a “donne bomba”, un fenomeno che oggi viene descritto come una novità; ha assassinato il Primo Ministro indiano Rajiv Gandhi (1991) e quasi ammazzato il Presidente dello Sri Lanka Kumaratanga (1999); ha un’unità suicida marina che aveva all’attivo ben 40 “operazioni” prima del clamoroso attacco alla portaerei USA “Cole” nel porto di Aden, nell’ottobre del 2000; ha usato bombe alla clorina, considerate a tutti gli effetti delle armi di distruzione di massa, mentre è di ieri la notizia, non confermata, secondo cui i ribelli avrebbero impiegato ordigni al fosforo bianco (un classico, attualmente sempre più di moda anche tra gli eserciti regolari). Il LTTE è inoltre stato posto sotto scrutinio dalle organizzazioni per i diritti umani per l’arruolamento di bambini soldato.

Tra i miti sorti attorno ai militanti del LTTE, c’è quello secondo cui ogni membro della milizia porti con sé una pastiglia di cianuro da assumere per scongiurare l’eventualità di essere catturati vivi dai nemici: se è vero (ed è tutto da verificare) che i “grandi capi” della guerriglia useranno questa eclatante “uscita di sicurezza”, con chi si potrà negoziare una eventuale futura pace? Chi potrà controllare le ali armate più pericolose della guerriglia quando i dirigenti saranno morti suicidi (o più probabilmente riparati all’estero)?

Nel bel mezzo di questa guerra civile, migliaia di innocenti: secondo le informazioni faticosamente messe insieme dai testimoni oculari (nell’area sono ammessi solo giornalisti “accompagnati” dall’esercito regolare o dalle Tigri Tamil), un numero indeterminato di civili, compreso tra i 30.000 e i 50.000, è rimasto intrappolato in una striscia di terra compresa tra il mare ed una ampia laguna, attualmente controllata dal LTTE, che di fatto li tiene in ostaggio, sparando loro addosso non appena provino ad uscire dall’area (almeno così raccontano fonti governative dello Sri Lanka, che parlano di un nastro registrato da un drone). Il New York Times riprende un documento di Human Rights Watch (HRW) nel quale, grazie al supporto di immagini satellitari, si registra che “né le truppe governative né le Tigri Tamil hanno dimostrato alcuno scrupolo nell’impiego di civili come carne da cannone”.

Le foto scattate dal satellite evidenziano decine di crateri, provocati da colpi di artiglieria pesante nella stessa area nella quale solo qualche ora prima era stata rileva
ta la presenza degli insediamenti temporanei di profughi. Il documento di HRW non riesce a determinare se la responsabilità degli attacchi sia da attribuirsi all’esercito o ai ribelli; tuttavia, per quanto essi potrebbero essere stati nascosti, da un’analisi preliminare non sembrerebbe che nella zona sotto controllo delle Tigri Tamil vi siano armi pesanti: sembrerebbe dunque confermato che l’esercito regolare continui ad accanirsi bombardando pesantemente zone ad alta densità umana.

Un episodio è indicativo dell’attenzione dell’esercito regolare di Colombo per l’incolumità dei civili: lo scorso lunedì alle 7 e mezzo del mattino un ospedale da campo allestito nella ex scuola elementare di Mullaivaikal Est è stato raggiunto da numerosi proiettili, che hanno provocato la morte di una cinquantina tra medici, infermieri e pazienti (sessanta i feriti). Secondo la testimonianza dei medici al lavoro nel campo, al momento dell’attacco si trovavano nella struttura un migliaio di malati in attesa di essere evacuati attraverso una nave del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR); sempre secondo testimoni oculari, i colpi provenivano da Iraddaivaikal, un’area controllata dallo Sri Lanka Army (SLA).

Con l’intensificarsi dei combattimenti nella cosiddetta “no-fire-zone” (così si chiama la striscia di terra falcidiata dal fuoco incrociato!) i medici dell’ultimo ospedale funzionante sono stati costretti ad abbandonarlo per mettersi in salvo: trincerati in un bunker, non riescono a raggiungere i feriti e i morti che ancora si trovano all’interno della struttura. Pierre Krahenbuhl, direttore Operazioni del CICR ha dichiarato: “I nostri operativi sono testimoni di una catastrofe umanitaria inimmaginabile, in queste condizioni nessuna organizzazione umanitaria può rendersi utile. La gente è abbandonata a se stessa”.

La situazione sanitaria è tale che il Ministro dello Sviluppo Internazionale britannico, Douglas Alexander, si è fatto sentire: “Sono inorridito dal fatto che la Croce Rossa non sia messa in condizioni di continuare le sue operazioni nel Nord dello Sri Lanka. Questa deplorevole situazione non può che attirare la condanna internazionale su entrambe le parti in conflitto. Semplicemente, non esiste giustificazione per tollerare un simile livello d’inutile sofferenza”. Eppure, per alleviare le sofferenze dei civili basterebbe che i belligeranti creassero corridoi umanitari per consentire loro di abbandonare la zona del conflitto, come proposto ad esempio da Human Rights Watch. Semplice e civile; ma pare che né allo SLA né alle Tigri interessi più di tanto salvare vite umane innocenti.