Un terremoto già visto

di Alessandro Bianchi
da www.aprileonline.info

Dopo il dolore per le vittime, dopo l’incredulità di fronte a tanta distruzione, è tempo di riflettere seriamente sul prima e il dopo il sisma in Abruzzo: il circo mediatico messo in piedi all’indomani 6 aprile con tanto di presenze televisive e proclami demagogici, ha finora impedito di affrontare in termini seri l’enorme questione del futuro della regione

Quello che abbiamo visto finora è un drammatico deja-vù, fatto di centinaia di vittime, di migliaia di feriti, di decine di migliaia di sfollati (terribile termine di guerra); di persone rifugiate in tende e alberghi; di case, scuole, ospedali, prefetture, edifici pubblici crollati o resi inagibili; di un patrimonio architettonico e artistico devastato; di sfilate di politici di passaggio che parlano di “tragica fatalità”, di grandi stanziamenti, di tempi brevi per la ricostruzione.

Lo avevamo già visto nel Belice (1968), in Friuli (1976), in Irpinia (1980), in Umbria (1997), in Molise (2002) e ogni volta si era detto: introdurremo norme più severe, faremo controlli più accurati, sosterremo le istituzioni preposte e, soprattutto, metteremo in sicurezza il patrimonio edilizio a partire dagli edifici pubblici. Poi il 6 aprile a L’Aquila – con un terremoto di energia non straordinaria – abbiamo visto collassare edifici in cemento armato costruiti pochi anni prima, abbiamo saputo di perizie tecniche con cui si chiedevano interventi di consolidamento abbandonate nei cassetti, abbiamo constatato l’inosservanza delle più elementari norme urbanistiche.

In realtà, l’unico aspetto positivo emerso in questa occasione è l’organizzazione della Protezione Civile. La prontezza e l’efficacia degli interventi di soccorso, se confrontati con quanto era avvenuto nelle precedenti occasioni, danno la misura di quanta strada sia stata fatta su questo terreno. Ma per il resto un drammatico deja-vù, dal quale dobbiamo partire per fissare alcuni punti sui quali si dovrebbe sviluppare da subito l’azione delle Istituzioni (del Parlamento, del Governo, delle Regioni, degli Enti Locali).

Punto primo: prevenire gli effetti

Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche il terremoto (a differenza di altri eventi naturali) non è prevedibile, non con la precisione che occorrerebbe per mettere in salvo le persone e le cose.
Dunque va fatto cadere ogni discorso sulla previsione del verificarsi di un terremoto e concentrare l’attenzione sulla prevenzione degli effetti di un terremoto, perché questa è l’unica strada da praticare, come da anni vanno dicendo due delle massime autorità in materia: Franco Barberi ed Enzo Boschi.
D’altronde il percorso da seguire è già ampiamente tracciato.

Il territorio nazionale è zonizzato, ossia suddiviso in zone a differente esposizione al rischio sismico, il che vuol dire che gli Amministratori di ciascuna Regione, Provincia e Comune sanno esattamente qual è la situazione del territorio che ricade sotto la loro competenza. Esiste già da molti anni un dettagliato elenco degli edifici pubblici con l’indicazione della vulnerabilità di ciascuno di essi, anche questo disponibile per i Presidenti di Regioni e Province e per i Sindaci.

Sono in vigore norme di legge che definiscono gli obblighi per le Autorità preposte e le procedure che devono seguire per garantire la sicurezza degli edifici e la salvaguardia delle persone.
Insomma esiste tutto quanto occorrente per praticare la strada della messa in sicurezza del territorio: dalle grandi città ai piccoli centri; dalle singole case ai grandi complessi; dagli edifici pubblici al patrimonio architettonico e artistico.

Punto secondo: rimuovere gli impedimenti

Allora perché nulla di simile viene fatto? Perché ci occupiamo di rischio sismico solo dopo l’ennesimo evento distruttivo? La risposta è duplice: una attiene ai comportamenti di chi ha la responsabilità in merito; l’altra è legata ai costi per la messa in sicurezza.

Per quanto riguarda il primo aspetto, è del tutto evidente che ci troviamo di fronte ad un coacervo di interessi, connivenze, corruzione, lassismo, omissioni, che coinvolge parti non residuali della pubblica amministrazione, degli operatori economici, degli imprenditori, del mondo professionale, di singole persone, che da luogo nel complesso a comportamenti criminogeni (che rendono possibili crimini). Non diversamente credo si possano definire comportamenti che ritardano l’applicazione di leggi, che danno vita ad urbanizzazioni di pura speculazione, che consentono edificazioni in spregio alle norme, che omettono controlli e sanzioni, che speculano sui disastri.

E’ un aspetto che riguarda direttamente la politica urbanistica, devastata da decenni di indifferenza pubblica, di irresponsabile deregulation e di acquiescenza ad un mercato edilizio in cui dominano interessi fondiari e immobiliari spregiudicatamente speculativi. E’ tempo che lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni facciano tornare l’urbanistica al servizio dell’interesse pubblico – e la sicurezza dei cittadini lo è in massimo grado – facendola prevalere sugli interessi privati quando sono in contrasto con quelli collettivi.

Punto terzo: varare un Progetto Sicurezza

Quanto al costo che comporterebbe la messa in sicurezza di tutto il territorio, non vi è dubbio che parliamo di somme ingenti. Diciamo che la stima più credibile di cui disponiamo parla di circa 200 miliardi di euro, ragion per cui la conclusione che da questo si trae abitualmente è che si tratta di un intervento irrealizzabile perché incompatibile con la capacità di spesa della Pubblica Amministrazione.
Ma si tratta di una conclusione inaccettabile per un verso e miope per un altro.

Inaccettabile, perchè non dovremmo nemmeno parlare di costi quando ci si riferisce alla vita delle persone. Quanto valgono le 300 vite spezzate dal terremoto in Abruzzo? E quanto quelle delle oltre 4000 vittime dei terremoti degli ultimi 40 anni? La risposta ad una simile domanda dovrebbe far cadere ogni altra considerazione.

Ma anche accettando di fare una valutazione puramente economica, è d’obbligo chiedersi: quanto costerà la ricostruzione in Abruzzo? E quanto sono costate le ricostruzioni delle zone colpite solo negli ultimi quaranta anni, dal Belice al Molise? Una cifra esatta è impossibile da sapere, ma 50 miliardi di euro è un ordine di grandezza credibile e per la ricostruzione in Abruzzo si tratta comunque di decine di miliardi.

Dunque accettiamo di spendere dopo e d’improvviso somme analoghe a quelle che potremmo programmare prima e diluire nel tempo, un tempo che possiamo stimare nel ordine di venti anni il che porterebbe il costo a circa 10 miliardi di euro l’anno, ossia una cifra certamente non impensabile.

Se poi si considera che si tratta non di elargire somme a fondo perduto, bensì di finanziare un enorme investimento produttivo che rilancerebbe il settore delle costruzioni e quelli connessi e creerebbe una forte occupazione, si deve concludere che l’avvio di un “Progetto Sicurezza” non solo è compatibile in termini di bilancio ma è una delle più efficaci e sollecite azioni che si possono intraprendere per il rilancio dell’economia del Paese.

Punto quarto: il futuro dell’Abruzzo

Il circo mediatico messo in piedi all’indomani 6 aprile con tanto di presenze televisive e proclami demagogici, ha finora impedito di affrontare in termini seri l’enorme questione del futuro dell’Abruzzo dopo il terremoto. L’aspetto che viene del tutto trascurato è che il terremoto non solo ha causato vittime e distruzioni materiali, ma ha messo in ginocchio gran parte delle attività produttive dell’aquilano, ha interrotto l’erogazione di servizi essenziali per la popolazione e ha gravemente compromesso il funzionamento dell’Amministrazione pubblica a tutti livelli.

Ciò vuol dire che il problema da affrontare non è solo quello della ricostruzione materia
le (che, comunque, va protetta dai dilettanti che parlano di new towns!), ma di ricostituire il funzionamento della pubblica amministrazione, di rimettere in moto le attività produttive e di riattivare i servizi essenziali per i cittadini. E questo problema può essere affrontato seriamente solo se si cambia completamente registro rispetto all’andamento attuale, partendo dal dare voce agli enti locali, agli imprenditori, agli esperti, ai cittadini, con il concorso dei quali costruire un progetto collettivo che abbia come obiettivo centrale la ricostruzione del tessuto istituzionale economico, territoriale e sociale dell’Abruzzo.