CRIMEA: IL NUOVO CONFRONTO EST-OVEST

di Eugenio Roscini Vitali
da www.altrenotizie.org

Il confronto est-ovest che nell’agosto scorso ha travolto il Caucaso meridionale, cinque giorni di bombardamenti finiti de facto con l’annessione alla Federazione Russa di due province georgiane, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, potrebbe avere un seguito: questa volta in Crimea, la penisola settentrionale del Mar Nero che Mosca e Kiev si contendono ormai da quasi vent’anni. Tra i due paesi le tensioni infatti non riguardano solo il taglio delle forniture di metano, l’ingresso dell’Ucraina nella Nato o i nuovi gasdotti che i russi hanno pensato per estromette Kiev dal sistema di trasporto energetico europeo: il North Stream che attraversando il Mare Baltico unirà il porto russo di Vyborg a quello tedesco di Greifwald, tagliando fuori Lettonia, Lituania e Polonia; il South Stream, che dal Mar Nero arriverà in Bulgaria per poi dividersi in due tronconi, uno a sud che passando per la Grecia arriverà in Italia e uno a nord con transito in Serbia, Ungheria e Austria.

Al centro della questione c’é la presenza della flotta russa nella base di Sebastopoli e il “Trattato di amicizia e cooperazione russo-ucraino” che andrà in scadenza entro la fine del 2017. Argomenti che potrebbero trasformarsi in una vera è propria bomba ad orologeria e che minacciano la sicurezza stessa del Vecchio continente, alimentati dalla crisi caucasica, dall’indipendenza kosovara, dallo scudo spaziale e dal confronto sul disarmo.

Molto probabilmente il conflitto osseto è servito più alla Russia che agli Stati Uniti, che hanno lasciato al presidente georgiano Saakashvili il compito di sondare la reazione di Mosca a quello che molti hanno definito un tentativo di scippo. Washington ha provato a tastare il terreno ma il Cremlino non si è fatto trovare impreparato e così la Georgia è diventata solo la prima fase di un braccio di ferro che è destinato a continuare e che potrebbe coinvolgere qualsiasi scenario.

E qui entra in gioco l’Ucraina: le istallazioni militari russe e la flotta ancorata a Sebastopoli che rappresenta oggi uno dei principali ostacoli all’ingresso ucraino nell’Alleanza Atlantica, un problema a palazzo Mariyinsky vorrebbero risolvere prima della scadenza naturale del Trattato di amicizia e cooperazione russo-ucraino firmato nel 1997. In quella sede fu deciso che l’80 percento della l’ex flotta sovietica del Mar Nero sarebbe rimasta in mani russe e che le installazioni portuali della città, i terreni e le infrastrutture sarebbero state date in affitto a Mosca fino al 2017.

L’accordo, che dava seguito ad un impegno stipulato nel novembre del 1990, nell’ambito quindi dei trattati tra Stati appartenenti all’Unione Sovietica, fu firmato da Leonid Kuchma e Boris Eltsin, due personaggi dell’ex nomenklatura che stavano dando vita alla trasformazione post-comunista dell’Europa orientale e che non avevano alcun interesse a trascinare la questione verso una insanabile rottura.

Nel dicembre del 1991, dopo il referendum con cui l’Ucraina proclamò la sua indipendenza, le cose cambiarono notevolmente: i due paesi, fino ad allora appartenenti a quella creatura nata al momento della dissoluzione dell’Urss, la Comunità degli Stati Indipendenti, non erano più inquilini di una stessa grande casa e Kiev si apprestava a vivere i giorni della Rivoluzione arancione, la trasformazione sociale, politica e culturale che dal dicembre 2004 avrebbe dovuto rompere definitivamente i ponti con il passato.

Negli anni seguenti l’evoluzione dei rapporti ha di fatto portato alla crisi del gas e alla possibile candidatura dell’Ucraina nella Nato; una strada irta di ostacoli sulla quale pesano le conseguenze dello spettro di una nuova Guerra fredda. Fino ad oggi le controversie sono rimaste confinate al canone d’affitto, stabilito in circa 100 milioni di dollari all’anno e che Kiev vorrebbe portare a 2 miliardi; all’esercitazione navale Sea Breeze, entrata a far parte della cooperazione Usa-Ucraina dal 1997; al faro di Capo Sarych, ancora in mano ai militari russi, o a quello di Yalta, strappato con un blitz al controllo moscovita; a semplici accuse che riguardano l’utilizzo di strutture non incluse nell’accordo e alla mancata autorizzazione per l’accesso ai terreni e alle installazioni da censire.

Ma nei prossimi anni nulla toglie che la situazione possa peggiorare e Sebastopoli, e più in generale l’intera Crimea, possano diventare un pericoloso casus belli dal quale Mosca non potrebbe sottrarsi. Il Cremlino è infatti consapevole che, oltre al ruolo militare nella penisola, la maggioranza della popolazione è in possesso di un passaporto russo; circa il 50 percento dei 2 milioni di abitanti sono di etnia russa, mentre il 20 percento sono tartari; il 70 percento dei 340 mila cittadini di Sebastopoli provengono dalla Federazione e la base navale conta circa 15 mila soldati russi.

A Mosca sono in molti a pensare che la Crimea sia un elemento fondamentale per la difesa del paese e le ragioni dello scontro potrebbero non essere solo etniche e militari. Nella capitale si sta delineando la presenza di un’elite che esprime una forte componente anti-occidentale, guidata da quella fazione neo-imperialista che negli ultimi anni si è fatta largo all’interno del mondo civile ed accademico russo e che oggi controlla vasti settori della politica e dell’informazione. Ultra-nazionalisti più o meno influenti che dalla tribuna messa a disposizione dalla televisione di stato russa guidano la trasformazione post-sovietica del paese e accusano Tbilisi di aver combattuto in Ossezia meridionale una guerra su procura.

Un effetto mediatico che è passato da forme di celata xenofobia a vere e proprie manifestazioni di ostilità nei confronti degli Stati Uniti, della Nato e dei paesi occidentali in genere. In un recente studio, il centro di opinione Levada ha stabilito che, a causa dell’ultima guerra caucasica, in Russia gli Stati Uniti hanno perso consensi; l’agenzia di statistiche VTsIOM ha pubblicato i dati relativi ad un sondaggio commissionato dal governo, dal quale risulta che il 41 percento dei russi (il 26 percento nel 2006) ritiene che la Nato operi negli esclusivi interessi degli Stati Uniti, mentre il 31 percento (il 21 percento nel 2006) è convinto che l’Alleanza Atlantica svolga principalmente un ruolo di aggressione militare.

Una visione politica che critica lo strapotere nucleare degli Usa e che considera la Crimea un elemento geo-strategico di rilevante importanza, così come lo è la nuova base navale di Novorossiysk, località poco a sud di Sebastopoli che il Cremlino ha intenzione di rendere pienamente operativa entro il 2012.