Madri dolorose e donne fatali

di Paola Lembo
da www.womenews.net

Il codice patriarcale elabora la propria immagine dell’universo femminile a partire dai valori dominanti all’interno del gruppo sociale in cui tale produzione si realizza. Nella cultura occidentale patriarcale giudaico-cristiana, sono sempre state Maria e Eva le figure femminili mitiche che hanno maggiormente contribuito alla creazione dell’immaginario maschile sulle donne, immaginario melmoso e anodino nel quale si enfatizza da sempre , oltre all’aspetto di sottomissione della donna all’uomo e la sua posizione ’secondaria’ e ’inferiore’, la disgiunzione manichea tra ’donna buona’ e ’donna cattiva’. La prima presenta tratti quali l’umiltà, la sofferenza, la rassegnazione, la castità e l’obbedienza all’uomo. La seconda viceversa è caratterizzata come aggressiva, seduttrice, ingannevole e sensuale.

Il codice patriarcale elabora dunque la propria immagine dell’universo femminile a partire dai valori dominanti all’interno del gruppo sociale in cui tale produzione si realizza, così la donna ha avuto il ruolo di portatrice di quei valori e modi di condotta attribuiti al sesso femminile nella staticità del suo ruolo primario di madre e sposa. Pertanto, ad un livello cosciente delle relazioni sociali che propongono la riproduzione biologica come nucleo generatore, la donna fisica e la sua proiezione simbolica sono definite a partire da un ’dover-essere’ come sinonimo di passività, incoscienza, innocenza e subordinazione – attributi assimilabili alla fonte primaria di tale rappresentazione, cioè la Vergine Maria. Tale concetto etico-sociale si ripete opposto ma sostanzialmente identico nella sua struttura speculare del ’non-dover-essere’, rappresentata dalle immagini della peccatrice, della prostituta, della strega, della donna fatale. Ancor più nello specifico, questa dicotomia del femminile si esprime nelle categorie della ’donna violata’ e della ’donna pura’. E proprio questa seconda categoria trova la sua espressione più dogmatica in ’tipi’ spiritualizzati come la fidanzata casta e pura, la moglie fedele, la madre dolorosa, la monaca intoccabile. Ancora una volta, tutti archetipi della Vergine.

Ciò ha contribuito a creare nella cultura patriarcale occidentale l’immagine di un ’eterno femminile’, che altro non è, seguendo le orme di Simone de Beauvoir, se non la manifestazione della sistematica spoliazione di sé e spiritualizzazione che la donna ha sofferto a partire dal cristianesimo delle origini.

La donna dunque non come carne e desiderio, ma come corpo glorioso e asessuato; non come creatura animale, ma come essere etereo. La visione della donna come Vergine Maria è tuttavia una visione esterna, prodotto della soggettività mascolina – che spesso contempla a distanza l’oggetto amato – e non il risultato di una conoscenza reale dell’altra come soggetto. E ancora, nel mondo patriarcale la sessualità femminile, ben lungi dal divenire un’esperienza di condivisione con l’altro, è da sempre subordinata alla procreazione nonché asservita al piacere maschile.

Tuttavia la visione giudeo-cristiana della Vergine rappresenta solo il riflesso imperfetto e lo stereotipo mistificato e distorto dell’archetipo originario: ’vergine’ infatti significa ’appartenente a nessun uomo’, cosicché la prostituta e la vergine altro non sono che le rappresentazioni di una stessa immagine arcaica, quella della donna libera, in opposizione alla donna ’domesticata’, la sposa e la madre cioè, la cui vita è tutta funzionale al congiungimento con l’uomo. E tradizionalmente il sistema patriarcale ha sempre garantito all’uomo, prima al padre e poi al marito, la quasi totale proprietà sulla donna e sui figli, incluso il potere dell’abuso fisico, la vendita e perfino la morte. Dunque il padre e lo sposo si situano nel patriarcato come proprietari, in un sistema in cui il parentado significa proprietà e merce.

Il passaggio dall’adorazione della Vergine all’adorazione della madre, alla luce di quanto detto sinora, risulta immediato: la madre della tradizione patriarcale cristiana è sempre una ’mater dolorosa’, caratterizzata dagli attributi di abnegazione, rassegnazione e sottomissione che la collocano come polo opposto e disgiuntivo rispetto allo stereotipo della donna fatale, aggressiva e sensuale, di Eva o della donna-Afrodite insomma.

La tradizione non cristiana però oppone, dimenticata da sempre nel patriarcato occidentale, a questo stereotipo di madre/vergine, la figura mitica e terribile della Madre Terra, la Pachamama della tradizione inca, che esprime la sua opposizione al mondo patriarcale e ristabilisce rispetto ad esso un ordine arcaico e naturale. Questa figura di madre è colei che genera la vita ma che allo stesso tempo ha il potere di richiamare a sé le sue creature; è la madre terribile che incarna la terra affamata, che divora i propri figli e ingrassa dei loro cadaveri: è la tigre e l’avvoltoio.