Una storia cecena

di Enrico Piovesana
da www.peacereporter.net

Majnat Abdulaeva è una rifugiata politica cecena che oggi vive in Germania. Per anni è stata corrispondente di guerra dalla sua città, Grozny, per la Novaya Gazeta – il giornale di Anna Politkosvaskaya – e per Radio Liberty. PeaceReporter l’ha incontrata a Varese, nel corso di un incontro sul conflitto ceceno organizzato dall’associazione ‘Est – Volontari in Movimento’.
Ecco la sua storia e la sua testimonianza.

Alla fine degli anni ’80, con la Perestrojka, anche nella repubblica cecena si respirava un’entusiasmante aria di cambiamento. Io, che all’epoca mi ero appena iscritta all’università, ero affascinata, incantata da tutto quello che si leggeva sui giornali: decenni di storia stavano improvvisamente tornando alla luce. La storia stessa si stava facendo sotto i nostri occhi. C’era un grande fermento culturale, c’era finalmente la possibilità di leggere e di scrivere la verità. Così sono stata attirata nel mondo del giornalismo. Con il crollo dell’Unione Sovietica tutti credemmo che l’epoca del Kgb, della censura e della paura fossero finite per sempre. Ma non era così.

Durante la seconda guerra mondiale, Stalin aveva ordinato la deportazione del mio popolo, accusandolo falsamente di collaborazionismo con i tedeschi, e aveva cancellato la nostra identità culturale facendo perfino saltare in aria le torri medievali, simbolo della nostra storia.

Cinquant’anni dopo, Eltsin dichiara guerra al mio popolo, chiamandoci ‘criminali’ e ‘banditi’, bombarda a tappeto la nostra capitale, trucidando migliaia di civili e radendo al suolo musei, biblioteche, teatri, università, cancellando nuovamente la nostra cultura. La Russia post-comunista, aveva dato inizio all’ultima guerra coloniale d’europea, per punire un piccolo popolo che aveva osato ribellarsi alla sua logica imperiale.

Iniziai a lavorare come corrispondente per la Novaya Gazeta e per Radio Liberty: i due mezzi di comunicazione più odiati dai russi perché erano gli unici che raccontavano quello che stava accadendo sfidando la censura e la propaganda militare russa. Io, in quanto cecena, avevo la possibilità si mimetizzarmi tra la gente, di andare sui luoghi dei bombardamenti, dei rastrellamenti, delle esecuzioni sommarie, e quindi di vedere quello che stava realmente accadendo. Inviavo i miei reportage e di notte, a casa mia, stavo sveglia, vestita, ascoltando i rumori dei blindati per le strade, aspettando il momento in cui sarebbero arrivati a prendermi. La Cecenia è piccola: tutti sapevano che ero io a far uscire le notizie. Avevo paura, non solo per me ma anche per la mia famiglia, che era diventata ostaggio del mio lavoro.

Ho continuato a lavorare come corrispondente da Grozny anche dopo la fine della prima guerra, e poi con l’inizio della seconda nel 1999. Questa volta era Putin a volerci cancellare, a bombardare a tappeto le nostre città e i nostri villaggi, uccidendo altre migliaia di civili innocenti. Dopo il settembre 2001 i ceceni, che prima erano ‘banditi’, divennero ‘terroristi’.

Casa mia divenne un specie di albergo per i reporter stranieri che venivano a coprire la guerra. Ho ricominciato a passare le notti sveglia, aspettando. Finché non sono arrivati. Erano ceceni, parlavano russo, erano armati ma senza divisa. Mi hanno detto che dovevo scegliere: o la smettevo di scrivere o me ne andavo. Per mesi hanno continuato a seguirmi, a minacciare me e la mia famiglia. Nel 2004, grazie a dei giornalisti di Reporter Senza Frontiere che ospitavo in casa mia, riuscii a lasciare la Cecenia e mi rifugiai in Germania con l’aiuto del Penn Club. A Grozny rimase la mia famiglia, che vive ancora lì.

Grazie al telefono, ma soprattutto tramite Internet, riesco a tenermi costantemente in contatto con la Cecenia e quindi posso continuare a raccontare quello che succede, scrivendo sui giornali tedeschi ed europei. La guerra in Cecenia non è finita come vuol far credere la propaganda russa: la guerra continua, anche se in forme diverse rispetto al passato. I guerriglieri ceceni combattono ancora regolarmente sulle montagne, contro i russi e contro i ceceni collaborazionisti. A Grozny e nelle altre città la guerra non c’è, ma si vive sotto dittatura, quella del regime filo-russo di Ramzan Kadyrov. La gente, pur entusiasta per la ricostruzione in corso, è ancora traumatizzata dalle violenze della guerra e continua a vivere nella paura.

Stanno ricostruendo le nostre case, ma il nostro popolo è distrutto: oltre il 70 percento della popolazione non ha lavoro, dilagano le malattie conseguenze della guerra, in particolare il cancro al seno, che in Cecenia è più diffuso che in qualsiasi altra regione russa. Il nostro ambiente è distrutto dalla guerra e dall’inquinamento. Non esiste libertà politica, né libertà di stampa. I tanti giornali ceceni nati negli ultimi tempi parlano di tutto tranne che di quello che succede in Cecenia: riportano notizie sul divorzio di Berlusconi, ma non sulla guerra che continua sulle montagne.

La guerra cecena di oggi è cambiata anche per un altro aspetto: il ruolo della religione islamica nella guerriglia. Noi ceceni siamo sempre stati musulmani, ma il nostro islam è quello della tradizione mistica sufi, quindi spirituale, aperto e tollerante. Nulla a che vedere con l’islam integralista di stampo mediorientale. Guardate me: io sono musulmana. All’inizio della guerra l’indipendentismo ceceno non era a carattere islamico, anzi: i nostri combattenti credevano nei valori occidentali: la libertà, la democrazia. Ma poi si sono sentiti traditi dall’Occidente e quindi si sono progressivamente radicalizzati, abbracciando l’islam jihadista. Vi garantisco che starsene nei rifugi, sotto i bombardamenti aerei russi, mentre le radio dice che Putin viene accolto da tutti i governanti occidentali come un campione di democrazia, genera una grande disillusione.