CRISTIANESIMO E BERLUSCONISMO

di Paolo Bonetti
da www.italialaica.it

Per lungo tempo la Chiesa gerarchica non ha mancato, in svariate occasioni, di elogiare la politica di Silvio Berlusconi e della sua maggioranza come la più conforme ai valori cristiani, nonostante le perplessità di tanti cattolici, non solo laici ma anche sacerdoti. Non ce ne meravigliamo. Per le gerarchie ecclesiastiche troppo spesso i valori cristiani si identificano con i privilegi di cui gode in Italia la Chiesa cattolica ed esse preferiscono dare il loro sostegno morale e anche politico non a coloro che vivono secondo i precetti dell’etica cattolica, ma a coloro che, pur lontanissimi da ogni sensibilità cristiana, sono pronti ad adeguarsi alle intimazioni del Vaticano e della Cei tutte le volte che si affrontano le questioni cruciali della separazione fra sfera religiosa e sfera civile.

Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha recentemente ricordato una verità ovvia, ma che nella situazione italiana non è più tale: la legge civile non può ispirarsi a precetti religiosi, di qualunque religione, così come, aggiungiamo noi, non può ispirarsi all’ateismo o a qualunque altra ideologia secolare. La legge civile deve solo garantire la pari libertà di coscienza di tutti cittadini, il loro diritto di vivere secondo i propri valori morali, naturalmente nel rispetto di quelli altrui. Ogni diritto si deve accompagnare al riconoscimento di un dovere.

Queste sono ovvietà che ci si vergogna perfino a dover ripetere, e tuttavia bisogna farlo, perché ci troviamo di fronte a un fenomeno politico-culturale – il berlusconismo – che è la negazione quotidiana di tutti i valori, a cominciare da quelli cristiani, e di tutte le distinzioni che innervano e rendono tale lo Stato liberal-costituzionale. Che stia accadendo, in Italia, qualcosa di patologico, è confermato anche dal fatto, a cui abbiamo fatto riferimento in un nostro precedente editoriale, che perfino il giornale dei vescovi sia dovuto recentemente intervenire per raccomandare al capo del governo una maggiore “sobrietà”.

E guardate che non si tratta soltanto della vita privata del premier, sulla quale non vogliamo esprimere giudizi, fedeli come siamo al precetto evangelico di non scagliare con troppa facilità la prima pietra, ma dell’esempio pubblico che egli dà quotidianamente con le sue parole e i suoi comportamenti, dietro i quali si avverte una concezione della vita che nulla ha a che vedere con l’etica cristiana, nonostante i ripetuti e grotteschi omaggi che egli rende a questa tradizione morale.

Il berlusconismo, inteso come cultura politica ormai largamente diffusa nel nostro paese, come ha scarsi contatti con la concezione liberale dello Stato, così ha ben pochi legami con la sensibilità morale cristiana. Ci si preoccupa molto, e giustamente, del tipo di informazione che le televisioni berlusconiane (e ormai anche quelle statali) offrono agli italiani, ma spesso si dimentica che assai più importante e decisivo per la formazione etico-politica dei nostri concittadini, è la concezione della vita che questa televisioni, a ogni ora del giorno e della notte, pervicacemente diffondono. Questa concezione è radicalmente anticristiana e non a torto qualcuno ha parlato di neo-paganesimo.

Ma non si tratta del paganesimo raffinato di una sobria saggezza epicurea e neppure della medierà aristotelica e tanto meno di un severo autocontrollo stoico, bensì di un paganesimo volgare, alla maniera del Trimalcione raffigurato da Petronio, un paganesimo che è una continua ostentata esibizione della corporeità, della ricchezza e del potere. Un neo-paganesimo in cui è del tutto assente uno dei sentimenti essenziali dell’etica cristiana, quello del pudore. Badate bene, non parliamo del pudore dei bacchettoni, il pudore tartufescamente ostentato di chi misura con finto sdegno e reale compiacimento ogni centimetro di pelle scoperta, ma di quel pudore che consiste in una particolare delicatezza del cuore, nel non esibire mai i doni gratuiti della fortuna o anche i meriti della nostra intraprendenza, che, per l’etica cristiana, sono qualità da mettere al servizio della comunità e non pretesti di narcisistico e vanitoso autocompiacimento.

Una società cristiana non è una società di “perfetti” (questa è la pretesa arrogante di talune sette protestanti), ma una società di “peccatori” che sconta la naturale fragilità creaturale degli uomini; proprio per questo, però, è quanto mai necessario, per l’etica cristiana, avere quel pudore che è senso del limite e non semplice ipocrisia. Possiamo ricordare i versi del più grande poeta cristiano, dopo Dante, della nostra letteratura? Alessandro Manzoni, in uno dei suoi inni sacri, quello dedicato alla Risurrezione, ci parla di questo pudore cristiano che si congiunge alla pietà e all’attesa di una gioia più grande: “ Lunge il grido e la tempesta/ De’ tripudi inverecondi:/ L’allegrezza non è questa/ Di che i giusti son giocondi;/ Ma pacata in suo contegno,/Ma celeste, come segno/ Della gioia che verrà”.

Nella storia della nostra Repubblica, abbiamo avuto l’esempio di un grande statista liberale e cristiano, Alcide De Gasperi, al quale più volte Berlusconi ha detto di volersi ispirare. In realtà, egli non potrebbe essere più diverso dal modello dello statista trentino. E anche un non credente, come chi scrive, prova un sentimento di acuta amarezza nel ricordare come la Chiesa di Roma fu crudele nei confronti di De Gasperi e quante volte essa è stata, invece, indulgente e perfino colpevolmente connivente nei confronti di Berlusconi e del berlusconismo.