PERCHÉ LA FAME DEVE ESSERE ANCORA COSÌ INCALZANTE NEL XXI SECOLO?

di Éric Toussaint e Damien Millet
da www.voltairenet.org

Mentre i paesi ricchi si preoccupano delle conseguenze della crisi finanziaria, la fame continua indisturbata a mietere vittime nei paesi poveri. Gli obiettivi di sviluppo del millennio programmati dall’ONU dovevano sconfiggerla, ma in realtà, la carestia progredisce. Le cause di questo dramma vanno cercate nelle politiche pubbliche ispirate dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dalla Banca Mondiale, nella speculazione e, ovviamente, nel fenomeno del debito, fanno notare Damien Millet e Éric Toussaint del CADTM (Comité pour l’Annulation de la Dette du Tiers Monde).

Come giustificare che ci si debba ancora confrontare con la problematica della fame nel 21esimo secolo? Al mondo, un abitante su sette soffre costantemente di fame.

Le cause sono conosciute: la profonda ingiustizia nella distribuzione delle ricchezze e il possesso delle terre coltivabili da parte di una piccola minoranza di grandi proprietari. Secondo la FAO[1], 963 milioni di persone hanno sofferto la fame nel 2008. Paradossalmente, queste persone, dal punto di vista strutturale, appartengono alla popolazione rurale. Sono per la maggior parte contadini che non posseggono la terra che lavorano, o non ne hanno abbastanza, o ancora non hanno accesso ai mezzi necessari per valorizzarla.

Va sottolineato il fatto che durante il biennio 2007-2008 il numero delle persone che soffrono la fame è aumentato di 140 milioni. Questo netto aumento è dovuto all’impennata improvvisa dei prezzi dei prodotti alimentari[2]. In molti paesi, questo aumento nei prezzi al dettaglio degli alimenti si aggira intorno al 50%, a volte più.

A cosa è dovuto un tale aumento? Per rispondere a questa domanda, è necessario comprendere cosa sia successo durante gli ultimi tre anni e, in seguito, pensare e attuare politiche alternative adeguate.

Da una parte, i governi del nord del mondo hanno aumentato i loro aiuti e le loro sovvenzioni per gli agro-carburanti (chiamati a torto “biocarburanti”, quando non hanno assolutamente niente di biologico). All’improvviso, è diventato redditizio sostituire le colture alimentari con delle colture foraggiere e oleaginose, o convertire una parte della produzione di grano (mais, frumento…) in produzione di agro-carburanti.

D’altro canto, dopo lo scoppio della bolla immobiliare negli Stati Uniti (poi nel resto del mondo, di riflesso), la speculazione dei grandi investitori si è spostata verso i mercati della borsa in cui si negoziano i contratti delle derrate alimentari (principalmente tre borse statunitensi specializzate nella contrattazione a termine del grano: Chicago, Kansas City e Minneapolis). Ecco perché è così urgente che i cittadini agiscano in via legale per vietare la speculazione sugli alimenti… Anche se la speculazione al rialzo è finita verso la metà del 2008, e i prezzi sui mercati a termine siano di conseguenza scesi clamorosamente, i prezzi al dettaglio non hanno subito gli stessi andamenti.

La schiacciante maggioranza della popolazione mondiale dispone di redditi molto bassi e subisce ancora oggi le conseguenze drammatiche dell’aumento del prezzo degli alimenti del biennio 2007-2008. Su scala mondiale si preannunciano, per il biennio 2008-2009, decine di milioni di licenziamenti, il che non fa che aggravare la situazione. Per contrastare tutto ciò, bisogna che le autorità pubbliche esercitino un controllo sui prezzi degli alimenti.

Attualmente, il cambiamento climatico non è la causa dell’aumento della fame nel mondo, ma questo fattore avrà certamente un ruolo chiave, in futuro, nella produzione agricola in certe parti del mondo. Se le zone temperate non subiranno troppo le conseguenze negative, le zone tropicali e subtropicali invece saranno particolarmente danneggiate.

Estirpare la fame è assolutamente possibile. Le soluzioni fondamentali per raggiungere questo obiettivo vitale passano per una politica di sovranità alimentare e una riforma agraria. Il che implicherebbe nutrire la popolazione con le produzioni locali, limitando al massimo importazioni ed esportazioni.

La sovranità alimentare dovrebbe essere un punto chiave nelle decisioni politiche dei governi. Ci si dovrebbe basare su attività agricole a gestione familiare che producano alimenti detti bio (o organici). Questo inoltre, ci permetterebbe di accedere ad una alimentazione di qualità, priva di OGM, pesticidi, erbicidi e fertilizzanti chimici. Per raggiungere un tale obiettivo, più di 3 miliardi di contadini dovrebbero avere accesso a una quantità di terra sufficiente al loro sostentamento e ai mezzi per coltivarla senza impoverirla e senza arricchire i grandi proprietari, le multinazionali dell’agrobusiness e i commercianti, e questo può avvenire solo tramite l’intervento delle istituzioni pubbliche.

Per fare ciò, serve una riforma agraria. Riforma di cui necessitano imperativamente Brasile, Bolivia, Paraguay, Perù, o certi paesi dell’Asia e dell’Africa: dovrebbe essere organizzata la ridistribuzione delle terre, dovrebbe essere fornito un sostegno pubblico al lavoro degli agricoltori e vietati i grandi proprietari terrieri privati.

È importante precisare che sia Banca Mondiale che FMI hanno responsabilità enormi nella crisi alimentare, poiché sono stati loro a consigliare ai governi del sud del mondo di rinunciare, in caso di insufficienza dell’offerta e/o di esplosione dei prezzi, ai silos di grano che servivano al sostentamento del mercato nazionale. Sempre Banca Mondiale e FMI hanno spinto i governi del Sud a sopprimere i finanziatori pubblici di credito agli agricoltori, gettando i contadini nelle grinfie di creditori privati (spesso grandi commercianti) o di banche private che praticano tassi usurari.

Questo ha provocato un indebitamento di massa dei piccoli contadini in India, Nicaragua, Messico, Egitto e di numerosi paesi dell’Africa Sub-sahariana. Secondo le indagini ufficiali, l’indebitamento dei contadini che affligge i paesi dell’area indiana è la principale causa di suicidio di 150 000 contadini nel corso degli ultimi 10 anni. L’India è un paese in cui la Banca Mondiale ha promosso con successo presso le autorità locali una politica di soppressione delle agenzie di credito pubblico agli agricoltori.

E questo non è tutto: nel corso degli ultimi 40 anni, Banca Mondiale e FMI hanno spinto i peasi tropicali a ridurre la produzione di grano, riso o mais, sostituendola con colture da esportazione, quali cacao, caffé, thé, banane, arachidi o fiori. Infine, per perfezionare il loro servizio nei confronti delle grandi società dell’agrobusiness e dei grandi paesi esportatori di cereali (a cominciare da Stati Uniti, Canada e Europa Occidentale), hanno convinto i governi della positività dell’apertura incondizionata delle frontiere all’importazione di alimenti prodotti tramite sovvenzioni massiccie da parte dei governi del Nord, provocando così un inevitabile fallimento di numerosi produttori del Sud e una drastica riduzione della produzione alimentare locale.

Riassumendo, è davvero necessario applicare la sovranità alimentare e la riforma agraria. Serve abbandonare la produzione degli agrocarburanti industriali e tagliare le sovvenzioni pubbliche a coloro che li producono. Bisogna inoltre ricreare al Sud delle riserve pubbliche di alimenti (in particolare di grano: riso, frumento, mais…), degli organismi di credito pubblico agli agricoltori e ristabilire una regolamentazione dei prezzi degli alimenti. Serve garantire che anche i redditi più bassi possano permettersi alimenti di qualità a prezzi accessibili. Lo Stato deve garantire ai piccoli produttori agricoli dei prezzi di vendita sufficientemente elevati da consentire loro un miglioramento delle condizioni di vita. Lo Stato deve ugualmente sviluppare i servizi pubblici nelle zone rurali (sanità, educazione, comunicazioni, cultura, “banche” delle sementi…). Le istituzioni pubbliche sono tenute a garantire sia prezzi al dettaglio accessibili ai consumatori, che
prezzi di vendita sufficientemente alti per il sostentamento dei piccoli produttori agricoli.

Non si può intraprendere una seria lotta contro la fame senza ricollegarsi alle cause che forgiano la situazione attuale. Il debito internazionale dei paesi del Sud è sicuramente una fra queste e tutti gli effetti d’annuncio su questo tema frequenti negli ultimi anni, come i summit G8 o G20, hanno maldestramente cercato di celare quanto questo problema giaccia intoccato.

La crisi globale che sta interessando il mondo intero aggrava la situazione dei paesi in via di sviluppo e li mette di fronte ai costi e alle nuove crisi del debito. Ora, questo debito ha portato i popoli del Sud, spesso ricchi in termini di risorse umane e materie prime, a un impoverimento generale. Il debito è un saccheggio organizzato al quale è urgente mettere fine.

In effetti, il meccanismo infernale del debito pubblico è un ostacolo insormontabile alla soddisfazione dei bisogni umani fondamentali, tra i quali un’alimentazione decente. Sicuramente, il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo dovrebbe primeggiare su tutte le considerazoni di merito geopolitico o finanziario. Sul piano morale, i diritti di creditori, redditieri o speculatori non hanno alcun peso se confrontati ai diritti fondamentali di 6 miliardi di cittadini, afflitti da questo meccanismo implacabile rappresentato dal debito.

È immorale chiedere a paesi impoveriti da una crisi globale di cui non sono per nulla responsabili di consacrare una buona parte delle loro risorse al rimborso di creditori agiati (che siano del Nord o del Sud, poco cambia) piuttosto che al soddisfacimento di questi bisogni fondamentali. L’immoralità del debito deriva ugualmente dal fatto che, in molti casi, questo è stato contratto da regimi autoritari che non hanno utilizzato le somme prese in prestito nell’interesse dei loro popoli, ma che hanno invece organizzato imponenti traffici di denaro, con il tacito accordo, o peggio la collaborazione, degli stati del Nord, della Banca Mondiale e del FMI. I creditori dei paesi industrializzati hanno effettuato i prestiti a regimi corrotti con piena cognizione di causa e ora non hanno affatto il diritto di esigere dai popoli il rimborso di un debito talmente immorale e illegittimo.

In sostanza, il debito è un nuovo meccanismo attraverso il quale si è può attuare una nuova forma di colonizzazione (sempre a scapito dei popoli) e va semplicemente ad aggiungersi ad altri traguardi storici, raggiunti sempre dai paesi più ricchi, quali la schiavitù, lo sterminio dei popoli indigeni, il giogo coloniale, l’irreversibile alterazione della biodiversità, il saccheggio delle materie prime (a partire dalle capacità professionali specifiche sottratte ai contadini e dal subdolo sistema di brevetti che ha visto l’appropriazione di un prodotto agricolo del Sud quale il riso basmati indiano a favore delle multinazionali dell’agro-business del Nord) e dei beni culturali, la fuga dei cervelli, etc… È decisamente venuta l’ora di sostituire la logica di dominazione delle ricchezze con una logica di ridistribuzione delle ricchezze, unica via verso la giustizia.

Il G8, il FMI, la Banca Mondiale e il Club di Parigi impongono la loro verità, la loro giustizia, e si autoproclamano giudice e parte in causa. Di fronte alla crisi, il G20 ha dato il cambio e ha cercato di rimettere il FMI, ormai discreditato e delegittimato, al centro del gioco politico ed economico. È venuta ora di mettere fine a questo sistema ingiusto, di profitto per i soli oppressori, siano essi del Nord o del Sud.