USA: CARTE DI CREDITO E ARMI

di Michele Paris
da www.altrenotizie.org

L‘opposizione repubblicana al Congresso degli Stati Uniti ha messo a segno una vittoria che non le era riuscita nel corso dell’amministrazione Bush sul fronte del diritto di portare liberamente armi da fuoco. Con la connivenza di un buon numero di democratici moderati, i parlamentari di minoranza hanno legato ad un disegno di legge volto a soccorrere i possessori di carte di credito in affanno con i pagamenti un provvedimento che darà la possibilità di introdurre armi nei parchi nazionali e nelle riserve naturali del paese. Il successo dell’iniziativa è dovuto al senatore repubblicano dell’Oklahoma Tom Coburn, il quale ha ottenuto l’approvazione della misura grazie anche all’impazienza della Casa Bianca di firmare prima della sospensione dei lavori per il Memorial Day una legge che pone maggiori restrizioni alle attività delle compagnie di carte credito e che entrerà in vigore solo fra nove mesi.

La rabbia popolare diffusa da mesi nei confronti di Wall Street minacciava di crescere ulteriormente alla vigilia di una probabile esplosione di quella che viene annunciata come la bolla delle carte di credito. Da qui il desiderio di Obama e della maggioranza democratica di dare una risposta concreta alle difficoltà dei consumatori nel pagamento dei propri conti in un momento di profonda crisi. La nuova legge obbligherà banche e compagnie di credito a comunicare eventuali variazioni dei tassi di interesse ai possessori di carte con 45 giorni di anticipo, ma proibirà anche l’innalzamento deliberato degli interessi sui saldi dei conti non pagati, a meno che i loro clienti non siano in ritardo di 60 giorni sui pagamenti.

Il “Credit Card Accountability, Responsibility and Disclosure Act” – frutto di un accordo bipartisan mandato in porto grazie alla mediazione del senatore democratico Christopher J. Dodd e del repubblicano Richard Shelby – da un lato ha incassato l’approvazione delle organizzazioni a difesa dei consumatori, mentre dall’altro è andato incontro alle feroci critiche dei gruppi che si battono per il controllo delle armi da fuoco in America. Questi ultimi hanno infatti puntato il dito contro Casa Bianca e i democratici del Campidoglio, incapaci di impedire ai repubblicani l’aggiunta di un provvedimento politicamente significativo come quello della libertà di portare armi all’interno dei parchi nazionali ad una legislazione che nulla ha che fare con esso.

La manovra dell’opposizione repubblicana non è tuttavia isolata. Al Congresso infatti rimane tuttora insabbiato un progetto di legge che dovrebbe garantire una rappresentanza alla Camera dei Rappresentanti al District of Columbia – il distretto federale che ospita la capitale Washington e che attualmente dispone in Parlamento di un delegato senza diritto di voto – e al quale sono state unite una serie di norme che dovrebbero cancellare alcune restrizioni sull’uso di armi da fuoco previste dalla legislazione della città di Washington. I leader repubblicani inoltre hanno già promesso di voler proseguire su questa strada nell’immediato futuro, vincolando l’approvazione di importanti misure avanzate dai democratici all’approvazione di altre che potrebbero allentare ulteriormente i limiti sulla vendita e il possesso delle armi.

Il passaggio in Parlamento di questo genere di norme non sarebbe in ogni caso possibile solo con i voti dell’opposizione. Il progressivo avanzamento del partito di Obama negli ultimi anni ha infatti determinato l’approdo al Congresso di parlamentari democratici provenienti da stati del sud e del sud-ovest decisamente più moderati rispetto ai loro colleghi del New England o della costa occidentale degli Stati Uniti. In molti di questi distretti, soprattutto rurali, i diritti dei possessori di armi sono molto sentiti e, di conseguenza, i loro rappresentanti democratici fiancheggiano frequentemente su questi temi i repubblicani, formando così una netta maggioranza in entrambe le camere.

Secondo la nuova legge firmata dal presidente sul finire della scorsa settimana, chiunque sia autorizzato al possesso potrà entrare con armi da fuoco cariche (comprese armi semi-automatiche e addirittura AK-47, secondo quanto affermato dalla “Brady Campaign to Prevent Gun Violence”) all’interno di parchi nazionali e riserve naturali negli Stati Uniti, ad eccezione di quelle località dove una legge statale lo proibisca esplicitamente. L’attuale divieto applicato a questi luoghi protetti equivale – a detta della NRA (National Rifle Association) e dei più entusiasti membri del Congresso nei confronti della lobby delle armi – ad una violazione del diritto garantito dal controverso Secondo Emendamento della Costituzione americana.

“Non amo necessariamente le armi da fuoco” ha rassicurato il senatore Coburn. “Ciò che conta tuttavia è la protezione di un diritto costituzionale”. “È una vergogna”, ha ribattuto al contrario la senatrice democratica della California Barbara Boxer. “Ma è necessario prendere atto che allo stato attuale delle cose, la NRA è in grado di raccogliere voti a sufficienza” per imporre il proprio punto di vista, ha aggiunto in riferimento alla campagna di persuasione messa in atto dalla potente lobby delle armi.

Le procedure di voto sulle due questioni delle carte di credito e delle armi da fuoco hanno messo in luce le divisioni all’interno della maggioranza su quest’ultimo tema, nonché il timore di molti democratici di finire sulla lista dei nemici della NRA. I due provvedimenti sono stati infatti votati separatamente alla Camera dei Rappresentanti. Il primo è stato approvato con 361 voti favorevoli e 64 contrari, mentre il secondo per 279 a 174, con 174 repubblicani e ben 105 democratici che hanno votato a favore, contro 145 democratici e 2 repubblicani che lo hanno bocciato. Norme sulle carte di credito e maggiore libertà per i possessori di armi sono stati successivamente accorpati al Senato, dove il nuovo testo si è trovato la strada spianata verso il tavolo del presidente grazie ad una maggioranza schiacciante di 90 voti favorevoli e 5 contrari. I senatori democratici in definitiva non se la sono sentita di ostacolare una legislazione fortemente voluta da Obama per bloccare la norma sulle armi da fuoco.

La precedente amministrazione Bush era già intervenuta lo scorso anno per modificare i regolamenti del Dipartimento degli Interni, in modo da consentire l’ingresso nei parchi nazionali con armi cariche, sebbene nascoste. Una corte federale di Washington a marzo aveva però bloccato l’implementazione del provvedimento, decisione che l’amministrazione Obama aveva accettato senza ricorrere in appello. Come parziale consolazione per i sostenitori di maggiori restrizioni sul possesso di armi – oltre al fatto che la legge appena approvata non entrerà in vigore prima del febbraio 2010, lasciando così spazio a possibili modifiche – c’è almeno la prospettiva di una prossima cancellazione di una scappatoia legale che ne rende più facile la vendita. Due deputati e un senatore della maggioranza stanno infatti lavorando ad un progetto che prevede lo stop alla libera vendita di armi nelle fiere, dove gli acquirenti attualmente non devono nemmeno sottostare ad un controllo dei propri precedenti penali.

Nonostante la freddezza teoricamente mostrata da Obama nei confronti di nuove norme destinate a facilitare la diffusione delle armi da fuoco nel paese, ben pochi sono stati i progressi fatti segnare negli ultimi mesi. A dimostrazione del supporto trasversale di cui godono i fautori della libera circolazione delle armi negli Stati Uniti c’è – ad esempio – anche la recente diatriba sollevata dal possibile rinnovamento del divieto sulla vendita di armi d’assalto e fucili semi-automatici, scaduto ormai dal 2004. Quando il ministro della Giustizia di Obama, Eric H. Holder, ha annunciato la volontà di riesumare il bando, anche in seguito alle richieste del governo messicano preoccupato per il massiccio
traffico di armi dirette dagli USA verso il proprio paese, 65 deputati democratici gli hanno indirizzato una lettera di protesta, minacciando di ostacolare ogni tentativo della Casa Bianca in questo senso.

L’intera vicenda ha messo in luce per l’ennesima volta in questa prima fase della nuova amministrazione Obama la disponibilità del neo-presidente democratico a scendere a compromessi su questioni anche molto delicate per non danneggiare il percorso dei temi più caldi della propria agenda. Riforma sanitaria, energie alternative, immigrazione, si continua a ripetere, sono argomenti troppo importanti per essere messi in pericolo dall’ostruzionismo dell’opposizione repubblicana o dalla stessa ala più moderata del Partito Democratico. Sono molto forti tuttavia i dubbi circa l’efficacia delle concessioni fatte finora da Obama ai fini del conseguimento di successi legislativi che potrebbero segnare in maniera decisiva la sua presidenza. Tanto più che i progetti che stanno emergendo relativamente ad alcuni dei punti centrali del suo programma di governo – nonostante le aperture mostrate su altri temi fin dall’inizio del suo mandato – sembrano già essere una versione di gran lunga più moderata di quanto prospettato in campagna elettorale.