Crisi economica: Berlusconi fatto a fettine dagli analisti internazionali

di Fulvio Lo Cicero
da Dazebao.org

Unanimi le critiche alla politica economica dell’attuale Governo, dopo l’articolo del “Financial Times”. Al quale “Il Giornale” cerca disperatamente di rispondere fornendo cifre inventate. Anche il fallimento Fiat in Germania non è estraneo al discredito in cui l’Italia è precipitata.

Le parole dell’autorevole “Financial Times” non potevano essere più nette: “il vero peccato di Berlusconi è di essere uno dei peggiori gestori dell’economia italiana” ha scritto ieri in una nota Tony Barber. Anche se il “caso Noemi” è giudicato in tutta la sua gravità, è sull’economia che il giudizio sul nostro premier dovrebbe fare aprire gli occhi agli italiani. “Peggio di tutto, il debito pubblico italiano aumenterà al 116% del prodotto interno lordo nel 2010. In altre parole l’Italia tornerà dove era alla fine degli anni ’90. Noemi o non Noemi, questo è il vero peccato di Berlusconi”.

Parole pesanti e decisive, pubblicate sul più importante quotidiano finanziario del mondo. Oggi l’house-organ della famiglia Berlusconi (“Il Giornale”) cerca disperatamente di svilire questo giudizio, asserendo che con il secondo Governo Berlusconi (2001-2006), il rapporto deficit/pil calò da -3,1% a -2,4%. Naturalmente non è vero, è una cifra falsa. I dati reali sul rapporto deficit/Pil – annunciati dal nostro Istituto centrale di Statistica il 1° marzo 2006 – dicono che nel 2005 questo rapporto era peggiorato al -4,1%. Nel giugno 2006, lo stesso Giulio Tremonti asseriva, rispondendo al suo successore, nuovo ministro dell’economia Tommaso Padoa Schioppa, che il rapporto deficit/pil poteva tranquillamente essere portato a -3,8%, dato che, in quel momento era più alto e dunque ben superiore alla cifra fornita oggi dall’house-organ di Arcore. L’errore non è nemmeno una svista ma una consapevole bugia, in quanto viene riportato, con qualche decimale in meno, il dato relativo alle stime del Governo.

Tutti i dati economici indicano che le varie coalizioni guidate dal Cavaliere hanno nettamente peggiorato il contesto macroeconomico italiano, anche perché il loro obbiettivo principale è stato sempre quello di smantellare gli strumenti anti-evasione, cioè la ricerca di un’equa redistribuzione del carico fiscale, ora del tutto sbilanciata a sfavore del lavoro dipendente, per soddisfare l’elettorato di riferimento e gli interessi corporati di cui sono tradizionalmente rappresentanti.

In realtà è tutta la stampa internazionale a sottolineare come questo governo, e in particolar modo il suo leader, sia “unfit”, cioè inadatto a reggere le sorti della Cosa pubblica. L’Italia ha da sempre, nel contesto internazionale, un problema di leadership e di autorevolezza, che Silvio Berlusconi ha enormemente aggravato, soprattutto dopo le sue vicende personali legate alle dichiarazioni di Veronica Lario e dei vari protagonisti del “Casoriagate.

La netta sconfitta patita dalla Fiat in Germania, dopo che il Governo tedesco ha deciso di scegliere un partner considerato più affidabile come l’austro-canadese Magna, è soltanto uno dei tanti elementi a supporto di questa sconsolata constatazione. Il piano industriale proposto da Marchionne non soltanto proveniva da un’industria che fabbrica automobili da più di un secolo, esattamente come la Opel, ma era sostanzialmente più credibile, come aveva riconosciuto anche la stampa economica internazionale. Eppure, il governo tedesco, pur fratturandosi al suo interno, gli ha preferito un’azienda di Paesi considerati più seri del nostro, passando sopra al fatto che Magna non costruisca direttamente automobili e non sia riconoscibile dal mercato in quanto tale.

Come se non bastasse, un autorevole quanto equilibrato giudizio sulla politica economica dell’attuale governo è stato fornito ieri dalla relazione del Governatore della Banca d’Italia, mai così critica e netta. Mario Draghi ha riportato le cifre dell’attuale crisi economica, del resto ampiamente conosciute e ha insistito sul fatto che il vero “cuore” della recessione sta nella debolezza dei redditi delle famiglie italiane, nei confronti dei quali l’attuale Governo non ha fatto nulla (a meno che si voglia individuare come tremonti giulioqualcosa di più del nulla la social card, caricata con 40 euro mensili). A fronte di ciò vi è l’impossibilità di giungere ad una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali, edificando un nuovo sistema di garanzia del reddito, che, secondo Draghi, “attenua la preoccupazione dei lavoratori, sostiene i consumi, accresce la mobilità tra imprese e settori, favorisce la riallocazione delle competenze individuali verso gli impieghi più produttivi”.

Oggi il ministro Sacconi replica al Governatore della Banca d’Italia asserendo che più di quanto ha fatto – cioè niente – il Governo non può fare perché non ci sono risorse, che invece sarebbero oramai emerse se non si fosse interrotta bruscamente la politica di stretta all’evasione fiscale del II Governo Prodi, così inopinatamente combattuta dalla destra.

Intanto il ministro dell’economia Giulio Tremonti – il principale responsabile di questa drammatica situazione – ha ricominciato a provare fastidio per l’indipendenza di giudizio di Mario Draghi. È probabile che sarebbero più utili un Bondi o un Cicchitto a dirigere la Banca d’Italia. Ma, a quel punto, il disastro diventerebbe irreversibile.