Cisgiordania, “nemici” in casa

di Enrico Campofreda
da www.aprileonline.info

L’ennesimo conflitto a fuoco fratricida nella notte fra sabato e domenica scorsa a Qalqilya, in Cisgiordania, nel quale sono morti due militanti di Hamas, il padrone della casa dov’erano rifugiati e tre poliziotti dell’Anp che sono andati a scovarli torna a incrinare la fragilissima distensione fra le varie componenti palestinesi. I sei cadaveri, più altri contrasti negli ultimi giorni con arresti di militanti, sono un peso che quel popolo non può permettersi nella difficile fase del rilancio dell’iniziativa politica

A volerla pensare male – e due anni fa la gestione dell’Anp sotto la presidenza di Abu Mazen e di certi uomini dell’apparato di sicurezza in rapporti con la Cia come Dahlan hanno confermato i cattivi pensieri – il viaggio di giovedì scorso alla Casa Bianca da parte dell’ex presidente dell’Autorità palestinese, il cui mandato è scaduto nella prima settimana dello scorso gennaio quando Gaza era investita dalle bombe al fosforo bianco dell’Idf, è servito per rilanciare il ruolo di polizia che la struttura di Fatah ha assunto da anni. L’ennesimo conflitto a fuoco fratricida nella notte fra sabato e domenica a Qalqilya, in Cisgiordania, nel quale sono morti due militanti di Hamas, il padrone della casa dov’erano rifugiati e tre poliziotti dell’Anp che sono andati a scovarli torna a incrinare la fragilissima distensione fra le varie componenti palestinesi. Proprio poche settimane or sono quest’ultime avevano annunciato un accordo per arrivare entro l’anno al rinnovo delle cariche parlamentari e di presidenza. I sei cadaveri, più altri contrasti negli ultimi giorni con arresti di militanti, sono un peso che quel popolo non può permettersi nella difficile fase del rilancio dell’iniziativa politica. Dopo i massacri di ‘Piombo fuso’ a Gaza la situazione continua a essere irrisolta e di piena emergenza. Le ipotesi di ricostruzione sono ferme, gli israeliani continuano a controllare i valichi, gli aiuti umanitari transitano a singhiozzo, la presidenza Obama che aveva nei mesi scorsi mobilitato Mitchell e la Clinton nei Territori occupati ha voluto sondare le posizioni d’Israele e ha ricevuto i dinieghi di Netanyahu a una politica distensiva.

Trascorsi cinque mesi dalla più pesante iniziativa militare dai tempi della Seconda Intifada la violenza e l’arroganza d’Israele non vengono archiviate anzi, col sostegno alla politica degli insediamenti e il disconoscimento delle promesse di Annapolis, Netanyahu s’è smarcato dalla linea, pur falsa, del predecessore Olmert. E rilancia il classico programma sionista incentrato su occupazione delle terre palestinesi, soprusi, umiliazione, uso di forza da parte dell’esercito e di privati coloni sino all’attuazione di stragi come a Gaza. Obama ha per ora espresso dissenso, magari proverà a fare la voce grossa ma la tradizione decennale vuole che ciascun presidente statunitense, più smaccatamente filoisraeliano alla maniera di Bush jr o misurato come parzialmente fu Carter, subisce la pressione della potentissima lobby ebraica d’America che lo ricatta e ne orienta la politica internazionale fino a fargli assumere posizioni vantaggiose per Israele e al minimo far finta di non vedere né sentire e coprire la politica sporca di ogni Esecutivo di Gerusalemme. Il gioco dei sostegni internazionali a una popolazione di tre milioni e ottocentomila palestinesi, divisi fra le due aree-prigione della Striscia e della Cisgiordania, gente in tanti casi impossibilitata a lavorare (per il milione e mezzo di gazesi è così) che dunque per sopravvivere è messa in condizione di accettare aiuti che possono essere elargiti o negati in base ai comportamenti politici messi in atto dai suoi rappresentanti.

Questo ricatto della comunità internazionale, che nega l’autodeterminazione, nel 2005 ha sancito le fortune di Abu Mazen e iniziato a segnare gli ostracismi agli uomini di Hamas regolarmente eletti alle urne. Il vecchio, sporco gioco ha ridato fiato a posizioni non solo rinunciatarie verso le richieste d’uno Stato palestinese (che comunque una grossa fetta dell’establishment israeliano nega oppure nello stile laburista e di Kadima accetta a parole per impedirlo nei fatti) ma ha attuato una strategia d’attacco poliziesco verso Hamas e tutti i resistenti, dal Fplp ad altri piccoli gruppi anche dissenzienti di Fatah come le Brigate Al Aqsa, attraverso arresti e uccisioni. Il culmine s’era toccato nel 2007 durante la resa dei conti per il controllo di Gaza. I ripensamenti iniziati dal febbraio del 2009 sotto la mediazione del capo della sicurezza egiziana Suleiman, i vertici a Sharm el Sheikh e Doha, sembravano aver riportato tutti, anche i filo occidentali di Fatah e gli intransigenti islamisti delle Brigate Qassam, a sancire i passi d’una collaborazione per non prestare il fianco a nuovi massacri politici prima che militari.

Ma episodi come quello di ieri riaprono ferite su un corpo martoriato che rischia nuovi autolesionisti dissanguamenti. L’iniziativa della polizia dell’Anp volta a disarmare i due miliziani uccisi (nient’affatto soggetti di second’ordine: Mohammad Samman era un alto comandante di Hamas e Yasin il suo vice) in una situazione in cui il gruppo islamico non ha rinunciato alle armi, come non l’hanno fatto Fatah né le altre fazioni combattenti, può avere due origini.

Partire da nuove sciagurate decisioni dello staff di Abu Mazen che ripete errori già in passato risultati fatali poiché soffia sul fuoco di possibili scontri fratricidi. O invece, com’è facile pensare, provenire dall’ennesimo ordine di Washington con cui gli Usa mostrano a se stessi il potere di controllo su certa dirigenza palestinese e agli israeliani la subordinazione della medesima. Nell’uno e nell’altro caso si lavora per fomentare nuovi conflitti non certo per la distensione. La pacificazione dell’area – Obama lo sa – ha bisogno di quell’equità che i palestinesi non conoscono dal 1948. Il fatto che sia trascorso tanto tempo ma non sia stata cancellata l’oppressione per milioni di uomini, donne e bambini rappresenta l’incubo che a Gerusalemme e Washington si tenta d’esorcizzare con raggiri e collaborazioni d’ogni genere. La dolorosa questione è sempre aperta, lontana è la via per risolverla.