L’Italia furbetta e il pantano Kosovo

di Ennio Remondino
da www.ilmanifesto.it

L’Italia non ha opinioni sull’auto proclamata indipendenza del Kosovo. l’Italia, il suo governo, non ha nulla da dire ai giudici della Corte Internazionale di giustizia incaricati dall’Assemblea generale dell’Onu di pronunciarsi sulla legittimità o meno di quella indipendenza.

L’Italia che, tra molte polemiche interne, il Kosovo indipendente aveva riconosciuto a danno della Serbia, oggi non compare tra i 36 Stati che sul quesito hanno inviato un loro parere politico-giuridico. Ripensamento politico a favore di Belgrado con conseguente presa di distanze dalla Pristina albanese o errore burocratico-postale di consegna entro la scadenza del 17 aprile? Politica maiuscola che può anche prevedere ripensamenti, o politichetta furbesca dell’accontentare tutti? Certamente l’assenza dell’Italia spicca. Il sito del Tribunale Internazionale dell’Aja, Olanda, elenca gli Stati che si sono pronunciati con relazioni che restano segrete. Schieramento politicamente scontato dei pro e dei contro. Stati Uniti e Albania capofila pro Kosovo albanese col seguito di quasi tutta l’Unione Europea. Contro, certamente Russia, Cina e Serbia. Persino le Maldive hanno qualche cosa da dire sul Kosovo. L’Italia No. Col tempo, qualcuno vorrà chiarire il mistero su una posizione italiana che viaggia avanti indietro tra Roma, l’Aja e ritorno, ed evapora nel nulla.

Il Kosovo sembra finito in una sorta di limbo politico nell’attesa del giorno del giudizio dell’Aja. Sentenza attesa per fine anno, inizio 2010. Intanto le missioni internazionali che ci si trovano impigliate boccheggiano nell’incertezza e nel caldo torrido che già segna questi Balcani continentali. A colpire nella Pristina brutta e caotica di sempre c’è soltanto il cambio di colori nella massa strombettante delle autovetture che la soffocano. Dal bianco Onu dei Suv rigorosamente muniti di molteplici antenne radio, al blu Unione Europea, elegante ma inadatto alla stagione. Tribù internazionale in forte calo, complessivamente, e con essa gli occupati locali che agli “internazionali” forniscono assistenza, lingua, servizi e vigilanza.

Di fatto sta andando in crisi l’unica economia kosovara che garantiva reddito. Abbiamo provato a fare i conti. Unmik (l’amministrazione civile Onu) in liquidazione. Resta isolata nelle municipalità serbe del nord e si riduce a quota 500, di cui circa 160 sono gli internazionali ed il resto è personale locale di supporto. Cresce, lo dicevamo prima, l’UE che con la sua missione Eulex sta arrivando ora ai 1700, 1800 “internazionali”, con circa 3000 persone nel suo organico operativo. Resta il mistero politico-diplomatico dell’ICO, International Civil Office, guidato dall’Unione europea con 100 internazionali e 150 collaboratori locali. Struttura pensata come guida politica in nome e per conto delle Nazioni Unite e ridotta a giustificare la sua esistenza in vita. Infine l’Osce, l’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione che a sua volta si spiega poco, ma spende molto per i suoi 800 addetti (circa 250 internazionali).

Categoria a parte il contingente militare della Nato. Kfor schiera attualmente in Kosovo circa 15 mila soldati. Non è noto quanto personale locale di supporto è utilizzato e non valutabile l’impatto economico locale. Gli italiani, per esempio, importano ogni prodotto alimentare da casa. Un po’ per la sacra pasta, un po’ per garanzie igienico sanitarie, spiegano. Comunque anche per Kfor, cura dimagrante in vista. Un terzo, forse la metà della presenza attuale, sussurrano fonti dal comando Nato di Bruxelles. Certo è che, la Grande Fuga dal Kosovo, è già cominciata. Ha iniziato Zapatero richiamando a casa i 600 militari spagnoli attualmente integrati nel comando italiano e accampati nel “Villaggio Italia” di Peja-Pec. Duro colpo economico e operativo per chi resta. In fuga anche metà degli inglesi in Eulex. I francesi abbandonano l’inutile ICO. Gli americani che contavano già sono impegnati altrove.

L’impressione è che il rimanere invischiati in Kosovo oggi rappresenta soltanto una rogna, una tassa, senza prestigio e soluzione. Si salvi chi può, pare l’ordine, per quei paesi che hanno in plancia un comandante. Nei pasticci i poveri kosovari, prigionieri anche della piccola politica interna. Inefficienza, nepotismo, corruzione. Consigli pessimi bloccano il funzionamento delle dogane. Balbettano polizia, giustizia e fisco. Le municipalità serbe, previste dalla costituzione, abortiscono prima delle elezioni-parto di novembre. Non si riunisce dalla sua nascita l’organismo di controllo sugli incarichi direttivi pubblici ed il governo inserisce 15 “dirigenti di famiglia” improbabili e mai selezionati. Direttori generali di ministeri, di poste, telefoni. Potere e soldi. Di scandalo in scandalo, di paralisi in paralisi, il Kosovo lentamente marcisce.