Elezioni europee 2009

1/ Il mondo ci è entrato in casa e ha bisogno di ognuno di noi
di Mario Campli
da www.adistaonline.it

Le prossime elezioni del Parlamento Europeo possono rappresentare ed essere una di queste tre eventualità: un nuovo inizio, una occasione perduta, una drammatica sconfitta. Per tutti, beninteso: non per questa o quella parte politica. Aggiungerei: non solo per gli europei.

Ci sono le premesse per ognuno di quegli approdi. Ciò è agevolmente percepibile; non intendo avventurarmi, quindi, in analisi politologiche: voglio restare, invece, nella dimensione di una ordinaria, normale, umana quotidianità. Non si tratta, però, di un livello banale; al contrario, parlo di un approccio serio, che resiste alla banalità (adesso sì) del frastuono mediatico e contrasta, per scelta, la miopia cattiva (…per il semplice fatto che ti impedisce di vedere) del “e a me che me ne viene?”.

Resistere e rilanciare; cercando di intercettare nell’animo del vicino e del lontano la sua personale inquietudine e la sua aspirazione.

“Con l’unificazione europea si è realizzato un sogno delle generazioni che ci hanno preceduto. La nostra storia ci ammonisce a difendere questo patrimonio per le generazioni future. Dobbiamo a tal fine continuare a rinnovare tempestivamente l’impostazione politica dell’Europa”. Queste sono parole tratte dalla Dichiarazione di Berlino, 25 marzo 2007.

La sfida che dobbiamo decidere di raccogliere è questa: noi consideriamo l’Europa ancora una opportunità?

L’interrogativo rappresenta precisamente una sfida. Sono evidenti, infatti, i limiti della attuale costruzione europea. Evidente è anche la distanza tra le attese e la realtà. Una crisi grave delle dirigenti caratterizza da più di un decennio il processo di costruzione dell’Europa Unita.

Le sfide si possono raccogliere in due modi: come necessità (la impossibilità a sfuggirvi) e come opportunità (la possibilità di plasmare le forze in campo).

Accettare questa sfida, insieme: come necessità e come opportunità, è il compito della generazione attuale per “rinnovare l’impostazione politica dell’Europa”, facendosi protagonista di un nuovo sogno, il nostro, di questa generazione, non quello dei nostri padri, e trasmettendolo alle “generazioni future”.

Un papa del Concilio, Paolo VI, ebbe a scrivere nella Populorum progressio che la Chiesa, “vivente come è nella storia, deve ‘scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo’”. Citava una espressione (si potrebbe dire: una prescrizione; visto che usa il deve) della Gaudium et spes.

È la chiesa, oggi, in grado di fare questa incessante, accurata e rispettosa interrogazione della storia, quella grande dell’umanità e quella minuta del quotidiano di uomini e donne? Quali sono i sogni e i miti di questa generazione? L’inquietudine ne è la cifra. E il sogno?

Forse può apparire stucchevole usare questo approccio per una campagna elettorale (…campagna, che brutta espressione!). Sono convinto, d’altronde, che alla banalizzazione non c’è limite, se non vuoi osare di assegnarglielo. E io credo che oggi è il tempo di fissare questi limiti; e che l’Europa meriti questa attenzione e il nostro paese questa generosità. Sì. Proprio mentre ascoltiamo in questi giorni, nel nostro paese, uno dei paesi fondatori della Unità europea, che il Parlamento, è un luogo inutile, dove si perde tempo.

Certo, si potrebbe ricordare che nel Parlamento europeo, quotidianamente vengono prese decisioni (con aspri confronti e divisioni) su: ambiente (anche l’aria che respiri), trasporti (anche il CO2 che respiri), energia (anche con il rischio delle privatizzazioni dei beni comuni, se prevale una deriva liberista), consumatori, salute, lavoro. E l’elenco dovrebbe essere anche più ampio ed impegnativo: sono le “politiche comuni” che non sono ancora (e per una precisa non volontà dei paesi/governi membri) alla portata dei suoi processi decisionali (l’immigrazione, per dirne una). E ci si potrebbe richiamare, quindi, al diritto/dovere di una forte partecipazione democratica: a cominciare con il voto. Ma la questione vera non resta confinata nella lista dei problemi/interessi da presidiare. Si situa, invece, nella sfida della costruzione di un luogo della convivenza comune e accogliente; che ha radici molteplici e che resta aperta al futuro solo se permane molteplice e plurale. Un luogo più grande di quello dove sei nato: perché il mondo ci è entrato in casa e ha bisogno di ciascuno di noi per “essere scrutato e interpretato e scoprirne i segni dei tempi”.

E sta in questo impegno instancabile, il sogno da protagonista sul quale questa generazione deve misurarsi, se vuole trasmettere qualcosa di sé alle generazioni future. C’è un lavoro immenso da fare: il Trattato è lì che attende ancora una definitiva conferma; e senza una cornice istituzionale, seppure imperfetta, nulla si può governare – neppure le dure conseguenze e repliche della crisi economico –, finanziaria, prodotta dalle dirigenti dell’occidente, che ora diviene una nuova causa di instabilità e di ineguaglianze accresciute nel mondo.

Ho letto con attenzione il messaggio “Costruire la casa europea” della Commissione degli episcopati della comunità europea (COMECE). Ho apprezzato il richiamo per tutti i cristiani, alla “responsabilità d’impegnarsi attivamente in questo progetto”. E, nel contempo, continuo a ritenere che nessuna componente della storia e delle culture europee possa sentirsi o ritenersi più “essenziale” di altre, in questa incessante costruzione; e che riscoprire e guadagnare ogni giorno “l’anima dell’Europa” è un compito che appartiene a tutta questa generazione, comprensiva di tanti e tante che arrivano sul suo territorio e che vogliano condividerne le sue aspirazioni di libertà, di democrazia, di uguaglianza, di giustizia e di solidarietà.

* Consigliere del Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE).

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2/ Quanto pesa il voto dei ragazzi del millennio
di Paolo Balduzzi e Alessandro Rosina
da www.adistaonline.it

Il 6-7 giugno si terranno le più ampie elezioni europee da quando esiste il Parlamento di Strasburgo. L’elettorato si estende “orizzontalmente” per effetto dell’allargamento dell’Europa che ora conta 27 paesi membri, ma anche “verticalmente” verso i giovani diventati maggiorenni dopo le precedenti votazioni. A esprimersi per la prima volta sarà chi ha un’età compresa tra i 18 e i 22 anni, la cui consistenza demografica è pari a circa 31 milioni di unità, il 6,2 per cento della popolazione europea, il 5,5 per cento in Italia. Si tratta di giovani che rientrano in pieno nella generazione dei Millennials, cioè di coloro che sono divenuti maggiorenni nel ventunesimo secolo.

Una generazione ben connotata: si sono socializzati dopo la caduta del muro di Berlino, in piena epoca di globalizzazione, in permanente connessione tramite internet. In un mondo quindi molto diverso da quello dei loro genitori. Hanno maggiori competenze verso le nuove tecnologie e sono anche più aperti al confronto multietnico. Negli Usa sono stati loro uno dei motori principali dell’elezione di Barack Obama.

Nel popular vote il candidato democratico ha infatti ottenuto il 53 per cento dei voti, ma si sale al 66 per cento tra gli under 30. Poiché questi ultimi, nel 2008, costituivano il 18 per cento circa di chi ha partecipato alle votazioni, è possibile calcolare che senza di loro il popular vote sarebbe stato in bilico.

Varie ricerche indicano i Millennials come più consapevoli, più partecipativi e meno individualisti, con maggior fiducia in se stessi e propensione al rischio rispetto agli attuali trentenni. Anche rece
nti dati riferiti al nostro paese sono coerenti con questo profilo. Secondo Iard è aumentata sensibilmente la percentuale dei giovani italiani (15-24 anni) che considerano molto importante l’impegno sociale (dal 18 a oltre il 25 per cento) e l’attività politica (dal 2,7 al 6,1 per cento). Secondo l’Istat, parlano tutti i giorni di politica il 9,4 per cento dei maschi 20-24enni (aumento di 5 punti percentuali dal 2000 in poi) e il 7,4 per cento delle femmine (+4,6 punti percentuali).

Anche le nuove generazioni italiane risultano essere sempre più multietniche: è in continua crescita il numero di giovani nati in Italia da genitori stranieri (valore vicino oramai a circa mezzo milione). Ed il loro peso è maggiore proprio nelle realtà sociali più produttive e dinamiche. A Milano, ad esempio, oltre un giovane su cinque è straniero.

A differenza dei coetanei americani, e anche di alcuni vicini paesi europei, i Millennials italiani sono nati quando la fecondità italiana è scesa stabilmente sotto la media dei paesi occidentali, ovvero in piena denatalità. Una generazione quindi quantitativamente meno influente e inserita in una società in pieno degiovanimento. Ad esempio, solo in Italia i Millennials (cresciuti con internet, pari a meno di 6 milioni e 400 mila) pesano meno dei 60-69enni (nati prima della televisione, pari a oltre 6 milioni e 700 mila).

I giovani nati nel nostro paese oltre a essere caratterizzati da debolezza demografica, si trovano paradossalmente anche con maggiori limiti di partecipazione alle elezioni rispetto ai coetanei europei.

La voglia di fare, di contare, di emergere, è una risorsa sociale importante, che deve essere valorizzata e incentivata, non invece frustrata e soffocata come rischia di essere in Italia. Giusta e urgente è quindi l’eliminazione delle maggiori barriere di età che i Millennials italiani trovano all’entrata in Parlamento sia a Roma che a Strasburgo. Ma perché un ventenne spagnolo o tedesco sarebbe più idoneo a rappresentare il proprio paese più di un coetaneo italiano? Ma si potrebbe anche andare oltre, estendendo ai 16-17enni (in Italia circa un milione e 100mila) il diritto di elettorato attivo alle amministrative.

La perdita di consistenza del peso elettorale dei giovani si ridurrebbe riconoscendo il diritto di voto alle seconde generazioni di immigrati. Le nuove generazioni italiane risultano essere sempre più multietniche. I giovani nati in Italia da genitori stranieri sono ormai circa mezzo milione. I criteri attuali per ottenere la cittadinanza risultano essere tra i più restrittivi in Europa: chi è nato in Italia può iniziare a fare richiesta della cittadinanza solo dopo il compimento della maggiore età e a condizione che abbia mantenuto con rigorosa continuità la residenza entro i confini nazionali. Una misura utile potrebbe quindi essere anche quella, quantomeno, di abbassare a 16 anni la possibilità di richiedere la cittadinanza per chi è nato in Italia da genitori stranieri.

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3/ A cosa serve veramente l’Unione Europea?
di Manuela Algeri
da www.womenews.net

A guardare i manifesti elettorali in giro per Roma certo non mi verrebbe tanta voglia di andare a votare per le Europee. Qualche slogan banale, generico, nessun accenno a perché il candidato/la candidata chiede il voto degli italiani, qual è il suo vero programma di lavoro nel caso risultasse eletto/a. Insomma siamo si fronte, come al solito, a una specie di ombra di campagna elettorale nazionale, e non a una vera campagna per le Europee.

Ci si chiede insomma se queste persone che chiedono il nostro voto intanto sanno bene cosa devono andare a fare, e poi se hanno la capacità e la volontà di andare a farlo, se parlano almeno un paio di lingue straniere, se hanno intenzione di sfatare la cattiva nomea degli europarlamentari italiani re dell’assenteismo, se, se, se… Ma a cosa serve veramente l’Europa ?

Da sessant’anni, in alcuni settori specifici per i quali gli Stati membri hanno accettato di trasferire le loro competenze, in tutto o in parte, all’Unione europea (anche se prima si chiamava diversamente), la Commissione europea ha il compito di individuare problemi comuni ai cittadini degli Stati membri, di individuare possibili strade per risolverli, di formulare delle proposte chiare di politiche da perseguire nell’interesse comune di tutti i cittadini della UE, e di individuare gli strumenti per realizzarle.

Una costante nell’azione comunitaria è l’attenzione per lo sviluppo futoro, si cerca cioè di promuovere nei nostri paesi uno sviluppo portatore di benessere per il numero più alto possibile di cittadini, ma stando attenti a non sprecare e consumare irrimediabilmente le risorse naturali, e a non mettere in pericolo il benessere dei nostri figli, nipoti e pronipoti. Cioè si fa sviluppo sostenibile da sempre (anche se prima si chiamava diversamente).

Gli strumenti tipici dell’azione comunitaria appartengono a due grandi categorie: leggi da rispettarle e soldi per farlo.

Il primo strumento è dunque di natura normativa: la Commissione, nell’interesse di tutti i cittadini europei, formula proposte di normativa comunitaria (direttive e regolamenti) che vengono poi esaminate, modificate, negoziate, discusse e infine adottate dal rappresentante dei cittadini, il Parlamento Europeo, e dal rappresentante dei governi, il Consiglio.

Il secondo strumento è il programma d’azione, accompagnato da strumenti di sostegno, come assistenza tecnica, sovvenzioni e finanziamenti agevolati. Da una parte si quindi si norma un dato settore, mettiamo l’ambiente, mentre dall’altra si promuove l’azione concreta in quel settore.

Un dato per tutti, il bilancio UE di quest’anno è di un po’ più di 133 miliardi di euro. Oltre il 93% di questo soldi tornano negli stati membri, in una forma o nell’altra. Quest’anno il 45% del totale è dedicato a sostenere le politiche di “crescita sostenibile” in senso lato, se aggiungiamo agricoltura e ambiente arriviamo al 76% del totale. Le istituzioni europee costano in tutto come spese di funzionamento (personale, immobili, traduzione (23 lingue), informatica ecc.) il 6% circa del budget comunitario, cioè nulla. In altre parole, la UE agisce concretamente, usa la gran parte dei soldi che le vengono attribuiti ogni anno per azioni concrete dentro gli SM.

Se paragoniamo il dato con il circuito ONU, dove praticamente il 90% del budget copre le spese di funzionamento dei vari organi e istituti, ci rendiamo conto che l’Unione è tutta un’altra cosa, è una creatura unica al mondo, e se vogliamo, come Italiani, partecipare veramente, contare, nelle decisioni della UE, non esiste un altro modo: bisogna essere lì quando occorre e come occorre, con rappresentanti qualificati, bisogna contare al momento giusto, quando si stanno formulando le leggi e i piani d’azione, bisogna smettere di fare le vittime di ipotetici eurocrati cattivi che ce l’anno con l’Italia.

Non sarà meglio, piuttosto che agitarsi una volta che una direttiva è stata adottata, è legge, è entrata in vigore, indicando obiettivi precisi e tempi precisi per raggiungerli, esserci veramente, presenti, competenti e combattivi nel periodo (uno-due anni, a volte anche di più) che va dalla proposta di direttiva alla direttiva adottata ? I partiti dovrebbero lavorare un po’ di più per essere sicuri di avere i candidati giusti, e i cittadini dovrebbero lavorare un po’ di più e cercare di scegliere bene, di individuare i rappresentanti che poi sono davvero pronti ad andare su al nord a lavorare per i cittadini italiani.

Esempio concreto di utilità dell’azione comunitaria, nei modi e nelle forme che ho sinteticamente illustrato, e poi chiudo. Parliamo di ambiente: è un dato di fatto che l’80% della normativa ambientale negli Stati membri discende da obblighi
comunitari.

Cioè i legislatori nazionali hanno dovuto adottare leggi in materia di habitat e biodiversità, qualità dell’acqua potabile, qualità dei corsi d’acqua e dei mari, qualità dell’aria, corretta gestione dei rifiuti normali e pericolosi, limiti alle emissioni di sostanze pericolose da parte degli impianti industriali, protezione del suolo, limiti al contenuto in metalli pesanti e sostanze pericolose nei beni di consumo, batterie e così via, obbligo di valutazione di impatto ambientale prima dell’autorizzazione di progetti potenzialmente nocivi per l’ambiente, perché negli ultimi 40 anni (da quando cioè la UE ha ricevuto una competenza concorrente con quella degli Stati membri e, in Italia, delle Regioni) le direttive comunitarie lo hanno loro imposto.

Questo non significa che magari tante leggi non sarebbero state prima o poi adottate comunque, anche senza la UE. E’ un fatto però che la sensibilità per le tematiche salvaguardia dell’ambiente, il concetto di un benessere dei cittadini più ampio, comprensivo del diritto di vivere in un ambiente sano, e del diritto di salvaguardare il territorio anche a beneficio dei miei figli e nipoti, la spinta, tra i diversi alternativi percorsi di sviluppo, verso quello meno miope, appunto, più sostenibile, si è espressa prima a Bruxelles che in molte altre capitali.

L’attuale grande sforzo per la lotta al cambiamento climatico si inserisce in questo solco ormai pluridecennale: sviluppo intelligente, con meno sprechi, guardando al futuro dei nostri figli.

Voi mi direte che comunque, nonostante tutti gli sforzi e tutta la normativa, nulla può fare la UE se gli Stati membri poi le direttive non le rispettano. Vero. Vero che qualche strumento per convincere i recalcitranti c’è (procedure di infrazione e via dicendo), ma si tratta comunque di rimedi dagli effetti limitati. La responsabilità dell’azione concreta di attuazione delle politiche comunitarie, pur con le risorse economiche europee, è degli Stati membri, ricade cioè sui nostri amministratori pubblici, nazionali e regionali.

Ma rimane importante esserci quando si decide, e riportare poi in patria informazione e promozione di ciò che va fatto per il benessere collettivo. Utopia nel nostro paese ? Mah, a me parrebbe solo ragionevolezza