Donne libere di scegliere

di Bianca La Rocca
da www.womenews.net

Affrontiamo, non senza una qualche fatica, il tema del rapporto tra Berlusconi e l’universo femminile. Un tema che avremmo preferito liquidare con noncuranza e un certo fastidio bollandolo come “pettegolezzo”, ma che è stato lo stesso Berlusconi a porre al centro del dibattito. Ci interessa, invece, la libertà di scelta delle donne e il prezzo pagato per ottenerla. Quando vediamo quei corpi femminili, esibiti e ammiccanti, accanto a uomini vestiti di tutto punto, ci rendiamo perfettamente conto che quelle donne non esistono e che non rappresentano nessuna di noi. Con molta probabilità non rappresentano nemmeno loro stesse

Una delle rivendicazioni prioritarie dei movimenti di liberazione delle donne, sin dai suoi albori, è stato quello della libertà di scelta. Dalle cose più semplici, come il vestirsi, l’acconciarsi i capelli a quelle più complesse: lo studio, il lavoro, la maternità, la propria vita. Poter scegliere liberamente senza essere giudicate, assolte o condannate. Sembrerà un paradosso, ma all’inizio sembrava quasi impossibile, ed invece mano a mano che le democrazie e i movimenti di massa avanzavano sul terreno delle conquiste sociali, anche le rivendicazioni personali ottenevano riconoscimenti fino a pochi decenni prima inconcepibili.

Oggi, non vi è carta costituzionale di qualsiasi grande democrazia occidentale che non rivendichi parità di diritti tra i sessi e che non auspichi l’abbattimento di ogni ostacolo alla piena e consapevole formazione dell’individuo, donna o uomo che sia. Certo ottenere tali riconoscimenti non è stato indolore, molte sono state le sofferenze. In molte realtà, ancora oggi, dalla teoria alla prassi si apre un abisso, ma, in linea di massima, le donne occidentali sanno di avere dei diritti e sanno di poterli esercitare. Alcune sono abbastanza forti per riuscirvi individualmente, altre hanno bisogno di essere aiutate, altre pensano, non a torto, che è l’unione a fare la forza e si organizzano.

Questa premessa mi permette di affrontare, non senza una qualche fatica, il tema del rapporto tra Berlusconi e l’universo femminile. Un tema che avrei preferito liquidare con noncuranza e un certo fastidio bollandolo come “pettegolezzo da parrucchiera”, (senza alcuna offesa per questa nobile professione), ma che è stato lo stesso Berlusconi a porre al centro del dibattito, trasformando la propria immagine in un banalissimo copione da fotoromanzo di quarta categoria. Naturalmente, non sono interessata al gossip, non è mai stata una mia passione, appartiene a mondi e contesti culturali che non frequento e che lo ammetto, anche a costo di essere accusata di un certo snobismo, disprezzo e non poco. Mi interessa, invece, la libertà di scelta delle donne e il prezzo pagato per ottenerla.

Tutte le donne hanno compreso, sulla propria pelle, che il primo grosso ostacolo alla propria libertà individuale è il proprio corpo. Per secoli nascosto e ristretto negli angusti spazi del “non essere”, “muto” e “usato per la procreazione della specie”. Uniche eccezioni consentite: la strada del meretricio o quella della follia. Nella prima il marchio della perdizione era impresso sulla pelle, nella seconda era il fuoco purificatore a rendere giustizia di quel corpo, e di quella mente, ribelle. Ci sono voluti secoli perché le donne cominciassero a scrollarsi di dosso abiti e complessi di colpa.

Quello stesso corpo femminile che, fino a quel momento, era stato rappresentato in modo incorporeo ed evanescente (sono poche le Madonne a cui viene raffigurato il seno) o, al contrario, carnale e lascivo perso nella propria dannazione e colpa, non apparteneva a nessuna donna reale, ma era modellato secondo una visione puramente maschile. Nell’uno o nell’altro caso, era la rappresentazione di un corpo subordinato, muto, senza talento e idee. Da qui la rivendicazione di un realismo che permettesse a tutte di esprimersi con il proprio corpo, acerbo o maturo, sano o malato, dalle forme aggraziate o sovrappeso, filiforme o gravato dalla maternità, ma pur sempre parlante e significante nei ruoli di donna, di madre, di sorella, di figlia, di amante. Un corpo che rappresentasse il proprio esistere, non più celato, ma esibito con tutti i suoi limiti e le sue imperfezioni. Perché se una donna è libera con e nel proprio corpo, è anche libera di scegliere.

Non inganniamoci, non è una banalità. Quando vediamo in televisione quei corpi femminili, esibiti e ammiccanti, accanto a uomini vestiti di tutto punto, ci rendiamo perfettamente conto che quelle donne non esistono e che non rappresentano nessuna di noi. Con molta probabilità non rappresentano nemmeno loro stesse. Lo sappiamo, ma non troviamo il coraggio di dirlo. Abbiamo paura di esprimere questo pensiero per timore di essere viste come moraliste, di vedersi attaccare sul lato estetico, di essere considerate invidiose o, peggio ancora, femministe. Non ci rendiamo conto che quei corpi strizzati in abiti succinti, e quei mascheroni privi di una qualsiasi espressione per i troppi ritocchi chirurgici, hanno lo stesso identico valore mortificante e umiliante del burka afgano.

Sono i corpi di donne violate, mutilate, umiliate, comprate e vendute. Violate dagli sguardi di una telecamera nella propria intimità, che rimanda ai tanti sguardi maschili, vendute al migliore offerente nel postribolo mediatico, usate e gettate nella pattumiera dal consumatore, con un semplice zapping. Pensiamo di trovarci di fronte a donne libere e invece è solo merce che si avaria nel breve attimo di uno sbadiglio.

Non è un problema di bellezza. Avere un bell’aspetto, curarlo, non è una colpa. Ma l’unica vera bellezza rimane quella della propria unicità, del proprio difetto, di una ruga che segna il viso, di occhiaie che tradiscono notti insonni di studio, lavoro e amore. L’unica vera bellezza è quella che incontriamo ogni giorno in chi ci cammina a fianco. E’ quel sapere invecchiare con eleganza e leggerezza, consapevoli dell’aver saputo dare un significato alla propria esistenza. L’unica vera bellezza è l’aver potuto scegliere.

Non fraintendetemi, un corpo nudo, femminile o maschile, non è di per sé scandaloso. E’ ciò che siamo, il nostro corpo ci accompagna per tutta la vita, su di esso sono impressi i segni della nostra esistenza, le gioie delle vittorie, le lacrime delle sconfitte, i lividi delle cadute. La vera bellezza è poterle mostrare. Non fingo di non sapere che il modello proposto può affascinare soprattutto le menti più giovani, perché è indotto con estrema astuzia, finto e subdolo, diabolico fino alla dannazione. Ma rimane quello che è sempre stato: un modello violento e sessista.

E’ un modello vecchio, il modello di uomini che non hanno mai avuto il coraggio di guardare dritto negli occhi una donna, che non riconoscono nell’altro sesso un desiderio di completezza, che pensano di poter comprare tutto e possedere tutto, che stabiliscono un prezzo per ogni cosa, e non si rendono conto è il loro animo a non avere alcun valore. Possono comprarsi cortigiane e servi subdoli e sciocchi, ma non avranno mai al proprio fianco un vero amico. Pensano di essere amati, ma in fin dei conti, sono sempre soli. Generalmente non si avviano verso un glorioso tramonto, ma finiscono i loro giorni abbandonati e maledetti da tutti.

Un donna veramente libera di scegliere non sceglierebbe mai un uomo di questo tipo, ma quello che ha il coraggio di vedere, nel proprio volto di fanciulla, la luce di uno sguardo d’amore, e in quello di donna, l’alba di un sorriso stanco e l’abbandono di un sogno.
La giovane Noemi non ha scelto. Le è stato fatto credere questo, ma è stata solo ingannata. Una giovane ragazza intrappolata in un mondo di ipocrisie e falsità, che disquisiscono sull’ingenuità della minore età (Giuliano Ferrara), sulla propria illibatezza (il padre), sui ritocchi di photoshop (il fidanzato), su quelle strane telefonate che la facevano ridere (l’ex-fidanzato), sugli alti valori educativi che le sono stati
impartiti (la madre) e sul suo essere, in fin dei conti, bruttina e per di più napoletana (Roberto Calderoli).

Se avesse potuto scegliere, la giovane Noemi, come tutte le Noemi di tutte le periferie del mondo, avrebbe fatto a meno di tutti loro commenti, di quelle pose indotte, di quei viaggi organizzati per esibire le proprie grazie e fungere da soprammobile. Se avesse potuto scegliere, la giovane Noemi, sarebbe corsa felice e innamorata verso il più bel ragazzo del rione, magari povero in canna, ma ribelle e poeta. Una bella faccia da schiaffi che scrivesse e cantasse versi solo per lei. Sono questi i sogni delle sedicenni di oggi, come di quelle di ieri. Poi la realtà è un’altra cosa, si sa, ma per comprenderla vi è tutta una vita davanti, non vi è alcun bisogno di distruggere i propri sogni a sedici anni. Anche questi aiutano a crescere.

In fondo, l’unica vera domanda che andrebbe posta a tutti gli italiani è: può essere ritenuto affidabile e credibile per la guida di un Paese un uomo di oltre settanta anni che, investito di una così alta carica istituzionale, impiega il proprio tempo a distruggere i sogni di un’adolescente? Una domanda se volete pleonastica. La risposta è nei fatti. L’argomento si chiude qui. Non vi è null’altro da aggiungere.