BAGNASCO: IL PECCATO E IL PERDONO

di Rosa Ana De Santis
da www.altrenotizie.org

Il capo dei vescovi, Cardinale Bagnasco, sull’onda delle proposte del Cardinal Martini, presentate nel suo ultimo libro Siamo tutti sulla stessa barca, scritto con don Verzè, riconosce l’urgenza di una pastorale cattolica più attenta ai divorziati risposati, alla nuova immagine e sostanza della famiglia italiana. Spaccati di società e costume rimasti finora fuori dalle porte delle basiliche, in totale noncuranza della loro fede, forse ora potranno trovare nuova considerazione nel catechismo per gli adulti. Sul sacramento dell’eucaristia Bagnasco non sposa le proposte di Carlo Maria Martini, troppo attente alle metamorfosi sociali della contemporaneità, all’incarnazione nel tempo storico della religione. I due non condividono una medesima lettura del significato del peccato, tantomeno del perdono. Eppure la distinzione tra errore ed errante è al centro di tutta l’escatologia cristiano-cattolica ed è la caratteristica distintiva di un dio che non punisce come giudice da vecchio testamento, ma sa usare misericordia. Una distinzione che aveva ispirato tutta l’enciclica di Giovanni XXIII Pacem in Terris.

La timida apertura dei vertici cattolici ai peccatori segue, quasi grottescamente, alle polemiche dell’arcivescovo di Bologna, cardinale Carlo Caffarra, scatenate contro lo spot pubblicitario della Renault in onda da non molto tempo sulle nostre televisioni. Una pubblicità che, ritraendo abitudini di una cosiddetta famiglia allargata, “inciterebbe al peccato” del divorzio e dei figli concepiti fuori dal matrimonio. A dire la verità il cardinale, in totale mancanza di onestà intellettuale, addebita allo spot in questione un elogio della poligamia che poco ha a che fare, per persone che non siano ubriache di dogmatica, con il diritto e la libertà di contrarre nuovi matrimoni dopo la separazione. Nell’antropologia la poligamia è un’altra storia. Non per lo Stato della Chiesa ovviamente. Per la fede cattolica infatti si rimane sposati per sempre e anche oltre la vita terrena. Questo sceglie chi si sposa secondo il rito religioso cattolico.

Cosa é disposta a concedere la Chiesa ai suoi fedeli che hanno peccato? Per adesso qualche briciola. Al cospetto di famiglie sempre più fragili e in crisi la pastorale evangelica dovrà investire ancora di più sulla guida spirituale degli sposi e dei genitori. Non ha detto molto di più il Cardinal Bagnasco. L’idea che la Chiesa invece debba fare di più, accogliere questa nuova tipologia di famiglia, i gay e le donne che hanno scelto l’aborto è il commento che il ministro per l’Attuazione del Programma di Governo, Gianfranco Rotondi, ha espresso in merito alle parole del presidente della Cei. Fantascienza per ora.

Quello che deve fare male ai fedeli della Chiesa di Roma non è tanto la lista dei peccati e la ricetta dell’espiazione, quanto l’assenza teorica, nella prassi saltata dalla lungimiranza eccezionale di qualche sacerdote, di una possibilità di perdono e di riammissione nella comunità dei credenti. Perché il peccato “imperdonabile”, va detto, non è tanto la separazione, quanto la non rinuncia a una nuova vita affettiva ovvero la non castità. Per i gay quello che fa davvero scandalo non è la tendenza sessuale che si ha, ma il non astenersi dai rapporti sessuali con persone dello stesso sesso. Il nodo fondamentale e medievale rimane sempre quello della castità sessuale.

Un rigore feroce che scompare all’improvviso, proprio quando le liste dei sacramenti promettono guadagni. E’ allora che poco importa che le coppie contraggano matrimoni senza testimoniare una fede autentica e appena dopo aver conseguito penosi corsi intensivi di una settimana. Poco importa che i due fidanzati scelgano una chiesa come si sceglie una location di festeggiamenti, pagando laute offerte, e scomparendo poi da qualsiasi pastorale della Chiesa. Poco importa di battesimi cui non segue quasi mai un’autentica educazione alla fede cattolica dei figli. Poco importa se un Tribunale ecclesiastico può non annullare, ma dichiarare mai avvenuto un sacramento come quello delle nozze.

Una manovra degna di un Azzeccagarbugli meno imbranato di quello manzoniano che porta succulenti incassi nelle tasche dei porporati. Ecco che tutto torna e che il rigore sbandierato per punire i peccatori non viene adottato per chi si finge cattolico per un giorno e per una tradizione. E’ il denaro ad assolvere.

La doppia linea della Chiesa oltre a svelare un tradimento della vera spiritualità cristiana, recupera un senso del peccato che alla Chiesa post-conciliare non dovrebbe appartenere più. La lista dei divieti e dei proscritti è preistoria del catechismo e qualsiasi evangelizzazione rivolta ai più giovani che volesse avere qualche possibilità di successo non dovrebbe concentrarsi mai sulla singola azione sbagliata, che loro chiamano peccato veniale, ma sull’esempio del bene e della fede. Questo assicura percorsi spirituali autentici e forse credenti meno fedeli. Quelli che prima o poi faranno capitolare i burocrati dello spirito.

Le riflessioni – quasi sempre tormentate – del cardinale Martini ci hanno abituato a un modo di vivere la fede e di speculare razionalmente sui risvolti più intimi dello spirito che corrode dal di dentro la palude dello stato confessionale vaticano. Nei “Colloqui notturni a Gerusalemme” viene raccontato alla sensibilità di tutti, anche di chi non crede, la bellezza di un dio che non può assomigliare granché a quello cattolico.

La firma di Don Verzè all’ultimo lavoro di Martini spinge a chiedersi se non ci sia la solita mission del fondatore del San Raffaele a trovare, ora persino in sede accademico-dogmatica, opzioni di riscatto e difesa per le turbe private e sentimentali del premier Berlusconi. C’è chi l’ha pensato e insinuato. La scorciatoia per un’indulgenza ad una vita privata non proprio rigorosa come la chiesa romana raccomanda. Ma per una volta l’eccezione non sarebbe un privilegio da far saltare sulla sedia. Non si configurerebbe il solito schema della legge ad personam.

Oltre al premier, a Fini, a Casini e a qualche altro amico del Family Day, tantissimi papà e mamme italiane credenti potrebbero non essere più additati come scandalo e non dover ricorrere alla parrocchia lontana da casa per prendere i sacramenti senza essere riconosciuti. Perché è proprio questo quello che insegna il catechismo dell’ipocrisia. Un volgare salvacondotto per acquistare in saldo un cammino di fede. I trenta denari di Giuda.