L’Europa dimenticata

di Paolo Acunzo
da www.aprileonline.info

L’elettore si è trovato schiacciato in mezzo ad una campagna elettorale che parlava quasi unicamente di temi nazionali, e vedeva che coloro che parlavano d’Europa erano coloro che la denigravano. Lo stesso PSE non ha avuto il coraggio di contrapporre neanche simbolicamente un candidato alternativo alla presidenza della Commissione europea al designato conservatore Barroso, che poteva dare di per sé un ulteriore significato alle elezioni e un segnale che si poteva provare a cambiare gli equilibri del vecchio continente

Il dato che fa più impressione di queste elezioni continentali è il tasso di partecipazione: quasi il 60% degli europei ha deciso di fare qualcosa di più interessante rispetto ad andare a votare, dimenticando l’Europa a casa. Impressiona che l’affluenza minore si è registrato proprio in quei paesi in cui la nuova adesione faceva pensare ad un maggiore interesse nella competizione europea. Infatti in paesi di recente adesione come la Romania, la Slovacchia o la Lituania solo circa il 20% degli elettori ha deciso di recarsi alle urne, mentre tra quelli fondatori si è registrata una affluenza massiccia, come in Belgio e Lussemburgo dove il voto obbligatorio ha portato circa il 90% degli elettori a votare.

A pensarci bene tale atteggiamento non può meravigliare. In tutta Europa quasi tutti partiti hanno giocato una campagna elettorale basata su temi di politica nazionale, dimenticando la ragione vera per cui gli elettori venivano chiamati alle urne, ossia l’Europa. Inoltre le motivazioni che hanno spinto ad aderire nelle diverse fasi storiche i 27 paesi membri sono profondamente diversificati. Inoltre ormai è diffuso l’atteggiamento da parte di quasi tutti i governi nazionali di scaricare la responsabilità politica ed economica su Bruxelles per qualsiasi questione che possa creare problemi sociali nazionali.

Per assurdo gli unici che non si sono dimenticati dell’Europa durante la campagna elettorale sono stati proprio gli schieramenti della destra populista e xenofoba, ovvero quelle forze che vengono generalmente catalogate come euroscettiche, vere vincitrici di queste elezioni. Hanno fissato l’obiettivo di dipingere l’Europa come patria delle burocrazie e dei banchieri, promotrice della società multiculturale e dell’immigrazione, impotente davanti alla crisi economica che deve essere sconfitta grazie alla chiusura ermetica di muri intorno i propri confini nazionali.

Non per niente partiti neo fascisti hanno eletto per la prima volta propri rappresentanti in Romania, Austria, Olanda e nella stessa Germania; in Inghilterra il Partito eurofobico UKIP è diventato il secondo partito britannico, scavalcando i laburisti al governo, e inducendo i conservatori a schierarsi su posizioni più euroscettiche che lo porteranno fuori dal PPE, considerato troppo europeista; per la prima volta proprio un movimento euroscettico si è presentato come vero partito transnazionale europeo, Libertas, che faceva del No irlandese al trattato di Lisbona e dell’euroscetticismo del suo fondatore, il miliardario irlandese Declan Ganley, la sua bandiera ideologica. Anche in Italia la forte affermazione della Lega Nord non può essere letta come la vittoria della forza più nettamente xenofoba ed euroscettica del panorama politico nazionale?

Fin qui si potrebbe dire che questi sono i rischi della democrazia. Ciò sarebbe vero se dall’altra parte gli elettori avessero avuto forze politiche che avessero fatto dei valori e conquiste dell’integrazione europea la bandiera della loro campagna elettorale. Ma così generalmente non è stato, non solo in Italia ma in quasi tutti i paesi dell’Unione europea. Così l’elettore si è trovato schiacciato in mezzo ad una campagna elettorale che parlava quasi unicamente di temi nazionali, e vedeva che coloro che parlavano d’Europa erano coloro che la denigravano. Lo stesso PSE non ha avuto il coraggio di contrapporre neanche simbolicamente un candidato alternativo alla presidenza della Commissione europea al designato conservatore Barroso, che poteva dare di per sé un ulteriore significato alle elezioni e un segnale che si poteva provare a cambiare gli equilibri del vecchio continente.

Invece si preferito rincorrere sui temi nazionali i 21 governi conservatori dell’Unione accettando il loro campo di competizione elettorale basato sulle paure suscitate dalla crisi. Eclatante è l’esempio Francese: il PS ha attaccato Sarkozy che aveva fatto della sua presidenza europea la bandiera elettorale, mentre il moderato Bayrou gli ha contrapposto una campagna incentrata su quali fossero i progressi da dover compiere in Europa. Quale è stato il risultato: Sarkozy ha tenuto, i socialisti sono dimezzati, Bayrou è migliorato.

L’unica eccezione continentale a tutto ciò, è stata l’affermazione un po ovunque degli ecologisti. Per loro stessa natura questi hanno parlato di cosa dovesse fare l’Europa per rispondere alla crisi ambientale, tentando di tracciare una proposta globale. Proprio in Francia tale strategia ha portato l’Europe Ecologie di Cohn Bendit, leader storico del ’68, ha raggiungere i socialisti concetrati in una campagna vecchio stampo. Affermazioni analoghe delle formazioni ecologiste si sono registrate in Germania e nei paesi scandinavi che faranno dei Verdi l’unico gruppo in crescita, insieme a quello degli euroscettici, al parlamento europeo. Non possiamo dire come sarebbe andata in Italia una scelta del genere, visto che anche in questo caso i verdi nostrani hanno preferito rinchiudersi in un dibattito perlomeno nazionale, se non settario, su quale fosse la vera sinistra residuale italiana invece di presentare una loro coerente proposta per il futuro globale.

In definitiva le forze progressiste continentali, tranne in Danimarca e in Grecia, hanno pagato la loro mancanza di coraggio, non dando una chiara alternativa europeista alla destra euroscettica, e rinchiudendosi in un dibattito perlomeno provinciale, che è riuscito a parlare principalmente a chi si riconosceva nei vecchi schemi ideologici. L’occasione di aprire il proprio orizzonte di iniziativa politica è stata persa, ma speriamo che la lezione sia stata imparata almeno per il futuro. Dimenticare l’Europa al di fuori dell’arena politica può avvantaggiare solo i populisti e nazionalisti, che osteggiano una società inclusiva e multiculturale caratteristica tradizionale del processo di integrazione europea, almeno fino ad oggi.