Osare leggere insieme la Torah, il Nuovo Testamento e il Corano

di Jean-Paul Gandin
in “Réforme” n° 3323 del 4 giugno 2009 (traduzione: www.finesettimana.org)

La Riforma ha insistito molto presto sull’importanza di leggere e di commentare la Bibbia (“Sola
scriptura”). Per i cattolici, la lettura della Bibbia ha ritrovato il suo giusto posto più recentemente, il
riferimento è quello di Dei Verbum del Vaticano II. Gli ortodossi, da parte loro, sembrano dare una
grande importanza ai commenti antichi. Per gli ebrei, l’insieme delle interpretazioni (Torah orale)
completa il racconto biblico (Torah scritta): nelle yeshivot (case di studio), il testo e la sua
comprensione sono al centro dello studio. Quanto ai musulmani, dopo i secoli d’oro della civiltà
islamica ricca di esegesi, essi temono oggi l’interpretazione del Corano, di cui conoscono una parte
dei testi a memoria, per lo più senza averlo né letto né studiato.
Tre Libri,tre culture
La lettura delle Scritture pone innanzitutto il problema delle lingue: gli ebrei leggono la Torah nella
lingua originale, vicina all’ebraico di oggi. I musulmani leggono poco il Corano: solo il 5% di loro
ne conosce la lingua “sacra”. I cristiani ricorrono a delle traduzioni per la Torah e per il Corano, ma
anche per il loro Nuovo Testamento. Due dei tre Libri derivano da una stessa cultura semitica,
essendo l’ebraico e l’arabo “cugini”; mentre il Nuovo Testamento è scritto in greco, una lingua
occidentale.
Questi testi hanno fondato tre religioni, generando loro stesse delle dogmatiche che possono essere
considerate anch’esse come delle letture. Ora, Torah, Nuovo Testamento e Corano appartengono
innanzitutto al patrimonio dell’umanità e restano a disposizione di tutti. Per questo parliamo qui di
cultura piuttosto che di religione.
Se delle comunità hanno costruito i testi, anche i testi costruiscono le comunità: la loro lettura è
costitutiva del nostro essere-insieme.
Il primo compito allora è quello di liberarci da ogni presupposto interpretativo. Per leggere il testo
dimenticando i commenti che ci sono stati dati nei sermoni e non lasciandoci “intrappolare” dalla
conoscenza che ne abbiamo. Prendere per oro colato l’interpretazione corrente non è una pratica
idolatrica, in cui il “prêt-à-croire” non è che un aspetto del “prêt-à-penser”? E il secondo compito è
cercare modestamente di capire (non fosse altro che per il fatto che la logica dei testi semitici non
rientra in un percorso cartesiano!) dei testi ancora sconosciuti.
In questo progetto, leggere insieme suppone che leggiamo il testo, ma anche che ascoltiamo i suoi
lettori (quelli di oggi e quelli di ieri) con i loro interrogativi e le loro scoperte… Questa lettura
comune permette allora l’apertura dell’interpretazione, secondo un percorso attivo e creativo.
Richiede certo un accompagnamento metodologico e degli strumenti per facilitare il lavoro ed
evitare di perdersi – non capire o seguire false piste.
Sappiamo che un testo contiene spesso dei “prestiti” da scritti precedenti: li ha fatti propri nella
rielaborazione di un mito, inventando una nuova identità umana costitutiva dell’ambiente sociale del
momento. Per questo l’approccio linguistico ed antropologico deve precedere l’investigazione
teologica. I testi possono esserci aperti con chiavi diverse: la decostruzione, l’analisi narrativa, la
semiotica, l’individuazione delle figure… Così facendo, il lettore si pone in un atteggiamento fragile
di ascolto del testo, che viene ricevuto nella sua capacità di provocare e di aprire dei significati
inattesi.
Aggiungere delle perle alla collana
L’arricchimento scaturisce allora da questa lettura sistematica. E dall’accettazione da parte del
lettore di un decentramento, di una destabilizzazione perfino, dovuti agli interrogativi che vengono
da altre culture e da altri lettori. In effetti ogni lettura è sovversiva: poiché nessuna ermeneutica è
normativo, la lettura è chiamata a produrre cose nuove e non solo a ripetere la Tradizione. Gli ebrei,
che aggiungono incessantemente delle perle alla collana dell’interpretazione ci ricordano la novità
di ogni lettura, fatta in comune alla casa di studio, dove l’ascolto del Totalmente Altro passa, lo
sappiamo, dall’ascolto dell’altro. Contro il fondamentalismo che è l’atteggiamento di colui che
pretende di essere il solo a conoscere la Parola e ad interpretare la Rivelazione.
Si pone allora il problema della trasmissione. Non si dovrebbero prendere e formalizzare delle
iniziative collettive per far sì che i Libri siano letti meglio? Per evitare che l’accesso ai testi, il loro
studio e la loro comprensione siano riservati ad una élite? E affinché l’interpretazione e la creatività
non sbocchino in confusione, divagazione o speculazione?
Evidenza e necessità
Un’evidenza: leggere consiste nell’avvicinarsi a dei testi nella loro logica e nella loro coerenza e non
parcellizzati, tolti dal loro contesto come le nostre liturgie ce li propongono. Cosa capirebbe un
lettore che limitasse la sua lettura a quel versetto del Nuovo Testamento: “Vi lascio la pace, vi do la
mia pace” (Gv 14, 27) piuttosto che a quest’altro: “Pensate che io sia venuto a portare la pace
sulla terra? No, vi dico, piuttosto la divisione.” (Lc 12,51). O a questo versetto del Corano:
“Combattete nel cammino di Dio coloro che combattono contro di voi” (II,190) piuttosto che a
quest’altro: “Dimenticheranno e perdoneranno. Non vi piace che Dio vi perdoni?” (XXIV,22)?
Darci delle opportunità per leggere correttamente suppone comprendere la cava di pietre piuttosto
che una sola pepita che ne viene estratta.
Una necessità: la lettura individuale e collettiva richiede un accompagnamento. Per questo, affinché
ogni lettura delle Scritture divenga veramente nascita di senso, non dovremmo ricorrere a dei
pedagoghi di profilo nuovo: dei mediatori tra Libro/Libri e lettori? Dei lettori che faciliterebbero la
missione educativa degli insegnanti di religione e quella dei catechisti incaricati di trasmettere la
fede.
Etty Hillesum aveva portato con sé nel campo di Westerbork la Bibbia, il Corano e il Talmud per
cercare, con altri, di “ritrovare la traccia dell’uomo nella sua nudità, nella sua fragilità, di
quell’uomo così spesso introvabile…”.
“Se resterete nella mia Parola, […] conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi.” (Gv 8,32).
Liberi, nel senso più nobile del termine, di creare senso, e liberi per meglio riceverlo. “Coloro che
hanno portato la Verità e coloro che l’hanno riconosciuta: ecco chi teme Dio.” (Corano, XXXIX,
33).