Dal Conflitto all’Utopia dell’Intendersi

di Laura Tussi
da www.peacelink.it

Conoscere l’altro può aiutare a comprendere se stessi? Forse, ragionare sul concetto del termine “conflitto” sulla base dei rapporti con gli altri, può aiutarci a dare una risposta a questa domanda. Possiamo dire che il conflitto è un punto d’arrivo: è il confronto che fa scaturire l’intesa, il capirsi. Altro punto di riferimento riguarda l’approfondimento; definendo il conflitto come “incompatibilità irriducibile delle differenze”, verificabile e verificata in ogni aspetto della vita privata e pubblica. Il conflitto è strettamente collegato con l’esistenza pratica. Non si può riflettere sul conflitto senza tenere presente che si tratta di una elaborazione, a partire dai fatti concreti.

Tutta la realtà è conflittuale in quanto formata ed articolata in miriadi di diversità, in cui la differenza fondamentale della coppia umana originaria è il parametro, la metafora, la cifra di ogni differenza. Che le donne abbiano posto al centro della loro riflessione la conflittualità esistenziale dimostra che vogliono considerarsi pienamente inserite nella realtà di ogni ambito (sociopolitico, familiare, ecclesiale, mondiale, planetario) ed allargare la loro progettualità a reinventare criteri diversi di relazione e di giudizio della realtà stessa, a cambiare i processi deteriorati mediante i quali si codificano le istituzioni ed i poteri.

Il problema nasce quando si vuole “sanare”, “appianare” il conflitto, perché generalmente esso è inquadrato ed affrontato in termini gerarchici, di inferiorità e di superiorità, di divisione, di esclusione, di dualismo (i due poli della diversità) di aggressività; cose che nella pattualità della vita si traducono in dominio e sopraffazione, razzismo, prevaricazione, guerra, sfruttamento ed abuso dell’altro, del diverso, ma anche omologazione e insabbiamento delle differenze: violenze, sperpero, massacri. Abbiamo sotto gli occhi lo scenario degli orrori che vicini o lontani si consumano e si aizzano ogni giorno respingendo l’umanità a livelli di repressione e di imbarbarimento di cui le parti sociali deboli, in primis donne e bambini, subiscono lo scempio più atroce.

IL RISPETTO DELLE DIFFERENZE

Il rispetto delle differenze, caricando la parola “rispetto” di tutta l’ampiezza e concretezza di significato: il termine “rispetto” non è una convenzione verbale o un manierismo o un pronunciamento generico, ma è l’effettivo riconoscere con atti concreti, visibili, che il tuo esistere, che il tuo essere donna (o uomo, vecchio, bambino, extracomunitario, malato, escluso) è importante per me, per la società e per la Chiesa. Rispetto e il prendere sul serio, non solo lasciar parlare, ma ascoltare con attenzione chi ha voce in capitolo per l’esperienza che vive in chiave “donna” in cui vuol dire ad esempio: non attribuire alle donne per concessione ciò che spetta loro di diritto; non intervenire sulle donne senza interpellarle, soprattutto quando sono le dirette interessate; il discorso verte non sull’uguaglianza delle funzioni, ma sulla parità decisionale, sulla parità di trattamento e del riconoscimento effettivo del loro peso nella società civile ed ecclesiale, a partire dall’essere riconosciute come soggetti capaci di responsabilità, di serietà, di autodeterminazione.

IL RECUPERO O LA FONDAZIONE DI UNA CULTURA DELL’UMANITA’

In questo mondo sempre più planetario e così arroccato nei propri particolarismi, non solo come difesa della specie e come recupero della civiltà, ma come riscoperta della comune matrice umana. Il positivo della differenza si valuta anche attraverso il riconoscimento del suo lato oscuro. Soprattutto dell’utopia assumiamo e rilanciamo la spinta vitale, lo slancio costruttivo e gratuito, la carica creativa, la responsabilità della speranza, la serietà del lavoratore insieme senza arrenderci, il coraggio e la bellezza di non svendere la nostra identità di donne, il nostro proprio sapere la vita, la morte, il dolore, la fatica, il sorriso ed il pianto come volontà di non lasciare le cose come stanno a partire dalla presa di coscienza del nostro valore e della capacità di trasformare le piccole grandi cose di ogni giorno.

IL RISPETTO DELLE DIFFERENZE

Il rispetto delle differenze, caricando la parola “rispetto” di tutta l’ampiezza e concretezza di significato: il termine “rispetto” non è una convenzione verbale o un manierismo o un pronunciamento generico, ma è l’effettivo riconoscere con atti concreti, visibili, che il tuo esistere, che il tuo essere donna (o uomo, vecchio, bambino, extracomunitario, malato, escluso) è importante per me, per la società e per la Chiesa. Rispetto e il prendere sul serio, non solo lasciar parlare, ma ascoltare con attenzione chi ha voce in capitolo per l’esperienza che vive in chiave “donna” in cui vuoI dire ad esempio: non attribuire alle donne per concessione ciò che spetta loro di diritto; non intervenire sulle donne senza interpellarle, soprattutto quando sono le dirette interessate; il discorso verte non sull’uguaglianza delle funzioni, ma sulla parità decisionale, sulla parità di trattamento e del riconoscimento effettivo del loro peso nella società civile ed ecclesiale, a partire dall’essere riconosciute come soggetti capaci di responsabilità, di serietà, di autodeterminazione.