La spesa per gli armamenti a livelli da II guerra mondiale

di Lucia Alessi
da www.carta.org

Cifre da record per le spese militari mondiali per il 2008. A pochi giorni dalla chiusura della settimana mondiale di azione contro le bombe di dispersione [tipo cluster bombs], celebrata in 50 paesi per chiedere ai governi un maggiore impegno nell’applicazione del Trattato di Oslo contro le bombe di dispersione, è stato infatti presentato ieri il rapporto 2009 dell’istituto internazionale di Stoccolma per la ricerca sugli armamenti [Sipri]. Secondo il rapporto, l’Italia nel 2008 è responsabile del 2,8 per cento delle spese mondiali per la difesa, per un importo pari a 40,6 miliardi di dollari spesi, pari a 689 dollari pro capite. Una crescita dell’1,8 per cento rispetto al 2007, quindi, quando l’Italia aumentò la spesa militare per un totale di 32,1 miliardi di dollari.

Considerando la spesa mondiale procapite, 1.464 miliardi di dollari in spese militari, pari circa al 2,4 per cento del pil globale e a 217 dollari a persona, gli italiani hanno sborsato una cifra consistente.
Pur ferma all’ottavo posto, la spesa pro capite dell’Italia supera quella tedesca [46,8 miliardi di dollari nel 2008] e giapponesi [46,3 miliardi], rispettivamente sesto e settimo posto, ma con una spesa procapite di 568 dollari in Germania e 361 dollari in Giappone.

Neanche la Cina regge il confronto, pur guadagnando per la prima volta il secondo posto dopo gli Stati Uniti, con una crescita del 194 per cento nell’ultimo decennio, per un totale di ben 84,9 miliardi di dollari di spesa all’anno, che suddivisi per una popolazione di 1,3 miliardi di persone porta a soli 63 dollari a testa la spesa procapite cinese. Al quinto posto in classifica si posiziona la Russia, con una spesa militare di 58,6 miliardi di dollari, ma una spesa procapite di «soli» 413 dollari.

Medaglia d’oro ancora per gli Stati uniti, con una spesa di 607 miliardi di dollari, pari a ben 1.967 dollari procapite, mentre la Francia, con 65,7 miliardi si aggiudica il terzo posto, con una spesa procapite di 1.061 dollari, poco meno dei 1.070 della Gran Bretagna, che si aggiudica però «solo» un quarto posto con i 65,3 miliardi impegnati per la difesa.

Un’eccezione è l’Iraq, dove il budget militare è cresciuto del 133 per cento rispetto al 2007, anche se, secondo il Sipri, «l’Iraq resta fortemente dipendente dalle forniture di armi provenienti dagli Stati Uniti». A livello mondiale, la spesa militare è aumentata del 45 per cento negli ultimi dieci anni, ma alcuni paesi, come l’Italia, hanno invece visto un forte rallentamento nel settore.

Se il Bel paese, infatti, ha limitato allo 0,4 per cento la crescita della spesa, anche Francia, Germania e Giappone sono in frenata. Ancora insoddisfatte, Cina e Russia hanno invece triplicato la loro spesa, mentre Corea del sud, Arabia saudita e Stati uniti hanno segnato per lo meno un raddoppio. Ma la crisi si affaccia sul pianeta e i ministeri della difesa ci si devono confrontare.

I dati del rapporto 2009 raccontano un andamento precedente allo scoppio della crisi, ma il 2009, per esempio in Italia, ha visto già consistenti tagli alle spese militari, proprio a causa della crisi. Esempio seguito da Lituania, Serbia, Spagna, Svezia e Lettonia. E all’Italia spetta ancora l’ottavo posto, secondo il rapporto Sipri, anche per quanto riguarda la produzione di armi, almeno secondo i dati 2007: In un anno sono state vendute armi italiane per un totale di 11,6 miliardi di dollari, il 3,4 per cento in più rispetto al 2006 [10,2 miliardi di dollari].

Tra le aziende nazionali, il primato spetta a Finmeccanica, al nono posto nella classifica «Top 100» dei produttori, con profitto di 713 milioni di dollari, e un indotto di 9,8 miliardi di dollari, grazie alla vendita di oltre un miliardo di dollari di armi in più rispetto al 2006 quando aveva totalizzato vendite per 8,6 miliardi. Un mercato, quello delle armi, che non conosce crisi, a giudicare dalla crescita globale del 4 per cento delle vendite di armamenti per il 2008, raggiungendo la cifra record di 1.464 miliardi di dollari, il 45 per cento in più rispetto al 1999.

Il Sipri spiega anche che «dal 2002 il valore delle armi è cresciuto del 37 per cento», poiché «durante gli otto anni della presidenza di George W. Bush la spesa militare è aumentata a livelli che non si registravano dalla Seconda guerra mondiale». Un periodo di particolare continuità che ha permesso il consolidamento dell’industria delle armi, iniziato già a partire dai primi anni Novanta».
Insieme, infatti, le guerre in Afghanistan e in Iraq sono costate agli Stati Uniti 903 miliardi di dollari, ma «l’idea della ‘guerra al terrore’ ha incoraggiato molti paesi a guardare i propri problemi attraverso una lente altamente militarizzata, usandola per giustificare l’aumento delle spese miliari», ha concluso il Sipri. «Questo comportamento ha contribuito anche a far crescere vertiginosamente i deficit di bilancio».