Dalle urne paure e speranze

di Simone Sormani
da www.aprileonline.info

Le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo dello scorso 6 e 7 giugno sono state tra le più significative nella storia di questa consultazione elettorale. Le dimensioni globali della crisi economica hanno portato i quasi 500 milioni di cittadini europei ad esprimere un voto che non fosse solo relativo a questioni di politica interna e nazionale ma, per la prima volta, a confrontarsi con i grandi temi di respiro continentale: l’allargamento dei confini dell’Unione, la necessità di una politica dell’immigrazione a livello sovranazionale e non più nazionale, la liberalizzazione dei settori economici e i condizionamenti in materia di politiche del lavoro e della spesa pubblica imposti dall’Europa, la politica monetaria.

Ciò che è uscito dalle urne è la solenne bocciatura, un giudizio tranchant, riguardo una certa idea di Europa e l’utopia mercantilistico-capitalista che ha guidato in buona parte il processo di integrazione, e cioè il progetto di una Europa dominata dalle uniche leggi del mercato,di una economia senza regole, di una vasta area di libero scambio dove i lavoratori, le famiglie, i governi, le stesse identità culturali e nazionali fossero piegate alle esigenze di profitto delle imprese e della finanza. L’idea, troppo a lungo coltivata, che dopo la fine del socialismo si potesse ritornare a un passato fallimentare, sul quale la storia e la politica già avevano emesso il loro verdetto, a quel concetto di economia liberale pre-marxista e pre-keynesiana, sepolto dalla Grande Crisi del 1929, con un ambizione in più: che, in una Europa retta per lo più da tecnocrati e burocrati, fossero, finalmente, le grandi lobbie imprenditoriali e finanziarie a dettare l’agenda politica alle istituzioni democratiche nazionali e internazionali.

Il non aver preso in considerazione il costante e crescente atteggiamento di indifferenza e in alcuni casi di netta avversione e opposizione da parte dei cittadini europei alle decisioni politiche prese in sede comunitaria (si vedano a riguardo gli esiti negativi di alcuni referendum: quello francese e olandese sulla Costituzione Europea e quello irlandese, recentissimo, sul Trattato di Nizza) il distacco verso istituzioni che, a eccezione del Parlamento di Strasburgo, hanno carattere burocratico e tecnocratico e non democratico, il crescente tasso di astensionismo che ha accompagnato nel tempo le elezioni per il rinnovo di quest’ultimo, il progressivo sfaldarsi del sistema finanziario e industriale occidentale sotto i pesanti colpi della crisi economica hanno fatto crollare di colpo la costruzione avviata con il Trattato di Maastricht.

Proprio la forte insicurezza sociale e il senso di precarietà generati dalla crisi del sistema economico occidentale hanno indotto i cittadini europei a porsi la domanda cruciale: può l’Unione Europea così com’è, e cioè una Unione del mercato e delle imprese e non dei diritti e delle regole, rappresentare un luogo di tutela dei lavoratori e delle famiglie, del loro benessere e della loro sicurezza? Può essere realmente questa Europa una occasione e un trampolino di lancio per i giovani? Evidentemente no. L’Europa così com’è è solo una opportunità per pochi e non un vantaggio per tutti. Proprio nel momento in cui l’America si scopre “socialdemocratica” i cittadini hanno staccato definitivamente la spina al cuore malato della vecchia Europa liberale, in attesa di delineare più compiutamente un nuovo modello sociale di Europa più vicino ai bisogni di sicurezza e protezione delle classi più deboli. Tale modello non esiste ancora nella forma di un progetto politico definito e strutturato, ma solo nei desiderata di ampie porzioni del popolo europeo, e viene espresso in maniera contrastante e ambigua, incoerente e in alcuni casi drammatica.

La geografia politica di questo voto infatti, nonostante la complessità e l’eterogeneità dei risultati, sui quali in alcuni casi hanno pesato specifiche situazioni nazionali e interne (come nel caso dell’Italia e dell’Inghilterra), si potrebbe dividere sostanzialmente in due “blocchi”. Il primo è quello dei paesi dove la protesta e il disagio sociale hanno assunto le forme della paura, della rabbia, della chiusura ai valori della democrazia e della solidarietà attraverso l’esplosione dei partiti cosiddetti “euroscettici” e xenofobi dell’estrema destra. Questo sentimento è prevalso in quasi tutti i paesi dell’est europeo, con punte di consenso anche in alcuni aree dell’Europa occidentale. In nazioni in cui il livello e la qualità del dibattito pubblico sono molto bassi, questi movimenti hanno avuto gioco facile nel rispolverare la vecchia demagogia e simbologia nazi-fascista, aizzare gli animi con l’idea di un complotto giudaico – giacobino internazionale, col ritorno ad un nazionalismo identitario esasperato, xenofobico ed antidemocratico, paventando il pericolo di una invasione mussulmana delle terre cristiane con una spirito da nuova crociata. In questi paesi ha prevalso un fatuo egoismo nazionale e di classe che porta, paradossalmente, a vedere nei più deboli, negli immigrati, nei nomadi i responsabili di una situazione di disagio e sgretolamento dei valori che evidentemente ha radice altrove.

Da una parte la paura, dall’altra la speranza di una rinascita europea fondata sulla tutela dei diritti e dei lavoratori che è stata affidata ai movimenti della sinistra radicale, anticapitalista ed ambientalista, che in molti paesi hanno visto notevolmente aumentare i loro consensi. E’quanto accaduto in Francia, Portogallo, Grecia, Germania, dove essi hanno saputo portare avanti una coerente politica di opposizione ai governi conservatori e di sostegno alle classi lavoratrici. Questo fa il paio con la caduta verticale di consensi dei partiti socialisti e socialdemocratici in tutte quelle realtà dove condividono esperienze di governo con i partiti liberali e conservatori o dove, pur essendo all’opposizione, non sono capaci di esprimere un progetto di società e di economia alternativo a quello capitalistico.
L’esempio più significativo è sicuramente quello della Germania, dove la scelta del Partito Socialdemocratico di dare vita a una Grande Coalizione di stampo liberaldemocratico con la Democrazia Cristiana piuttosto che allearsi con la sinistra radicale e i Verdi per un’alternativa socialista e di sinistra ha portato questo partito, a pochi mesi dalle elezioni politiche, ad uno dei peggiori risultati della sua storia. A fronte della debolezza dei Socialisti europei i Popolari si confermano in testa al PE quasi per forza di inerzia. Essendo al governo in quasi tutti i paesi europei hanno tutto sommato cercato da questa crisi di salvare il salvabile, attraverso interventi di salvataggio e di sostegno al mondo del lavoro che sono state più che altro operazioni di facciata per guadagnarsi la riconferma e far dimenticare ai cittadini di essere stati loro, alfieri della deregulation e del liberismo, tra i principali responsabili del disastro.

Come ha notato Bernardo Valli su Repubblica: “La destra neoliberista è diventata super keynesiana, appropriandosi in sostanza dei principi della socialdemocrazia”. Quest’ultima ha saputo opporre solo un riformismo incolore, incapace di affrontare il nodo cruciale di una trasformazione globale dell’Europa e di presentarsi con un progetto e delle idee alternative all’azione delle destre.
L’unico voto alternativo è stato quello ai partiti anticapitalisti e ambientalisti, a quella sinistra radicale la cui avanzata fa paura all’establishment molto più dell’onda nera, xenofoba ed euroscettica che ha attraversato una parte dell’Europa e che si esaurisce nell’esibizione del manganello e delle teste rasate, in slogan e vecchi simboli urlati a squarciagola ed esibiti nelle piazze, ma che fondamentalmente non è destabilizzante dell’assetto sociale e politico esistente. Essa sarà risucchiata nel sistema non appena gli effetti più immediati e critici della recessione economica saranno passati.

Il voto dato ai movimenti della sinistra
radicale ed ecologista fa paura all’establishment perché, al contrario, indica un desiderio autentico di cambiare in senso democratico il volto dell’Europa. Fa paura e per questo non se ne parla e i media tendono ad oscurarlo. Sul voto francese, per esempio, si è arrivati a falsificare la realtà proclamando quale vincitore il centro-destra quando, a conti fatti, la sinistra unita, dai socialisti ai verdi fino ai movimenti anticapitalisti arriva al 60% dei consensi. E’ un voto che fa paura anche se non nasce dalla paura ma dalla speranza. La speranza è quella di avviare una seconda fase del processo di costruzione ed integrazione dell’Europa, volta a creare una rete globale e comunitaria di affermazione e tutela dei diritti, dei lavoratori, dell’ambiente, un’Europa finalmente solidale e vicina ai bisogni concreti del suo popolo.