IRAN/7 – La “terza rivoluzione” iraniana

di Enrico Campofreda
da www.aprileonline.info – 16 giugno 2009

Cosa si gioca in Iran in queste ore e cosa c’è dietro i due schieramenti contrapposti ? Ovunque c’è il popolo, più o meno abbiente (ma non ricco perché la grande ricchezza è di pochi) o diseredato che non vuole più essere massa di manovra per la politica dei soli proclami. Della triade “libertà, indipendenza, repubblica islamica” rivendicate sin dalla cacciata dello Shah sotto la guida della rivoluzione khomeinista, l’indipendenza nazionale sganciata dai gioghi imperialisti è l’unica conquista consolidata

“Allah u Akbar”, lo gridano tutti. In piazza e oggi nella stessa piazza di Teheran dove già domenica e poi lunedì una folla oceanica d’un milione, forse due, di sostenitori di Moussavi s’è radunata contro il “dittatore Ahmadinejad”. In queste ore nello stesso luogo ci saranno anche i sostenitori del presidente rieletto e il timore che ne scaturiscano violenze incontrollabili è elevatissimo. Perciò il leader riformista ha fatto sapere che non sarà in strada e ha anche invitato i suoi a non rischiare la vita. Già si contano sette morti – ma fonti web affermano che possono essere di più – uccisi non dalla polizia bensì dai gruppi armati di basij filopresidenziali scatenati contro i verdi di Moussavi. L’alibi è stato l’assalto dei manifestanti a una loro caserma. La situazione è concitata, Ahmadinejad dopo l’annuncio dello schiacciante successo (con oltre il 62% di voti) è in Russia per un viaggio già programmato che assume contorni più di sponda politica che economica. La Guida suprema Khamenei in tivù rivolge inviti alla calma dopo aver trasformato l’iniziale posizione di avallo alla rielezione di Ahmadinejad in una più misurata riconsiderazione delle operazioni di voto e aver ordinato al Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione di aprire un’inchiesta sui brogli.

Brogli

L’ipotesi c’è, seppure i moussaviani l’hanno sollevata quasi subito in contemporanea coi proclami di schiacciante successo da parte dei pasdaran. Rispetto ai dati diffusi desta sospetto la quota dell’85% di votanti sui 46 milioni di accreditati e dell’enorme balzo in avanti delle preferenze al presidente uscente – 25 milioni – rispetto ai 17 milioni ottenuti nel secondo turno del 2005. Secondo esperti analisti del voto costituiscono ombre addirittura maggiori le alte percentuali riscontrate per lui nella capitale, dove la presenza studentesca e il ceto medio sono apertamente orientati per Moussavi, e lo scadente riscontro alle urne di quest’ultimo nella provincia dell’Azerbajan di cui è originario. Se i risultati diffusi diventano un palese inganno per l’elettorato s’è trattato d’una manovra goffa che potrà venir smascherata e che, secondo Leylaz, già sottosegretario all’Interno di Khatami e con lui sostiene Moussavi, si ritorcerà contro chi l’ha attuata perdendo totalmente ogni credibilità. Legittima sembra dunque la domanda “Dov’è il mio voto?” impressa sui cartelli che una marea di mani femminili e maschili agitava ieri mentre il leader riformista scippato appariva nel cuore della piazza con l’immancabile moglie Zahra al seguito e attorniato da guardie del corpo. Lì il quieto Moussavi ha ruggito proponendo una ripetizione della consultazioni che difficilmente Khamenei potrà riprendere in considerazione. A meno che…

Scontro politico non guerra civile

A meno che la già definita “terza rivoluzione iraniana” non produca effetti strabordanti che tramite contrapposizioni violente farebbero scorrere sangue fraterno e che vede presenti (e forse già usati) in strada i kalashnikov dei pasdaran, con conseguenze d’una pesante condizione sul fronte internazionale. L’ipotesi è lontana dalle finalità di ciascuna componente che ha nel campo del fondamentalismo sunnita, wahhabita e salafita, i propri fanatici nemici. E allora cosa si gioca in Iran in queste ore e cosa c’è dietro i due schieramenti contrapposti ? Ovunque c’è il popolo, più o meno abbiente (ma non ricco perché la grande ricchezza è di pochi) o diseredato che non vuole più essere massa di manovra per la politica dei soli proclami. Della triade “libertà, indipendenza, repubblica islamica” rivendicate sin dalla cacciata dello Shah sotto la guida della rivoluzione khomeinista, l’indipendenza nazionale sganciata dai gioghi imperialisti è l’unica conquista consolidata. L’Islam nella versione persiana, che è identitaria e per i fedeli sciiti costituisce un riscatto dalle mille vessazioni subite per secoli dai fratelli sunniti, si è realizzata secondo i princìpi del “governo del clero” voluti da Khomeini che hanno trasformato il Paese in una teocrazia. Condizione che oggi sta stretta a molti iraniani posti in affanno dallo strapotere di tanti ayatollah, anche se fra i “segnati da Dio” c’è qualche dissidente.

Quale futuro per il popolo

Sarebbe però sbagliato pensare che i malumori verso il clero si trasformino in rifiuto religioso. Il fronte laico, pur ampio soprattutto fra i giovani acculturati, non rinnega i valori dello sciismo perciò tutti gridano che “Dio è grande”. Quel che appare a un numero cospicuo d’iraniani è il tradimento del concetto di vera libertà se il voto, come sembra, viene manipolato, se Ahmadinejad si comporta come il satrapo iracheno Saddam che egli stesso un tempo ha combattuto nella guerra del milione di morti, se i pasdaran da guardiani della rivoluzione si trasformano in squadracce della repressione. Il popolo appare tuttora il grande truffato da entrambe gli schieramenti per i quali in questi giorni s’infiamma. Alla demagogia, all’uso della forza con le milizie basij all’interno e l’aggressività in politica estera di Ahmadinejad – sostenuto da una parte del clero conservatore come l’ayatollah Mesbah-Yazdi ma non amato proprio da Khamenei per certe sue antiche uscite sul khomeinismo dei combattenti contro i “chierici imboscati” – fanno da contr’altare gli equivoci e vecchi politici corrotti come l’ex presidente Rafsdajani (uno degli uomini più ricchi del Paese grazie agli intrecci finanziari sostenuti con l’Occidente) che foraggiano Moussavi. Forse sono più costoro che l’idealista Khatami a tenere alta la bandiera verde del nuovo leader riformatore per una riedizione d’uno pseudo riformismo che se ricalcasse il passato non tornerebbe granché a vantaggio della popolazione sicuramente sul fronte economico.

Ecco allora quale potrebbe essere l’amara sorpresa per chi è nuovamente pronto a morire per la rivoluzione: scoprire che la giustizia sociale, culturale, dei costumi sono ancora lontane da venire. E l’ostacolo può celarsi nei brogli degli Ahmadinejad al pari dell’ambiguità dei Moussavi.