NETHANYAU SOTTERRA IL PIANO DI PACE

di Stefania Pavone
da www.altrenotizie.org

Attesissimo e contornato da tanti punti interrogativi, da giorni e giorni di indiscrezioni, il discorso di Bibi, il più atteso della storia d’Israele, non ha sorpreso davvero nessuno. Si alla Road Map, dice Nethanyau, in risposta alle sollecitazioni dell’Obama speech del Cairo; ma no e ancora no ad uno stato palestinese veramente libero. E se Washington indica come “passi significativi” le parole di Bibi, Abu Mazen e la moderata Al Fath fanno sapere che il processo di pace è bello che morto e sepolto.

La Palestina che vuole Nethanyau, insieme ad una coalizione di destra estrema che si è preoccupata di indirizzare politicamente le coordinate del discorso del premier, sarà uno stato satellite, completamente demilitarizzato, senza Gerusalemme come propria capitale. Il sì di Nethanyau alla sovranità sui territori occupati dai palestinese sbianca lentamente, mano a mano che corrono le parole nell’aria infuocata dell’aula magna del Be- Sa Center di Tel Aviv.

Nessuno stop agli insediamenti dei coloni israeliani e dei profughi palestinesi e della loro possibilità di tornare, questione chiave di tutti i tavoli diplomatici franati sino ad oggi, neanche a parlarne: non si sognino i palestinesi di risolvere il problema dentro Israele. Nel discorso di Nethanyau la pace muore ogni momento di più, rimane il sogno proibito della terra di Palestina. Infatti, ad uno ad uno cadono, nelle parole del premier, i tasselli essenziali che hanno forgiato in tanti anni i fallimenti diplomatici degli infiniti tavoli delle paci: Gerusalemme, i profughi, la fine dell’embargo contro Gaza.

Il roboante discorso di Nethanyau, condito di pause solenni, non è da vero statista, ma da uomo della destra estrema di Israele: nulla di nulla viene davvero concesso ai palestinesi. E ancora: il rovesciamento della questione della sicurezza d’Israele sulle spalle dei vicini di casa formulato come un teorema nelle parole del premier israeliano.

Non è emerso comunque con chiarezza che cosa intenda Nethanyau per stato palestinese. Disarmato, dipendente economicamente, azzerato nella possibilità di ricomporre la sua diaspora: una concezione ristretta della sovranità e una limitata e condizionata visione dell’eterna soluzione di “due popoli e due stati”. Il riconoscimento di Israele come stato ebraico da parte dei palestinesi, posta invece come condizione vincolante alle trattative di pace, ancora una volta rivela la sostanza dell’elenco dei buoni proposito del premier Nethanyau. Come pretendere la vicinanza tra i due popoli se il riconoscimento dell’uno significa il disconoscimento della storia dell’altro?

Delusi, infatti, gli interlocutori moderati del falco israeliano. Nabil Rudeina, di Al Fatah, mette una pietra tombale sul processo di pace: “Questo discorso ha la pretesa di iscriverci al movimento sionista mondiale, ma di fatto silura tutti gli sforzi di pace”. Fischia forte l’Autorità nazionale palestinese per bocca di Saeb Erekat :“La pace può aspettare anche mille anni”. E infatti Nethanyau, che dice falsamente di volere la pace, detta richieste inaccettabili: la riapertura del negoziato dovrebbe avvenire sotto il segno dell’esclusione e della neutralizzazione di Hamas, oltre che senza armi e spazio aereo.

Parole forti, che dicono quanto il premier israeliano abbia dovuto concedere all’estrema destra in termini di identità. Sia sul principio di Gerusalemme capitale dello Stato ebraico, “unica e indivisibile”, sia sul terreno dei profughi che non possono ritornare perché” è contro il principio d’Israele in quanto stato ebraico”, la destra di Nethanyau si ricombatta salda attorno alla continuazione della politica di Sharon che ha distrutto l’identità palestinese attraverso una massiccia opera di colonizzazione dei territori.

E mentre Mitchell e Obama omettono colpevolmente di visitare Gaza nei loro brillanti viaggi in Medio Oriente, questo apparente successo della diplomazia Usa, decantato dalla stampa nazionale, fa fatica a rendersi chiaro. Nulla, infatti, è stato detto sui territori colonizzati. Nulla si è fatto per Gaza. Nulla si è deciso in merito ai modi e alle forme della sovranità palestinesi. Agli arabi di Palestina si concede al massimo di guardare sopra la testa, lì nel cielo, dove sono piovute bombe e dove oggi, nessun bambino, fa volare gli aquiloni.