Obama: tra fermezza laica ed ecumenismo etico

di Paolo Naso
da www.confronti.net

La visita del presidente degli Stati Uniti Obama all’Università cattolica di Notre Dame dell’Indiana ci consente di fare qualche considerazione su questi primi mesi del suo mandato. I media italiani hanno dato molto risalto alle contestazioni di alcuni gruppi antiabortisti, senza rendersi conto che la vera notizia era la laurea honoris causa che un’università cattolica ha conferito ad un presidente così progressista su temi quali aborto, ricerca sulle staminali e diritti degli omosessuali.

Lo scorso 17 maggio Barack Obama ha visitato l’Università Notre Dame dell’Indiana (in assoluto uno dei più autorevoli e prestigiosi istituti cattolici del paese), che gli ha conferito una laurea honoris causa. Per il presidente degli Stati Uniti è stata l’occasione per riprendere e rilanciare il confronto su temi etici delicati e sensibili come l’aborto o la ricerca sulle cellule staminali embrionali.

I giornali italiani hanno dato grande enfasi alle contestazioni giunte al presidente da qualche centinaio di attivisti del movimento «pro-life» che hanno inscenato le solite proteste agitando piccoli feti e invocando l’abolizione della legge che consente l’interruzione volontaria della gravidanza.

Come spesso accade quando racconta le dinamiche culturali e religiose degli Stati Uniti, in realtà la stampa di casa nostra ha «bucato» la vera notizia, il fatto centrale e clamoroso: e cioè che le autorità accademiche di un prestigioso istituto accademico cattolico, presieduto da un religioso autorevole e stimato come il padre John Jenkins, abbiano deciso di invitare il presidente che ha rilanciato la ricerca sulle cellule staminali embrionali, ha rifinanziato la legge sull’aborto e sta compiendo impegnativi passi sulla strada del riconoscimento delle coppie omosessuali.

Le contestazioni, limitate e in un certo senso scontate, sono state l’aspetto più «folklorico» di un evento squisitamente politico che ancora una volta illustra la particolare strategia della Casa Bianca nei confronti delle moral issues, delle questioni etiche e morali: «L’attivista omosessuale e il pastore evangelical possono tutti e due deplorare le conseguenze del virus dell’Aids – ha affermato Obama – ma si scoprono incapaci di colmare il divario culturale che impedisce loro di unire i loro sforzi; coloro che contestano la ricerca sulle cellule staminali embrionali possono difendere con ammirabile determinazione la loro convinzione radicata nel principio di “sacralità della vita”, ma esattamente come i genitori di un bambino affetto da diabete infantile che credono che difficilmente il loro figlio possa guarire. E allora la questione diventa: come usciamo da questo conflitto?».

Quello di Obama a Notre Dame è stato un discorso fermo ed ecumenico, rigoroso su di un punto ma aperto al confronto con i suoi contestatori su di un altro. Il punto fermo è che negli Stati Uniti non esiste un partito della moralità contrapposto a quello dell’immoralità, un partito della vita schierato contro quello della morte. Questo schema, tipico del linguaggio di George W. Bush e di ampi settori della destra religiosa, sembra ormai definitivamente archiviato. Esistono due orientamenti, entrambi morali ed eticamente fondati, che devono trovare il modo di incontrarsi almeno su ciò che hanno in comune. L’Obama della fermezza e del rigore. Ma subito dopo ecco l’Obama del dialogo e dell’ecumenismo: «Forse non siamo d’accordo sull’aborto – ha affermato ancora Obama – ma lavoriamo insieme per ridurre le gravidanze indesiderate, per semplificare le adozioni e per sostenere la gravidanza di quelle che donne che decidono di portarla a termine». La parola chiave dell’intero ragionamento del presidente è «common ground», terreno comune nel quale costruire per valorizzare ciò che unisce.

Obama ha ricordato che egli stesso si è formato in questa prospettiva, lavorando come operatore sociale a Chicago, nello staff di una chiesa che comprendeva cattolici, protestanti ed ebrei, bianchi, neri ed ispanici: «e fu attraverso questo lavoro – ha ricordato – che sono stato condotto a Cristo».

E qui, come ormai ci ha abituato, Obama si è lasciato andare a un sermone laico, nel quale si intrecciano valori civili e riferimenti di fede: «Ricordate che la fondamentale ironia della fede è che emette il dubbio. Le fede rimanda a cose che non si vedono. Va oltre la nostra capacità di capire che cosa Dio abbia pianificato per noi o che cosa ci chiede; ma coloro che credono in lui devono accettare che la sua saggezza sia superiore alla nostra. Il dubbio non ci deve allontanare dalla fede ma ci deve rendere umili».

Non stupisce che dopo avere ascoltato parole come queste, il pubblico cattolico di Notre Dame abbia concesso al presidente una standing ovation da stadio ed abbia lasciato le poche decine di contestatori alla loro stanca rappresentazione antiaborista. Il dibattito, infatti, oggi si sposta «più avanti» e punta al confronto ed alla reciproca legittimazione di diverse opzioni morali, nessuna delle quali può vantare – almeno nello spazio pubblico – alcuna superiorità.

Notre Dame, infatti, non mostra solo la capacità del presidente di riprendere il filo del dialogo anche con chi ha valori e standard etici assai diversi dai suoi; rivela anche la forza e la maturità di un cattolicesimo che sa cogliere questa novità. Getta anche una luce nuova su alcuni settori di quel mondo evangelical che, dopo gli anni dell’identificazione con un partito e con i valori della destra, oggi riscoprono il valore del dialogo e del confronto anche con i cristiani «liberal». Un altro mondo.