L’IRAN INATTESO

di mazzetta
da www.altrenotizie.org

L’abbozzo di rivoluzione iraniana sembra aver preso di sorpresa tutti. Sicuramente sorpreso è stato il gruppo al potere nel paese, che si è ritrovato chiaramente di fronte a qualcosa d’inatteso; ancora più sorprese sono apparse le agenzie d’informazione e le cancellerie occidentali. Anche in Israele ci sono rimasti male e sono passati da un iniziale entusiasmo per la vittoria di Ahmadinejad all’afasia di fronte al mutare dello scenario. La sorpresa denuncia l’inerzia dell’Occidente, che si era appena convinto a mutare rotta nei confronti dell’Iran di Ahmadinejad, anche sotto l’impulso dell’amministrazione Obama e che si è trovato all’improvviso superato dalla cronaca. Estremamente prudente è stata quindi la reazione delle cancellerie e dei media occidentali, tanto che proprio i media più vicini alle fazioni neo-conservatrici sono state le più svelte a sostenere la legittimità dell’affermazione del presidente uscente e a sorvolare sulle manifestazioni, inizialmente liquidiate come fisiologiche. Non per niente tra i primi a congratularsi con Ahmadinejad sono stati proprio il leader pachistano Zardari e quello afgano Karzai, segno che avevano chiaro come questo non costituisse uno sgarbo a Washington.

La rivolta iraniana non era scritta in alcun copione, lo dimostra anche la ridicola uscita della “resistenza iraniana” al soldo degli Stati Uniti, quei Mojahedin del popolo iraniano- (PMOI – ( si manifestano con molte sigle, ma sono sempre loro) che alla chiusura dei seggi ha denunciato come gli iraniani avessero boicottato le urne in massa. L’alta affluenza alle urne è invece una delle poche certezze, documentata sia dai media occidentali che dal governo e dall’opposizione iraniana. Evidentemente un proclama scritto sull’esperienza delle elezioni precedenti da soggetti che in Iran non ci mettono piede da un pezzo. Ancora più allucinate le reazioni di alcuni noti “antimperialisti”, da Chavez fino ai suoi adoratori italiani, che sono corsi immediatamente a denunciare il complotto della CIA e la rivoluzione “colorata” quanto eterodiretta dai cattivi imperialisti contro Ahmadinejad paladino popolare. Poco importa che rimanerci male e spiazzati per primi siano stati proprio i presunti burattinai americani ed israeliani, sono dettagli insignificanti per chi deve costringere la storia ad adattarsi a una narrazione preconfezionata.

La cosa non ha mancato di turbare i rivoltosi iraniani, stupiti di come quella stessa stampa che per anni ha costruito calunnie nei confronti del regime iraniano, sia rimasta in un silenzio imbarazzato proprio quando in Iran si emergeva una forza sicuramente più progressista della grigia dittatura clericale al comando ormai da 30 anni. Dittatura che in quest’occasione è parsa debole e incapace di portare a termine il passaggio elettorale in termini convincenti. Se alle elezioni precedenti Ahmadinejad non aveva avuto bisogno di aiuto perché l’opposizione aveva boicottato le elezioni, questa volta lo sfidante si presentava con un pesante sostegno alle spalle, mentre il presidente uscente portava il peso della crisi economica e d’immagine del paese. Qualcosa è andato storto, l’annuncio dei risultati è stato dato troppo presto e il risultato è sembrato esagerato e incredibile ai più, scatenando la rivolta. Un grossolano errore di valutazione, probabilmente dettato dalla presunzione tipica di chi è abituato ad esercitare il potere senza incontrare resistenza.

La novità di oggi non è nella rivolta, quanto nella sua natura. Se le precedenti rivolte in Iran sono emerse in virtù dell’impulso studentesco, quest’ultima ha invece un carattere decisamente più universale, tanto che la repressione violenta pur messa immediatamente in campo dal potere, non sembra in grado di fiaccarla. Per la prima volta dalla parte dei rivoltosi ci sono pezzi grossi dell’apparato statale e del clero; per non parlare delle elite economiche; per la prima volta c’è un rifiuto pubblico delle decisioni del Leader Supremo, per la prima volta si va al controllo dei risultati elettorali e per la prima volta si parla della possibile sostituzione dello stesso Khamenei. Per la prima volta, dalla cacciata della dittatura Pahlevi, si parla pubblicamente del capo del governo come di un dittatore.

Per questo si sono rivelati inutili gli arresti, così come la pesante censura dei media e il blocco di Internet e servizi SMS e per questo nemmeno i primi morti sembrano intimidire o placare la protesta; semmai sono tutte iniziative lette come dimostrazione della cattiva fede del governo. Gli iraniani in piazza possono essere fermati solo con un bagno di sangue, ma non è detto che il potere abbia la forza e la convenienza di andare ad un confronto brutale su larga scala, così come non è detto che l’aver scelto al momento una tattica dilatoria possa pagare.

Una frattura all’interno del potere iraniano, tentativi di golpe e contro-golpe istituzionali sull’onda della spinta offerta dalla protesta delle folle stanche di un trentennio di dittatura clericale, che sembrano aver colto queste elezioni come l’ultima occasione possibile per un rivolgimento troppo lungo rimandato. Trent’anni sono lunghi e forse a questo esito si sarebbe arrivati molto prima senza la guerra d’aggressione scatenata da Saddam e la conseguente impennata nazionalista, alimentata poi dalla plateale ostilità dell’Occidente negli anni successivi. Non è chiaro se il recente ammorbidimento delle posizioni occidentali possa aver influito sulle dinamiche interne al paese persiano, ma è abbastanza chiaro che è proprio a causa di questo cambiamento di linea che l’Occidente appare timoroso di schierarsi dalla parte dei rivoltosi e non solo per l’opinione di quanti non saprebbero fare senza un nemico come l’attuale governo iraniano.

Un timore peraltro sacrosanto: il rispetto per l’autodeterminazione iraniana espresso da Obama, insieme all’invito ad evitare il bagno di sangue, è sicuramente apprezzabile, ma è anche la spia di una prudenza volta ad evitare i tanti passi falsi a cui ha condotto la presunzione occidentale negli ultimi decenni. Presunzione peraltro testimoniata dal qualche neo-conservatore non ancora aggiornato, che invece ha suggerito subito un pesante intervento “in soccorso” dell’opposizione iraniana.

Se è vero che la protesta segna una spaccatura dell’elite iraniana, la cosa dovrebbe essere salutata con favore, pur sapendo che le istanze dei rivoltosi non sono “abbastanza” avanzate per il gusto occidentale. Non può essere diversamente: lo stesso sfidante Mousavi non è certo un giacobino, ma uno dei quattro candidati, su oltre quattrocento, ai quali gli Ayatollah hanno permesso di presentare la sua candidatura, ed è stato per otto anni primo ministro di Khomeini durante la guerra con l’Iraq. Come Khatami e Rasfanjani, che lo stanno spingendo (pure loro ai vertici delle gerarchie clericali), non è certo un rivoluzionario o un estraneo al sistema, anche se il gruppo appare indubbiamente “liberale & progressista” se paragonato agli attuali vertici del potere iraniano, che all’ottusità clericale sposa il liberismo e l’iper-corruzione in economia.

Resta una situazione fluida, con Khamenei che, in evidente difficoltà, ha dovuto concedere il controllo dei voti dopo aver salutato pubblicamente la vittoria di Ahmadinejad come una benedizione, ma soprattutto per la prima volta contestato nella sua autorità sia nelle piazze (dove gira un invito a una sua sostituzione d’emergenza con l’Ayatollah Montazeri) che all’interno delle stesse istituzioni clericali, nelle quali sembra scattata la conta tra i suoi fedeli e quanti lo vedrebbero volentieri in pensione.

Confronti analoghi stanno prendendo corpo trasversalmente all’interno della polizia e dell’esercito, mentre le enormi folle che hanno preso le strade di Teheran non sembrano denunciare stanchezza, piuttosto sembrano acquisire fiducia di ora in ora e non sempre rispondono alle indicazioni di Mousavi. Folle che, clamorosamente, non hanno a
ncora ricevuto le solite accuse feroci da Ahmadinejad o da Khamenei, di solito lesti ad etichettare i protestatari come delinquenti o traditori della Repubblica al soldo degli stranieri. E anche questo è il segno di quanto quelle folle siano realmente rappresentative di una massa con la quale il potere non vuole andare allo scontro aperto, giacché non sono sembrate intimorite dalla tradizionale risposta repressiva.

Al di là delle letture stereotipate e convenienti, è evidente che in Iran sia in corso una rivolta contro un potere opprimente e dal carattere tipicamente clerico-fascista da parte di una popolazione molto giovane, che soffre prima di tutto il gap culturale che separa le generazioni al potere da quelle che demograficamente rappresentano la maggioranza ed il futuro dello stesso paese persiano, troppo spesso e colpevolmente associato ai vicini arabi dalle narrazioni interessate. Con le speranze degli iraniani in piazza non si può essere che solidali; anche se la protesta sembra incarnata a livello istituzionale da persone che non sono giovani e nemmeno estranee a quello stesso sistema di potere. Le speranze di tutti non possono orientarsi che verso una transizione del potere che, evitando il confronto fisico, conduca sulla strada della democrazia, piuttosto che ad una rivoluzione cruenta che sostituisca un autoritarismo con un altro, di segno solo formalmente diverso.