Se la Chiesa scopre i confessionali deserti

di Jenner Meletti
in “la Repubblica” del 19 giugno 2009

Ore ed ore nella «penitenzeria» del convento cappuccino di Santa Caterina, ad aspettare fedeli che
arrivano dalla città e anche dai paesi delle vicine montagne. «Vengono da noi – racconta padre Enzo
Redolfi – perché sanno che qui ci sono almeno un confessionale aperto e un frate pronto a
concedere l’assoluzione al peccatore pentito. Purtroppo, però, i giovani non vengono quasi mai.
Quelli sotto i quarant’anni sono mosche bianche». La fuga dal confessionale è iniziata ormai da
anni. Secondo le ultime ricerche solo l’8-10% dei fedeli si confessa una volta al mese, il 2% più di
una volta, il 50-60% una volta all’anno, al massimo due. Il 30% non si confessa mai. «Da me
arrivano gli anziani – dice il frate cappuccino – e per loro la confessione non è cambiata. Fanno
l’elenco dei loro piccoli peccati – si capisce che si sono preparati – aspettano la piccola penitenza e
se ne vanno con l’anima più leggera. Ma l’assenza dei giovani racconta che, fra non molti anni, i
nostri confessionali resteranno vuoti».

Sono nuovi, i confessionali di Santa Caterina. Ti puoi inginocchiare davanti alla grata, e il
confessore intuisce il tuo volto. Ma c’è una piccola panca, su un lato, seduti sulla quale si può
parlare e ascoltare senza essere visti. Inginocchiatoi e panche restano però sempre più vuoti. Nella
lettera inviata ai preti di tutto il mondo, papa Benedetto XVI ieri ha detto che «i sacerdoti non
debbono rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali, né limitarsi a constatare la disaffezione
dei fedeli nei riguardi del sacramento della confessione».

Papa Ratzinger ricorda il Santo Curato d’Ars, capace di aspettare i fedeli in confessionale per 16 ore
al giorno. Il padre confessore Enzo Redolfi ha ancora una piccola speranza. «C’è qualcuno che
arriva non solo per presentare la lista dei peccati come fosse quella della spesa e chiedere il conto
finale. C’è ancora chi cerca una guida spirituale e dopo la confessione si ferma a chiedere consigli.
Del resto, il confessionale è l’unico luogo dove puoi raccontare tutto te stesso senza paura che altre
persone possano conoscere i tuoi segreti. I pochi che cercano questa confidenza spirituale aprono
davvero la loro anima e parlano di tutto. Ci sono le mogli che chiedono come possano riconquistare
il marito, ci sono impiegati che vogliano sapere se, di fronte a certi comportamenti del datore di
lavoro, debbano tacere o reagire. C’è anche chi viene a chiedere consigli sui candidati da votare. Ho
ascoltato l’esortazione del Papa, quando ha detto che i confessionali sono vuoti da tutti e due i lati e
che la diserzione dei fedeli a volte è preceduta dalla diserzione dei sacerdoti. È vero, non è facile
essere un buon confessore. La saggezza umana e sacerdotale è fondamentale e per guidare gli altri
al bene bisogna prima di tutto impegnarsi in una vita di santità».

L’abbandono del confessionale è confermato dal sociologo Pierpaolo Donati (fu allievo di Achille
Ardigò), professore nell’ateneo bolognese e membro della Pontificia accademia di scienze sociali.
«C’è una forte attenuazione, se non la scomparsa, del senso del peccato, soprattutto in quella che
viene ritenuta la sfera privata che riguarda affetti, erotismo, sesso. Soprattutto i giovani pensano sia
più grave non pagare le tasse, parcheggiare male, guidare ubriachi… insomma fare cose che
possano danneggiare gli altri. Nella sfera intima, invece, ognuno si giudica da sé. C’è un’altra causa
di questo disincanto, disaffezione o abbandono nei confronti della confessione. È venuta meno,
anche nel mondo cattolico, la necessità della mediazione della Chiesa nel percorso di salvezza
personale. Perdita di senso del peccato e assenza di mediazione sono tipici del mondo protestante e
investono ormai da anni il mondo cattolico. Ma l’esperienza protestante ha portato conseguenze
pesanti. In Scandinavia, poi in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi il rifiuto della mediazione del
sacerdote nella relazione con il soprannaturale ha portato all’isolamento dell’individuo e a un senso
di solitudine. E l’abbandono della confessione ha preceduto l’abbandono della pratica religiosa. Noi
il primo passo lo stiamo già compiendo. Senza una svolta, ci sarà presto un forte abbandono di tutta
la pratica religiosa».

«Ha fatto bene il Papa – dice il professore di sociologia dei processi culturali e comunicativi – a
parlare di confessionali vuoti da tutte e due le parti. I preti dovrebbero credere di più nella
confessione. Ma la loro cultura sacerdotale non è adeguata al nostro tempo. Tanti ascoltano l’elenco
di mancanze e omissioni riguardo ai comandamenti e alle norme ma non comprendono che la
confessione – come diceva San Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars – è la medicina spirituale
dell’anima. E fanno confusione fra anima e sistema psichico, anche a causa di una formazione che è
astratta, teorica, libresca. Gli psichiatri fanno il loro mestiere, i sacerdoti hanno un’altra missione.
Aiutano gli uomini a riconciliarsi con Dio e in questo cammino la confessione è uno strumento
fondamentale. La persona che si confessa scarica pesi interiori, cerca un rapporto con il sacerdote,
non è più una monade isolata. Confessarsi a un prete significa anche accettare la sua guida. Si può
imparare da soli ad usare un computer, ma è impossibile diventare guida spirituale di se stessi».

Quasi tutti gli italiani si sono confessati almeno una volta. Il giorno che precedeva la prima
comunione c’era l’incontro con il parroco o il cappellano. C’era tensione come a un esame. «Cosa ti
ha chiesto? Che penitenza ti ha dato?». Recita dell’Atto di dolore, poi qualche Pater Noster o Ave
Maria in ginocchio. «La confessione è fra i primi sacramenti che si ricevono – dice Franco Garelli,
preside di Scienze politiche a Torino e docente di sociologia della religione – ed è anche fra i primi a
scomparire. Un’ampia fetta di popolo che si dichiara cattolico e si ritiene ancora tale l’ha già
abbandonata. Parliamo di quell’80% della popolazione che si dice cattolica ma non è praticante.
Persone che continuano ad andare in chiesa saltuariamente, per un battesimo, un matrimonio, un
funerale ma che non si avvicina più a un confessionale. “Confessarsi almeno una volta all’anno, a
Pasqua”, è un invito ormai senza risposta. E giorni prima di Pasqua i sacerdoti si preparano, sono
pronti nei confessionali. Io li ho visti, in vana attesa, e mi sono chiesto: che sia scomparso il senso
del peccato? Forse è così. Di certo, c’è quella che si può chiamare individualizzazione della fede.
Tanti oggi ritengono di potersela vedere con Dio direttamente, e in questa fede fai da te c’è spazio
anche per l’auto assoluzione. Il motivo è questo: si pensa al peccato solo verso gli altri e c’è meno
l’idea di un peccato verso Dio».

L’abbandono del confessionale è provocato anche da sacerdoti che hanno perso un certo carisma.
«Perché – si chiedono in tanti – io devo confessarmi davanti a un altro uomo? La confessione – dice
il professor Franco Garelli – è stata colpita al cuore da chi, per decenni, l’ha trasformata in un arido
racconto di peccati. L’uomo che si inginocchia in un confessionale avrebbe bisogno invece di un
sacerdote preparato e capace di capire il mondo di oggi. Un prete che non è lì ad accettare il tuo
elenco della spesa ma è in grado di proporsi come una vera e riconosciuta guida spirituale».
Nel suo convento di Rovereto, padre Enzo Redolfi continua a passare ore ed ore senza vedere un
fedele dietro la grata. «Ma bisogna essere qui, quando un penitente viene a chiedere perdono. Io
confesso da vent’anni e non sono in grado di fare una statistica perché sono passato da un convento
all’altro e i conventi non sono parrocchie con fedeli residenti. Arriva da noi anche chi non
vuole
confessarsi davanti al proprio parroco, perché non gli piace o ci ha litigato. L’unico dato evidente è
che sono spariti i giovani». Ci sono sacerdoti che confessano bambini e adulti fuori dal
confessionale, in un banco della chiesa. «Io resto fedele alla tradizione. Il confessionale garantisce il
segreto e il silenzio. Io resto qui ad aspettare e mi sento davvero utile. Chi altri può offrire luce,
certezze, consigli, coraggio e consolazione?».

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“È il dialogo diretto con Dio il pericolo che contagia i fedeli”
a cura di Orazio La Rocca

«Se la confessione è in crisi la colpa è anche di quei sacerdoti che, troppe volte, non si mostrano
eccessivamente disponibili all’ascolto nel confessionale perché presi da altre questioni».
È un mea culpa autorevolissimo quello che arriva dal vescovo Gianfranco Girotti, prelato reggente
della Penitenzieria Apostolica, il dicastero vaticano preposto alla supervisione del sacramento della
confessione nella Chiesa. Apparentemente, il vescovo non sembra sorpreso dalla lettera scritta dal
Papa per l’Anno sacerdotale, nella quale Ratzinger invoca – tra l’altro – un mea culpa ancora più
severo per la pedofilia tra i preti, «crimine abominevole mai abbastanza deplorato».

Monsignor Girotti, ma quali sono le vere cause che stanno alla base della grande fuga dai
confessionali?

«Credo che anche questo sacramento paghi lo scotto dei mutamenti in corso nella società e
all’affermarsi di una nuova forma di mentalità che ha inevitabilmente portato all’appannamento
della pratica della confessione».

Eppure, durante le messe, le comunioni vengono ugualmente distribuite in abbondanza. Come
lo spiega?

«Penso che tra la gente si stia insinuando un nuovo modo di concepire il peccato che, eliminando la
mediazione del sacerdote, porta a momenti di autoassoluzione con presunte forme di dialoghi diretti
con Dio, “scorciatoie” mistiche che non fanno bene a nessuno. Circa il 34 per cento dei fedeli
ragiona così e rifiuta la mediazione sacerdotale nella confessione. È un fenomeno nuovo che stiamo
monitorando da tempo, anche se parlare di statistiche esatte è ancora prematuro».

È cambiato il modo di concepire il peccato?
«Dirò di più: si è indebolito il senso del peccato e della colpa. Al confessore non vengono
denunciate le mancanze, i casi specifici, ma solo il senso di afflizione dell’anima, lo smarrimento
generico, senza entrare nel merito delle colpe commesse. Si chiede solo aiuto».

Di chi è la maggiore responsabilità di questa situazione?
«Si deve prima di tutto al cambiamento di mentalità, ma anche alla poca disponibilità che gran parte
dei sacerdoti mostrano verso la confessione. Per cui fa benissimo Benedetto XVI a riportare al
centro dell’interesse dell’Anno sacerdotale anche questo sacramento. Giovanni Paolo II spesso
diceva che il sacerdote quando in confessionale assolve commette l’atto più grande dopo la
celebrazione dell’Eucarestia. È bene non dimenticarlo. Il Santo Padre, quindi, ha fatto benissimo a
sollevare un tema così delicato come è la scarsa pratica del sacramento della Riconciliazione, cioè
la confessione. E’ un problema che anche io ho sollevato in più occasioni».

Quali sono i peccati che vengono maggiormente confessati?
«Non è mai lecito rivelare quel che si dice in confessionale. In linea di massima, però, si può dire
che accanto ai classici peccati mortali – non uccidere, non rubare, non commettere atti impuri… – ci
sono altri nuovi peccati legati alla droga, alla bioetica, all’Aids, all’ecologia, alla cattiva
amministrazione. Ma, al di là delle colpe vecchie e nuove, l’importante è tornare ad avere fiducia
nella confessione».