Una voce libera

di Mauro Mondello
da www.peacereporter.net

Ahdaf Soueif è una delle voci letterarie più importanti del mondo arabo, scrittrice di successo vincitrice di numerosi riconoscimenti internazionali (fra gli altri il prestigioso Booker Prize for Fiction 1999 per The Map of Love) e commentatrice politica di testate quali Washington Post e Guardian. La schiettezza delle sue opinioni le ha causato nel tempo non pochi problemi, specialmente nel suo paese, l’Egitto, ma dopo aver superato anni di incomprensioni è ormai una delle figure più influenti nel dibattito politico mediorientale. Fondatrice del PalFest, il Festival della Letteratura Palestinese, rassegna culturale itinerante organizzata nei Territori Occupati la cui seconda edizione si è conclusa proprio qualche settimana fa, Ahdaf Soueif si divide oggi fra Londra, sua terra d’adozione, ed Il Cairo.

Cosa pensa degli attacchi israeliani alla Striscia di Gaza, specialmente in riferimento all’operazione “Piombo Fuso”? Crede che i paesi europei e quelli arabi (soprattutto Egitto ed Arabia Saudita, abbiano fatto tutto il possibile per fermare Israele?
Cosa posso dire? L’attacco israeliano è stato qualcosa che avremmo dovuto aspettarci da Israele. Questo tipo di condotta militare è parte integrante della loro politica nei confronti dei Palestinesi. E’un metodo molto logico: se vuoi distruggere la volontà di un popolo, gli renderai impossibile vivere la propria vita nel proprio paese, dunque quanto abbiamo visto è semplicemente una delle tattiche che impiegheranno. L’attacco è stato sorprendente semmai per la sua ferocia, per la sua durata, per la maniera chiara con la quale si è deciso di colpire popolazione ed istituzioni civili.
Anche in questo caso però, gli israeliani hanno calcolato che l’avrebbero comunque fatta franca, dunque sono andati avanti. Ad ogni modo, sono convinta che Israele stia pagando e continuerà a pagare un prezzo molto alto per questo attacco, dal momento che si è rafforzato l’appoggio dell’opinione pubblica mondiale intorno ai Palestinesi, e che ciò ha spinto moltissima gente, in tutto il mondo, a manifestare il proprio dissenso nei confronti di Israele.
Ad esempio, il Movimento BDS (Boicotta, “Disinvesti” e Sanziona) indubbiamente ha guadagnato molto terreno dopo gli attacchi a Gaza. Tantissime fra imprese ed istituzioni stanno trovando grandi difficoltà nel difendere i loro investimenti in Israele o in compagnie che commerciano con Israele.
Ne è un esempio lampante la campagna lanciata contro gli investimenti israeliani di un colosso come Motorola. Per questo motivo io credo che ogni aggressione israeliana ci avvicini un po’di più al giorno nel quale la giustizia trionferà; ma i Palestinesi stanno pagando un presso davvero durissimo per questa giustizia.
Rispetto al comportamento dei paesi arabi, credo che i governi dell’area mediorientale non abbiano fatto assolutamente tutto ciò che era nelle loro possibilità per fermare o prevenire l’attacco israeliano. Soprattutto pensando all’Egitto, che avrebbe potuto ricoprire un ruolo fondamentale. Purtroppo, però, il regime egiziano è interessato soltanto ad assecondare le volontà dei suoi padroni americani.

Quali sono secondo lei le cause reali dell’assedio israeliano alla Striscia di Gaza?
Credo che – come sempre in questi casi – si possano distinguere diversi fattori in gioco.
Gli israeliani hanno bisogno di annientare la volontà dei palestinesi, colpevoli di avere scelto Hamas e di aver insistito nell’appoggiarla anche in seguito al durissimo assedio che gli è stato imposto.
In generale, Israele ha deciso di danneggiare qualsiasi tentativo palestinese di costruire un’economia stabile, perché ha bisogno di rendere le vite della popolazione araba così miserabili che ogni uomo o donna che avrà la possibilità di lasciare Gaza, lo farà. I tunnel che collegano la Striscia all’Egitto garantiscono una linea vitale per i palestinesi – tutti i beni di prima necessità di cui hanno bisogno per sopravvivere passano da lì-, e per questo gli israeliani vogliono bloccare anche questi rifornimenti. In merito all’attacco Piombo Fuso, non bisogna dimenticare che è stato sferrato durante la campagna elettorale israeliana, in un momento nel quale il governo laburista, impaurito dall’avanzata del Likud di Netanyahu, aveva bisogno di mostrare la sua forza alla popolazione.
Inoltre, l’operazione si è svolta nel periodo immediatamente precedente all’insediemento di Barack Obama. Come presidente degli Stati Uniti Obama avrebbe dovuto esporsi invitando Israele a fermarsi, o non facendolo, pagando insomma un prezzo, in ogni caso. Attaccando prima dell’insediamento hanno evitato di forzare il presidente americano a mostrare la sua posizione. Ancora, e questo è molto importante, l’attacco alla Striscia è un esperimento, un esperimento sul controllo della popolazione araba: Israele ha costruito un enorme muro intorno a Gaza, un confine fisico che i palestinesi non possono oltrepassare, ma che gli israeliani possono invece manipolare e penetrare a loro piacimento. E’ ciò che hanno fatto durante l’assedio. L’attacco ha dimostrato come grazie al muro Israele possa penetrare nella Striscia con un rischio minimo per le sue truppe, bombardando e devastando il territorio senza doversi affidare all’appoggio eccessivo di squadre terrestri. Infine, e non per questo meno importante, il muro consente ad Israele di tenere i media fuori dal “teatro delle operazioni” per tutto il tempo che gli serve. Quando si considera che il principale business d’esportazione d’Israele nel mondo sono i sistemi e le competenze in materia di sicurezza diventa chiaro comprendere come Gaza venga costantemente utilizzata alla stregua di un laboratorio. Il libro di Eyal Weizman, Hollow Land, in tal senso è davvero illuminante.

Nel gennaio del 2006 Hamas vinse le elezioni parlamentari palestinesi, sconfiggendo Fatah. Secondo lei, quali sono le responsabilità di Hamas in questa crisi, e quali, invece, quelle di Fatah?
Trovo che da questo punto di vista la crisi sia da addebitare totalmente a Fatah. Prima hanno perso il consenso della maggioranza dei votanti palestinesi, dal momento che nel corso del loro governo le condizioni della popolazione araba sono nettamente peggiorate: Israele ha costruito il suo enorme muro, Israele ha rubato terre e territori, Israele ha aumentato il numero di checkpoint nell’area ed ha in generale esteso ed irrigidito la sua occupazione, espandendo il numero dei suoi insediamenti illegali.
Quando si tennero le elezioni – fortemente volute dagli USA, non dimentichiamolo – Hamas vinse.
Tutti gli osservatori internazionali presenti nel paese concordarono sull’onestà e la trasparenza della consultazione. Fatah rifiutò di accettare il risultato delle urne e di cedere il potere ad Hamas. Dopodiché i membri di Fatah hanno sabotato l’idea di un Governo di Unità Nazionale e dunque hanno cospirato – ancora una volta con la regia degli Stati Uniti – insieme agli israeliani ed al regime egiziano, al fine di liquidare Hamas. Hanno importato armi ed addestrato soldati ma prima che potessero mettere in atto i loro piani Hamas li ha attaccati (con l’azione denominata “il colpo di stato di Hamas) e li ha battuti. Ed è per questo che oggi gli israeliani hanno stretto intorno a Gaza un assedio brutale.
Il dialogo con Hamas è assolutamente necessario per uscire dalla crisi. Sono loro il governo legittimamente eletto e rappresentano la maggioranza dell’opinione pubblica palestinese.

Lei è una delle scrittrici più famose del mondo arabo ma per i suoi libri ha scelto la lingua inglese. A causa di questa decisione in passato ha avuto diversi problemi, si tratta di una situazione che si è risolta od ancora sussistono delle difficoltà nel comprendere le ragioni che l’hanno portata ad utilizzare la lingua anglosassone?
Al momento non ho più alcun genere di problema nel mondo arabo. All’inizio della mia carriera tutti mi chiedevano perché avessi
deciso di scrivere in inglese. Ho risposto a questa domanda tante, tante volte, spiegando che non avevo scelta; la mia formazione letteraria, le mie letture, i miei studi, sono stati in lingua inglese, e sebbene sia assolutamente capace di redigere una lettera od un saggio in lingua araba, il mio arabo non rende giustizia a se stesso quando si tratta di comporre un romanzo. Mi sono sempre assicurata che i miei lavori fossero disponibili in lingua araba, sono stata coinvolta nelle traduzioni, partecipo costantemente ad eventi letterari in Egitto e nel mondo arabo, luoghi nei quali ho ricevuto diversi premi ed onorificenze. Ormai ho un’ottima relazione con i miei lettori arabi, da molti anni. Sono convinta che ultimamente la domanda “perché scrive in inglese?” mi sia rivolta più che altro per fini politici, ma io ho dimostrato, sia con i miei scritti che con azioni concrete, dove mi colloco politicamente.

Crede sia possibile identificare una vera voce libera nel mondo della comunicazione di paesi come Iran, Giordania, Siria, Libano, fuori dal circuito della stampa ufficiale?
Assolutamente si. Ci sono diversi giornali di opposizione in Medio Oriente, poi ci sono i movimenti artistici, con tutta la ricchezza che li circonda, ed adesso anche un gran numero di media telematici.
Il numero siti online e di blog che fanno informazione ed opinione dalla regione è sbalorditivo. E c’è anche da dire che le persone scrivono in molte lingue diverse.

L’Egitto è percepito oggi come uno dei paesi arabi più democratici, nonostante ciò è ancora possibile riscontrare alcuni importanti problemi in merito alla rappresentatività democratica ed ai diritti umani. Quali sono gli elementi che bloccano il processo di crescita sociale?
Il processo di crescita sociale è bloccato dal fatto che viviamo in una dittatura sostenuta da uno stato di polizia. Il regime egiziano esiste sostanzialmente al fine di servire e rafforzare se stesso.
Per fare ciò è obbligato a seguire le istruzioni dei suoi padroni occidentali (anche se c’è da dire che talvolta si muove in anticipo per offrire servizi non richiesti, come fece ad esempio quando uccise tutti i maiali da latte del paese per calmare la paura diffusasi per le voci incontrollate sull’influenza suina).
Gli interessi del regime sono gli interessi d’Israele, vale a dire quelli di un capitalismo globale senza regole, quelli dei giganti dell’industria farmaceutica, dei produttori di armi, e non gli interessi della gente egiziana.
Il compito del regime presente in Egitto è quello di reprime gli egiziani, derubandoli e conducendo le loro vite e la società di cui fanno parte ad assecondare le prospettive statunitensi ed israeliane nell’area.

Lei vive per diversi mesi l’anno in Inghilterra, ormai da oltre un decennio, le sembra che l’opinione pubblica sia davvero interessata, informata, in merito alla questione israelo-palestinese? Trova che l’Europa abbia compreso l’importanza della risoluzione del conflitto in termini di equilibrio globale?
Credo che sempre più persone siano informate di quello che accade, e che sia sempre maggiore il numero di persone che si stanno interessando alla questione palestinese.
Probabilmente non vi è ancora una reale percezione di come il confronto fra Israele e Palestina riguardi così tante aree di conflitto in tutto il mondo, però sono convinta che l’invasione statunitense dell’Iraq, la guerra israeliana in Libano ed il recente attacco d’Israele alla Striscia di Gaza abbiano fatto crescere radicalmente la consapevolezza pubblica a riguardo.
Penso che le persone, in tutto il mondo, stiano imparando…