Afghanistan, speranze deluse: dalla legge che legalizza lo ‘stupro coniugale’ alle torture nelle carceri

di Cristiano Tinazzi
da www.peacereporter.net

Sima Samar è minuta, gli occhi dolci e profondi. I suoi capelli, che spuntano da sotto l’ejab, sono ingrigiti. Per entrare nel suo ufficio si deve passare al vaglio delle sue guardie armate, poi di un metal detector. Gli uomini della sicurezza controllano la macchina fotografica, la accendono. “Non è un’arma”, dico loro. La prudenza non è mai troppa. Sima è stata minaccia di morte più volte. Presidente della Commissione afgana per i diritti umani, negli anni ottanta, esule in Pakistan, ha fondato l’ong Shohada. Dodici cliniche in Afghanistan, un ospedale in Pakistan, corsi per ostetriche e operatori sanitari di base, maestre e infermiere. Una vita spesa combattendo contro le discriminazioni e un marito sparito sotto l’occupazione sovietica.

Sima combatte ancora, contro una legge creata appositamente per regolare la vita privata delle donne musulmane sciite di questo Paese e che reintroduce lo ‘stupro coniugale’, ovvero l’obbligatorietà della donna ad avere rapporti sessuali con il proprio marito anche se non consenziente. La sua approvazione, in seguito alle proteste della Comunità Internazionale, è stata per il momento rimandata.

Dottoressa Samar, che legge è questa?
Èuna legge discriminatoria contro le donne che va contro gli elementari diritti umani e la libertà stessa delle donne. Una legge che va contro la stessa Costituzione afgana, la quale garantisce gli stessi diritti tra uomo e donna. Una legge che va anche contro le consuetudini non scritte e contro le convenzioni internazionali.

Una legge che colpisce un quarto della popolazione, ma che sembra fatta per colpire in generale tutte le donne…
Ci sono articoli in questa legge che non dovrebbero esserci. Le faccio un esempio tra i più stupidi: in questa legge è contemplato il fatto che una moglie è obbligata a mettersi il trucco. Nel caso non lo faccia, che succede? Il marito va dalla polizia? La pena conseguente è una multa o il carcere. Come possiamo spiegare una cosa del genere? E questa è una delle cose meno gravi presenti in questa legge.

Quindi non ha nessun riferimento al mondo islamico?
Penso che non sia questo il problema. Io sono musulmana sciita. L’Afghanistan è un paese islamico, su questo non c’è nessun dubbio, come non c’è nessun dubbio sul fatto che esistono molti altri Paesi islamici nel mondo. Ebbene, nessuno di questi Paesi ha una legge del genere. Questo non c’entra niente con la sharìa o con il Corano. C’entra con la mentalità delle persone che a gran voce dicono di difendere la legge coranica. La fiqh, ovvero la scienza giurisprudenziale, rappresenta lo sforzo esercitato per individuare la legge di Dio, ma non è la legge di Dio.

Lei è stata anche ministro nel governo di transizione Rabani. Che successe?
Lo sono stata per sei mesi. Poi mi sono dovuta dimettere in seguito a una serie di false accuse solo perché avevo chiesto la fine per le impunità e giustizia per le donne. In questo Paese molti non credono alla giustizia perché se ci credessero si dovrebbero rimettere ad essa per le proprie colpe. Dissero che non ero una buona musulmana. Sembrava un film, io stavo seduta in parlamento e c’era un gruppo di parlamentari che urlava minacciandomi di morte. Io rimasi seduta e sorrisi, dicendo loro che non avevano nessun diritto di gridare e di addossarmi delle false accuse. Ma non c’era bisogno di provarle. Non c’è libertà di espressione quando usano la religione per colpirti. Non ho mai dato retta a nessuno prima e ancora meno adesso, che sono il presidente di questa commissione indipendente. E’ un lavoro rischioso, questo, e pieno di stress. Devi confrontarti con tanta gente potente, ma sono felice perchè so di essere sempre dalla parte delle vittime.

Cosa è cambiato dal 2001?
Nel 2001 c’è stata la caduta del regime dei talebani e molto è cambiato, sia negativamente che positivamente. In modo positivo per la maggiore presenza delle donne nella politica, nel lavoro e nella attività sociali, nelle città ma anche nelle aree rurali, e per la libertà di stampa dei media. Ma sfortunatamente c’è stato anche un deterioramento della sicurezza. La violenza è aumentata in molte province. Penso che uno dei motivi di tutto ciò sia la mancanza di una visione chiara e strategica su cosa si debba fare, sia da parte governativa che da parte della comunità internazionale. Secondariamente penso che il nostro sia un caso particolare e che non ci sia un approccio originale per la soluzione dei problemi dell’Afghanistan. In ultimo gli sforzi non si stanno focalizzando nel promuovere le istituzioni sul territorio. In un Paese come questo serve prima costruire l’apparato statale che qualsiasi altra cosa.

La comunità internazionale quindi, secondo lei, non sta facendo abbastanza…
E’ una situazione difficile questa, perché non sta portando realmente la pace. C’è come dicevo la mancanza di una visione chiara sul futuro del Paese. Quali obbiettivi? Quali risultati? Dicono che a noi non interessa la democrazia perché la nostra è una società tribale, religiosa e che non capiamo che significhi la parola democrazia. Ma questa è una percezione sbagliata. Probabilmente la gente che sta al governo ha la stessa percezione…

E la situazione dei diritti umani?
Prima la tortura era molto comune nei centri di detenzione. Nessuno veniva imprigionato e poi rilasciato senza essere prima torturato. Oggi la situazione è migliorata ma la tortura non è di certo sparita. Rimangono tante prigioni private gestite dai comandanti delle varie milizie. Ognuno di essi ha la sua prigione, spesso nei sotterranei delle loro case fortezza.

Un suo sogno e una sua speranza?
Il mio sogno è avere un vero sistema educativo nel nostro Paese che riesca a cambiare la mentalità delle nuove generazioni. La mia speranza è la fine delle discriminazioni. Di qualsiasi tipo. Dobbiamo raggiungere questo obiettivo. Dobbiamo farcela.