IL SACERDOZIO IN DISCUSSIONE

di don Vittorio Mencucci
da www.adistaonline.it

Si discute sulla crisi dei sacerdoti, sul sacerdozio alle donne, sul celibato per i sacerdoti… comunque il perno fisso attorno cui tutto ruota è il sacerdozio. A me pare che questo perno non sia affatto stabile e che si debba metterlo in discussione, perché tutti i vari problemi dipendono da questo: ha senso la figura del sacerdote nell’orizzonte cristiano?

Nel Vangelo il termine non è mai usato in riferimento ai discepoli di Gesù. I sacerdoti sono sempre la controparte, connotati con un giudizio negativo, sino all’insulto: “I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli” (Mt 21,31). Il termine sacerdote compare nella lettera di Pietro, ma esprime il sacerdozio universale di tutti i fedeli.

È invece ricorrente nella Lettera agli Ebrei in cui la figura di Gesù viene interpretata con le categorie sacerdotali della cultura ebraica. L’autore è persona esperta nell’ebraismo, probabilmente un sacerdote convertito al cristianesimo, che scrive agli altri sacerdoti che, convertiti al cristianesimo in un primo tempo, come ci attestano gli Atti degli Apostoli, ora sentono la nostalgia dei solenni riti celebrati nel tempio e sono tentati di ritornare all’ebraismo.

L’autore vuol far capire che ormai non c’è più bisogno dei sacerdoti e dei loro riti sacrificali perché Cristo sommo sacerdote e vittima ha redento l’intera umanità con il suo sacrificio sulla croce, una volta per sempre.

Cristo non ha parlato di sacerdoti e non poteva parlarne perché il sacerdote è il gestore del sacro e nel cristianesimo non c’è il sacro. Che cosa sia il sacro merita uno studio a parte, qui è sufficiente sottolineare la critica che Gesù ne fa. Del tempio non rimarrà pietra su pietra e sarà sostituito dalla sua umanità che muore sulla croce e dopo tre giorni risorge.

Alla sua morte il velo del tempio si squarcia da cima a fondo, significando con ciò la fine del suo ruolo. Forte è la critica alla legislazione rituale rappresentata dal sacerdote e dal levita nella parabola del buon samaritano. Il puro e l’impuro, che seguono le categorie del sacro e del profano, sono oggetto di scherno. Anche la inviolabile sacralità del riposo sabbatico viene subordinata all’uomo, ossia perde il carattere primo della sacralità. Come giudice della storia Cristo ci chiederà conto se l’abbiamo riconosciuto nel volto degli ultimi, nulla sulla partecipazione ai riti del tempio.

Il termine sacerdote compare nel terzo secolo. Per la prima volta Tertulliano distingue all’interno della comunità cristiana due ordini: il clero (i scelti) e la plebe. All’interno del clero diventa dominante il termine sacerdote ripreso dall’Antico Testamento e configurato con le stesse caratteristiche (Tertulliano, Cipriano, Origene, Ippolito).

L’uso del termine sacerdote dipende dal diverso modo di interpretare l’eucaristia. Gesù per lasciare un ricordo di sé e continuare la presenza tra i suoi, ha pensato al gesto più semplice e umano: sedere assieme a mensa condividendo il pane. Anche se è dominante il modello di cena e di pane condiviso, sin dall’inizio è presente anche il linguaggio sacrificale, proprio del contesto culturale in cui gli evangelisti scrivono.

Nel terzo secolo il linguaggio sacrificale diventa esclusivo, di conseguenza la cena diventa il sacrificio, la mensa diventa altare, chi presiede (apostolo o anziano = presbitero) diventa sacerdote. In quanto sacerdote sacrificatore, lui stesso deve fare della sua vita un sacrificio. Il sacrificio comporta la purità rituale, soprattutto intesa come astinenza dalla sessualità.

Qui viene continuamente richiamata la legislazione mosaica. In precedenza era in discussione se il battesimo fosse conciliabile con la vita sessuale nello stesso matrimonio. Ora la soluzione sta proprio nella distinzione degli ordini. I semplici fedeli, anche se esortati alla continenza, possono vivere la vita matrimoniale, necessaria per la riproduzione, i sacerdoti, anche quando tengono con sé la moglie, sono tenuti all’astinenza.

La sessualità non è considerata peccaminosa in sé, come affermavano gli eretici (ciò avrebbe comportato la condanna del matrimonio), ma come conseguenza del peccato originale. Sta di fatto che, al dire di S. Girolamo: “Omnis coitus immundus”. La inconciliabilità tra il santo e l’immondo è la motivazione ricorrente in questo periodo.

Analoga vicenda riguarda il servizio militare. Nella comunità primitiva sembrava inconciliabile con la fede cristiana. S. Massimiliano afferma con decisione: “Christianus sum, mihi non licet militari” e coerentemente affronta il martirio. Tuttavia dopo la vittoria di Costantino a Ponte Milvio (312) la militanza diventa dovere per difendere l’impero cristiano.

Il dilemma viene risolto: la proibizione delle armi rimane per gli appartenenti al clero, chiamati alla perfezione evangelica, i semplici fedeli invece debbono compiere il loro dovere nel servizio militare a difesa della fede e per la costruzione di una pace duratura.

Tutto questo processo rende sempre più profondo il solco tra i due ordini, come risulta dal Decretum Gratiani, mentre la Chiesa si identifica con il clero che sta organizzandosi in una struttura rigidamente gerarchica, secondo la mentalità feudale codificata poi dallo Pseudo-Dionigi: De celesti hirarchia, De ecclesiastica hierarchia.

Credo legittimo questo processo perché risponde alla precomprensione, ossia alla cultura propria di quella epoca. Tuttavia noi uomini della modernità abbiamo diritto a ripensare il messaggio cristiano in rapporto alla nostra cultura: era questo “il sentiero interrotto” del Concilio Ecumenico Vaticano II.