I DIRITTI DEL LAVORO NELL’ERA DI OBAMA

di Michele Paris
da www.megachip.info

L’elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti e il rafforzamento di una maggioranza democratica al Congresso dopo le elezioni dello scorso novembre hanno risvegliato le speranze dei lavoratori americani per un clima politico più propizio alle proprie rivendicazioni, dopo decenni di politiche “business-friendly” tese a soffocare la rappresentanza sindacale nelle aziende. Tanto più che alcune recenti sentenze di corti federali e deliberazioni del Comitato Nazionale per le Relazioni Sindacali (National Labor Relations Board o NLRB) hanno appoggiato esplicitamente la parte dei lavoratori in una serie di controversie. Come quella, ad esempio, che ha coinvolto il gigante dell’industria estrattiva Massey Energy, costretto a riassumere 85 dipendenti iscritti al sindacato dopo averli licenziati nel corso dell’acquisizione della loro compagnia in West Virginia. La diversa aria che si respira a Washington tuttavia non ha aiutato, almeno per il momento, a sbloccare il progetto di legge che va sotto il nome di “Employee Free Choice Act” (EFCA), provvedimento chiave per consentire una più semplice sindacalizzazione della forza lavoro negli USA.

La disputa attorno alla condotta della Massey Energy era iniziata nell’ottobre del 2004, con l’assorbimento della Cannelton Industries in seguito alla bancarotta della Horizon Natural Resources di cui essa faceva parte. Quarta azienda estrattrice di carbone degli Stati Uniti con operazioni in Kentucky, Tennessee, Virginia e West Virginia, la Massey Energy aveva trasferito sul proprio libro paga i dipendenti dell’azienda in svendita, tranne appunto gli 85 lavoratori sindacalizzati. L’accusa di aver violato le leggi americane sul lavoro era stata allora immediatamente sollevata e un giudice amministrativo dell’NLRB nel novembre 2007 aveva finito con lo stabilire che la compagnia di stanza in Virginia si era macchiata di comportamento discriminatorio nei confronti degli ex dipendenti della Cannelton, rifiutandosi di assumerli nella nuova struttura aziendale perché appartenenti ad un’organizzazione sindacale.

Successivamente, il caso era passato al circuito della giustizia federale, con il tribunale distrettuale di Charleston, in West Virginia, che confermava in maniera temporanea la deliberazione iniziale dell’NLRB. La sentenza definitiva è giunta infine qualche giorno fa, quando tre giudici della Corte d’Appello di Richmond, in Virginia, hanno ribadito la colpevolezza della Massey Energy, condannandola ad assumere nuovamente i lavoratori iscritti alla United Mine Workers of America (UMWA). Per estrarre il carbone nelle miniere appartenute alla Cannelton in West Virginia, la Massey Energy aveva istituito due apposite compagnie, scrupolosamente de-sindacalizzate. La dirigenza di queste ultime si era rifiutata persino di condurre colloqui con i lavoratori che appartenevano alla UMWA.

Come se non bastasse, la sentenza della Corte d’Appello della Virginia ha anche sottolineato come le due nuove compagnie si fossero “apertamente adoperate per bloccare la contrattazione collettiva, metodo descritto dal Congresso degli Stati Uniti come l’unico in grado di raggiungere la pacificazione nelle relazioni industriali”. Le sentenze più recenti non hanno tuttavia stabilito il reintegro degli 85 minatori sulla base delle condizioni contrattuali precedentemente previste dai negoziati tra il sindacato e la Cannelton, disposizione che il giudice della NLRB aveva invece previsto. La Massey Energy – coinvolta tra l’altro in migliaia di violazioni delle leggi sull’inquinamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro – si è infatti appellata a quest’ultima prescrizione di fronte al Comitato Nazionale per le Relazioni Sindacali, il cui parere definitivo è atteso a breve.

Il tema della sindacalizzazione delle aziende statunitensi è anche al centro del dibattito politico negli USA da almeno un paio d’anni, da quando cioè nel marzo 2007 il discusso Employee Free Choice Act è stato licenziato dalla Camera dei Rappresentanti con un’ampia maggioranza. L’EFCA era stato inizialmente introdotto dal senatore democratico dell’Iowa Tom Harkin per modificare la legge approvata nel 1935 che regola le relazioni sindacali (“National Labor Relations Act”), così da permettere, tra l’altro, una più semplice adesione dei lavoratori alle organizzazioni di categoria e fissare sanzioni obbligatorie e più severe per quelle aziende che mettono in pratica comportamenti anti-sindacali.

Dopo l’approvazione della camera bassa del Congresso, la nuova legge ha incontrato forti resistenze al Senato, dove la maggioranza democratica continua a faticare per mettere assieme i 60 voti necessari a superare l’ostruzionismo repubblicano. In un paese dove la percentuale della forza lavoro iscritta al sindacato supera di poco il 12% – mentre scende addirittura sotto l’8% nel settore privato – i benefici introdotti dall’EFCA rappresenterebbero un’arma importante per i lavoratori nella negoziazione dei loro contratti.

La parte più controversa del provvedimento riguarda i cambiamenti previsti nei meccanismi di ingresso del sindacato nelle aziende. Mentre l’attuale legislazione prevede che la direzione aziendale possa richiedere una consultazione elettorale tra i propri dipendenti, sotto la supervisione dell’NLRB, per il riconoscimento di un’organizzazione sindacale, la modifica alla legge permetterebbe invece di raggiungere lo stesso scopo semplicemente tramite la firma di schede (“union authorisation cards”), nelle quali la maggioranza dei lavoratori dichiara di volere il sindacato nella propria azienda. In tal caso, l’azienda sarebbe obbligata a riconoscere l’organizzazione sindacale, purché certificata dall’NLRB. Le associazioni imprenditoriali americane insistono nel mantenere il sistema delle votazioni che consentirebbe ai datori di lavoro di perpetuare le pratiche intimidatorie verso i propri dipendenti e che hanno tenuto finora i sindacati fuori dalle fabbriche.

Un’altra sezione dell’EFCA introdurrebbe inoltre pene decisamente più aspre per le aziende che violano le leggi americane sul lavoro, innalzando le ammende fino a 20.000 dollari e prevedendo l’immediato reintegro dei lavoratori ingiustamente licenziati. Nonostante gli spettri di un socialismo strisciante sollevati da repubblicani e industriali, le nuove regolamentazioni dei rapporti sindacali eventualmente introdotte non determinerebbero variazioni particolarmente drastiche alle pratiche di contrattazione attualmente in uso nelle aziende d’oltreoceano.

Il percorso legislativo dell’Employee Free Choice Act appare tuttora estremamente accidentato e suscettibile di compromessi. Le pressioni sui senatori ancora indecisi circa l’appoggio alla nuova legge da parte delle organizzazioni sindacali da un lato e delle aziende americane dall’altro continuano ad essere molto forti. L’appoggio alla legislazione del presidente Obama – il quale già in campagna elettorale aveva promesso di essere deciso a firmare il provvedimento eventualmente approvato dal Congresso – e le decine di milioni di dollari spesi dai sindacati americani e da svariate organizzazioni progressiste per le campagne elettorali dei politici democratici stanno mettendo in una posizione molto delicata gli esponenti dell’ala più moderata del partito di maggioranza.

I democratici moderati tuttavia – già di per sé generalmente caratterizzati da sentimenti anti-sindacali – sembrano più sensibili agli avvertimenti lanciati dalle lobby dell’industria che paventano effetti devastanti in termini di occupazione se l’EFCA dovesse essere approvato in un periodo di grave crisi economica come quello che l’America sta attraversando. L’ultima versione del provvedimento, in ogni caso, è stata presentata al Congresso lo scorso mese di marzo dal senatore Ted Kennedy e dal deputato democratico della California George Miller.

Nell’attuale forma però, l’EF
CA ha già dovuto incassare la bocciatura di almeno quattro senatori democratici, tanto che il sistema basato sulla semplice firma delle schede di adesione al sindacato (“card check”) è stato stralciato in seguito alle enormi pressioni degli industriali e per venire incontro alla destra del partito. Le grandi associazioni sindacali tuttavia – prima fra tutte l’A.F.L.-C.I.O., sigla confederale che riunisce 65 associazioni di categoria – continuano a battersi per quello che rappresenterebbe comunque un successo legislativo e stanno concentrando ora i propri sforzi sulla Casa Bianca per spingere il presidente Obama ad intervenire personalmente in favore del prezioso provvedimento di legge.