OBAMA E LA PENA DI MORTE

di Michele Paris
da www.altrenotizie.org

La pena capitale negli USA è un argomento che Barack Obama ha preso in considerazione solo alla lontana nel corso della sua campagna elettorale dello scorso anno. Una volta approdato alla Casa Bianca, la questione è poi completamente sparita dall’agenda di un presidente già oberato da problemi enormi e ben attento a non esporsi troppo su un argomento così delicato nei primi mesi del suo mandato. I poteri conferiti al presidente negli Stati Uniti in merito alla sorte dei condannati a morte nel circuito federale e i casi pendenti di sei detenuti nel braccio della morte che potrebbero finire presto sul suo tavolo promettono tuttavia un coinvolgimento di Obama nei prossimi mesi, quando sarà probabilmente costretto a chiarire la sue posizioni, a tratti contraddittorie, sulla pena di morte.

Oltre ai singoli stati americani, anche il governo federale prevede l’applicazione della pena di morte per alcuni crimini, tra cui tradimento, spionaggio, omicidio legato al traffico di droga e di testimoni, giurati o giudici. La giustizia militare inoltre contempla la pena capitale per determinati crimini e fa capo ugualmente al circuito federale. Rispetto alle esecuzioni effettuate dagli stati, quelle del governo federale risultano in numero decisamente inferiore. Dal 1950 infatti, sono stati giustiziati 26 detenuti, di cui appena tre a partire dal 1976 (due nel 2001 e uno nel 2003), anno in cui la sentenza della Corte Suprema nel caso “Gregg contro Georgia” ha ristabilito di fatto la pena di morte negli Stati Uniti d’America. Attualmente sono 57 i detenuti nel circuito della giustizia federale presso il carcere di Terre Haute, nell’Indiana, unica struttura federale del paese ad ospitare un braccio della morte e ad eseguire condanne capitali.

Secondo la legge federale, il metodo di esecuzione deve corrispondere a quello adottato dallo stato nel quale il condannato ha commesso il crimine. Se il fatto è avvenuto in uno stato che non prevede la pena di morte, il tribunale ha facoltà di stabilire il metodo da impiegare. Tutte e tre le condanne a morte eseguite dal 1976 ad oggi sono avvenute tramite iniezione letale. I condannati a morte nel circuito federale hanno a disposizione una sola possibilità di ricorso, presso la Corte d’Appello della circoscrizione nella quale si è tenuto il processo di primo grado. La revisione dei casi da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti è discrezionale e può essere richiesta una sola volta, mentre solo il presidente ha la facoltà di accordare la grazia. Il governo federale deve fissare la data dell’esecuzione con almeno 120 giorni di anticipo e il condannato ha a disposizione 30 giorni da questa notifica per presentare un’eventuale richiesta di grazia al presidente, il quale a sua volta ha poi 90 giorni di tempo per prendere una decisione definitiva.

Barack Obama dunque potrebbe essere chiamato in causa a breve per esercitare un’eventuale clemenza nei casi che a Washington coinvolgono sei detenuti, le cui condanne sono state sospese da un giudice federale in seguito all’appello dei loro legali contro il protocollo di esecuzione capitale previsto dal governo. Gli imputati, tutti di colore, sono tre membri di una gang della Virginia condannati a morte nel 1993 per omicidi legati all’ambito del narcotraffico, due uomini colpevoli di rapimento, violenza sessuale e omicidio di una 16enne e l’autore dell’omicidio di una guardia carceraria. In caso di via libera alle esecuzioni, sono in molti ad augurarsi un intervento del presidente che possa fissare ulteriori restrizioni alla pena di morte, se non addirittura dispensare la grazia ai condannati.

Ufficialmente, Obama è favorevole alla pena di morte solo per alcuni crimini particolarmente violenti. Da senatore dell’Illinois, l’attuale presidente si era peraltro battuto per la limitazione delle esecuzioni capitali nel sistema giudiziario americano, opponendosi, ad esempio, all’allargamento della pena di morte per crimini legati agli scontri tra gang. Nel suo libro “The Audacity of Hope”, Obama inoltre afferma come non vi sia evidenza che la pena di morte sia un deterrente efficace contro gli omicidi. L’inquilino della Casa Bianca ha però espresso anche pareri inquietanti sulla questione. Come lo scorso anno, quando si era dichiarato contrario ad una sentenza della Corte Suprema che aveva stabilito l’incostituzionalità della pena di morte per violenza sessuale su un minore senza il decesso della vittima.

Come già ricordato, da presidente, Obama non ha ancora inviato alcun segnale su questo argomento, né pare sia in corso una revisione dei casi in sospeso a Washington da parte del suo staff. Indicazioni contraddittorie si ricavano inoltre anche dalle iniziative finora intraprese dal ministro della Giustizia (“Attorney General”) Eric H. Holder. Dall’insediamento della nuova amministrazione, quest’ultimo ha richiesto la pena di morte per procedimenti in corso di fronte a tribunali federali in quattro occasioni, tra cui nel caso di un imputato accusato di triplice omicidio nell’ambito della guerra tra gang dedite al narcotraffico a San Francisco. In altri casi al contrario, è stato autorizzato il patteggiamento con l’esclusione della pena di morte, tra cui almeno un procedimento per il quale l’amministrazione Bush aveva chiesto la condanna capitale per l’accusato.

Holder oltretutto, in qualità di vice-ministro della Giustizia durante la presidenza Clinton, aveva condotto un’indagine per mettere in luce le disparità razziali nei casi dei condannati a morte nel circuito federale. Gli imputati giustiziati infatti risultano appartenere in maniera sproporzionata a minoranze etniche. Nel corso dell’intero ventesimo secolo, il 61% delle esecuzioni eseguite dal governo federale ha riguardato imputati di una qualche minoranza razziale, mentre la percentuale sale addirittura al 75% se si considerano le 211 condanne a morte autorizzate a partire dal 1988. Un nuovo studio sulle disuguaglianze di ordine razziale presenti nel braccio della morte è precisamente ciò che chiedono ora a gran voce al ministro della Giustizia gli oppositori della pena capitale negli USA, così come, tra l’altro, una direttiva esplicita che ponga fine almeno alle richieste di pena di morte per crimini federali commessi in stati che non la prevedono.

Se i primi mesi di governo di Barack Obama possono suggerire qualche indicazione, è probabile che il presidente cercherà di assumere una posizione di compromesso sulla questione della pena di morte, facendo attenzione a non scontentare nessuno dei due fronti opposti, come già ha fatto per un’altra questione altrettanto trasversale agli schieramenti politici, l’aborto. Se per George W. Bush, il quale aveva presieduto a ben 152 condanne a morte da governatore del Texas, dare il via libera ad una condanna capitale non comportava nessuna esitazione, confrontarsi in termini concreti con questo tema potrebbe essere tutt’altra storia per Obama. Il tempo delle decisioni in ogni caso si avvicina rapidamente per l’attuale presidente, il quale avrà anche la responsabilità di decidere a breve della vita dei sospettati di terrorismo tuttora detenuti nel carcere di Guantánamo.