Rep. Dem. Congo, la guerra dei minerali causa altri 35 mila profughi

di Giacomo Corticelli
da www.megachip.info

L’imponente ripresa degli scontri nella provincia del Kivu del Sud, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, ha provocato la fuga di almeno 35 mila civili nelle ultime due settimane. Nel conflitto non sono estranei gli interessi delle multinazionali che estraggono minerali, ma i governi dei paesi ricchi non sembrano intenzionati ad intervenire.

Profughi e violazioni dei diritti umani. Secondo l’Unhcr, agenzia dell’Onu per i rifugiati, gli scontri tra le forze governative e i ribelli hutu ruandesi hanno già causato, da gennaio, 536 mila profughi nel Kivu del sud. I 35 mila civili sono scappati dalla piana del fiume Ruzizi, al confine con Ruanda e Burundi.

L’Internal displacement monitoring centre (Idmc) ha riportato ancora una volta casi di diffuse violazioni dei diritti umani nella regione, compiute sui profughi dai combattenti ribelli appartenenti alle Forze democratiche di liberazione del Ruanda (Fdlr) e che comprendono omicidi, rapimenti, stupri, torture e detenzioni arbitrarie.

Anche l’esercito governativo non può certo dichiararsi estraneo alle violenze sui civili e in particolare agli stupri, che vengono sistematicamente usati, lo ha detto l’Onu, come arma di guerra. L’Unhcr monitora con difficoltà la situazione, a causa del profondo clima d’insicurezza nella zona ed evidenzia la carenza di beni di prima necessità, sopratutto cibo, acqua e medicine. Nel Congo orientale si contano attualmente più di 1,8 milioni di profughi causati dai combattimenti e dalle violenze.

Guerra continua. Il governo ha lanciato lo scorso 12 luglio l’ennesima campagna militare denominata Kimia-II, finalizzata a disarmare le cosiddette Fdlr e le milizie locali loro alleate. Tra le iniziative belliche lanciate da Kinshasa e il conflitto che si svolge nell’est del paese, pare ci siano grosse incongruenze.

Un rapporto pubblicato la scorsa settimana dall’ong londinese Global Witness, pone l’accento sugli affari che le due fazioni in lotta stipulano quando si tratta di spartirsi territori e bottino derivanti dal commercio illegale delle risorse naturali. Gli apparenti nemici che sono in guerra da 12 anni e inscenano un conflitto che ha provocato almeno 4 milioni di morti, gestiscono di fatto il mercato minerario della ricca zona del paese.

Il rapporto Global Witness intitolato ”Di fronte a un fucile che si può fare? Guerra e militarizzazione delle miniere del Congo orientale” denuncia la presenza delle multinazionali asiatiche ed europee dietro al sipario del conflitto. Le parti in lotta controllano vaste aree minerarie e sono finanziate principalmente da compagnie estrattive come la thailandese Thaisarco-Amc, l’inglese Afrimex e le belghe Trademet e Traxys. Anche aziende russe, cinesi e indiane non sarebbero estranee al commercio illegale delle risorse nella ex colonia belga.

Affari d’oro. Le transnazionali in causa cooperano con entrambe le fazioni in lotta poiché bramose di continuare l’estrazione di oro, uranio, cobalto, cassiterite, wolframite e coltan. Il valore quest’ultimo minerale è aumentato continuamente negli ultimi anni a causa del suo prezioso utilizzo nella fabbricazione di telefoni cellulari e computer.

Dalla wolframite si producono le lampadine al tugsteno, mentre dalla cassiterite si ricava lo stagno. E’ quindi imbarazzante il collegamento tra gli stupri nei villaggi del Kivu e gli utilizzatori finali di cellulari di ultima generazione. Prima della stesura della relazione, l’ong aveva inviato una lettera a più di 200 imprese operanti sul territorio e le risposte che aveva ricevuto sottolineavano la loro impossibilità di controllare l’approvvigionamento dei minerali.

Global Witness afferma ancora che i governi dei paesi nei quali hanno sede le compagnie, si rifiutano di adottare misure rigorose nei confronti delle aziende basate sul loro territorio, andando quindi in direzione contraria agli sforzi della diplomazia per la pace nella Repubblica Democratica del Congo.

Le imprese multinazionali negano l’impatto devastante derivante dai loro affari, evitando di collaborare con Global Witness alla stesura del rapporto. Non si è fatta però attendere la replica della Thaisarco-Amc, che disapprova il rapporto a causa del ”numero di imprecisioni e omissioni contenute”.