Doppio gioco

di Christian Elia
da www.peacereporter.net

La polizia irachena attacca i militanti dissidenti iraniani in Iraq. Che accusano Baghdad e gli Usa di sacrificarli al dialogo con Teheran

La fine di Camp Ashraf sembra vicina. Dopo gli incidenti dei giorni scorsi, nei quali sono morti otto militanti iraniani, il governo iracheno è deciso a estradare verso il Pakistan tutti i membri del gruppo Mujahidin e-Khalq (Mek), i ‘combattenti del popolo’, dissidenti iraniani.

Attacco ai mujahidin. Il campo, che occupa una vasta area nel governatorato di Dyala, nell’Iraq meridionale, esiste dalla fine della guerra tra Iran e Iraq degli anni Ottanta. Il regime di Saddam, nella speranza di riprendere prima o poi il conflitto con la Repubblica Islamica, offrì appoggio finanziario, politico e logistico al gruppo Mek, braccio armato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, il network degli oppositori che durante la guerra avevano appoggiato il regime laico di Saddam contro la teocrazia iraniana. Anche solo per aver combattuto i loro stessi fratelli, in un conflitto che è costato la vita a due milioni di persone, il Mek è diventato la bestia nera del regime di Teheran.

Dal 1988 al 2003, quando il regime di Saddam è stato rovesciato dall’invasione della Coalizione guidata dagli Usa, il Mek ha potuto contare su un rifugio sicuro. Nel campo, circondato da un’elegante cancellata nera con una serie di statue di leoni dorati, vivono 3500 militanti del Mek, non tutti guerriglieri.

Gli Usa hanno disarmato i miliziani all’interno del campo nel 2003, ma avevano lasciato in piedi la struttura, perché l’amministrazione Bush non ha mai abbandonato la speranza di rovesciare il regime iraniano e il Mek poteva tornare utile ai piani d’invasione o di destabilizzazione.
Da quando il governo iracheno guidato dal premier Nuri al-Maliki ha preso il controllo del territorio, invece, le cose sono cambiate.

Fine di un’era. ”Le forza dell’ordine irachene stanno solo ripristinando la legge su tutto il territorio nazionale. Non è pensabile che vi esistano luoghi di extraterritorialità”, ha dichiarato, Ali al-Dabbagh, portavoce del governo di Baghdad. ”La polizia e l’esercito hanno tentato, con calma, di convincere i residenti nel campo che era giunto il momento di impiantare una stazione di polizia all’interno del campo: di fronte alla reazione violenta dei militanti del Mek hanno fatto un legittimo uso della forza”.

La polizia e l’esercito, infatti, non erano mai entrati nel campo, come da accordi tra il Mek e il vecchio regime. Secondo alcuni testimoni, però, gli agenti sono entrati con decisione e sono cominciati gli scontri: otto vittime (tutti membri del Mek), 400 feriti e 50 arresti.
Adesso si lavora all’ipotesi di espatrio dei militanti verso il Pakistan, secondo quanto dichiarato dalla televisione satellitare al-Arabiya, che cita fonti governative irachene e iraniane.

Ma cosa è accaduto per far precipitare così una situazione che si trascinava da anni?

Sgombero conto terzi. ”C’è un collegamento evidente tra quello che sta accadendo in Iran e quanto accaduto nel campo di Ashraf”, ha commentato Maryam Rajavi, leader in esilio a Parigi del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana. ”Il regime vuole eliminare ogni forma di dissenso, interno ed esterno. Questa aggressione subita è una palese violazione delle convenzioni internazionali e delle assicurazioni che avevamo ricevuto dagli Usa prima e dal governo di Baghdad dopo.

Ma il clima politico è cambiato e c’è chi vuole fare un favore a Teheran. La comunità internazionale deve intervenire per evitare una catastrofe umanitaria”. Gli Usa, per il momento, si limitano a guardare.
”Abbiamo avuto rassicurazioni dal governo iracheno che i membri del Mek non verranno espulsi verso l’Iran, dove la loro vita sarebbe in pericolo”, si è limitato a commentare il generale Ray Odierno, comandante in capo dell’esercito Usa in Iraq. ”Per il resto è un problema di politica interna che riguarda solo il governo di Baghdad”.

In nome della realpolitik. La versione ufficiale del governo iracheno, in effetti, è poco convincente. Come mostra un video girato durante l’operazione nel campo, la polizia è intervenuta duramente e senza essere provocata.

L’idea, che è supportata anche da molti osservatori internazionali, è che l’amministrazione Obama sia sempre più orientata alla politica del dialogo con Teheran. Non a caso il segretario della Difesa Usa Robert Gates, che ha appena compiuto una visita in Iraq, ha coordinato un tavolo di lavoro per una strategia comune contro i gruppi armati curdi che operano in Mesopotamia compresi i curdi iraniani. Un altro gesto di attenzione nei confronti dell’Iran è avvenuto nei mesi scorsi, quando l’Unione Europea ha deciso di eliminare il Mek dalla liste delle organizzazioni terroristiche, cosa che gli Usa non hanno voluto fare.

Il governo di al-Maliki si sta rafforzando anche a livello regionale e non ha alcun interesse a tenere in vita un’organizzazione che sarebbe sempre motivo di tensioni con Teheran. Nel 2003, quando la polizia francese arrestò la Rajavi e perquisì la sede del Consiglio a Parigi, ci furono centinaia di persone pronte a scendere in piazza per darsi fuoco chiedendo la liberazione della leader. La fine del campo di Ashraf, comunque, sarà un duro colpo per l’organizzazione. L’Unione europea è l’unico posto sicuro per questo movimento che, in passato, è stato utile sia all’Iraq che agli Usa, ma che adesso viene sacrificato sul tavolo della realpolitk.