Ru486: il governo vuole denunce penali per le donne. E noi? Che facciamo?

di http://femminismo-a-sud.noblogs.org

Ancora un approfondimento sulla Ru486. Non dice più di quanto già detto. Rivela però l’importante particolare della minaccia di denuncia penale – punizione tra le altre punizioni – nel caso in cui la donna assuma la pillola e non accetti il ricovero ospedaliero prima dell’espulsione. Una denuncia penale mette l’aborto sul piano della clandestinità e illegalità invece che su quello necessario della depenalizzazione [leggi e firma la petizione europea]. Questo, ovvio, per fugare ogni dubbio sulle intenzioni che il governo aveva mentre approvava la moratoria all’aborto con voto unanime e la astensione di pd e idv. Tutto ciò mentre si continua ad insistere con scomuniche, obiezioni di coscienza e minacce di intervento su ogni pezzo di burocrazia che riguarda la questione.

Cosa vorrà scrivere la Roccella sul consenso informato? Che la donna accetta di assumere una pillola che nella opinione degli antiabortisti fa morire il corpo e l’anima della donne peccatrici che la usano? Il consenso informato è quel foglio che normalmente firmiamo per accettare di deresponsabilizzare gli ospedali e i medici in caso di complicazioni negli interventi. Nel foglio devono essere scritti nero su bianco cause ed effetti dell’intervento che subiamo. Cause ed effetti formulati con la descrizione di dati scientifici. Dati certi. Non è un foglio che può modificare la sua struttura con pregiudizi e pensieri individuali come “la pillola è cattiva a fa male all’anima di chi t’e’ morto”.

Insomma le contorsioni estive non sono ancora finite e in questa guerra tra il potere della chiesa e la scarsa consistenza delle altre entità istituzionali le uniche vittime continuano ad essere soltanto le donne. Ministri e sottosegretari hanno giurato di fronte alla costituzione e non di fronte alla bibbia. Il giuramento comprende il rispetto di quell’articolo che parla di diritto alla assistenza e alla salute per tutti e tutte. Le donne hanno diritto ad essere assistite anche in caso di aborto. Costringerle alla clandestinità significa mandarle a morire. Questo è quello che i rappresentanti di questo governo fanno. Ministri e sottosegretari che obbediscono al vaticano prima che alla costituzione italiana dovrebbero dimettersi immediatamente. Buona lettura!

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La pillola all’italiana
di Flavia Amabile

E’ ormai una pillola ‘all’italiana’ questa Ru486, la pillola abortiva introdotta due giorni fa dopo un iter durato anni di incertezze. Perché è tutta e soltanto italiana la procedura che si sta faticosamente mettendo a punto nelle stanze di governo e prevede obblighi e formalità del tutto diversi da quelli in vigore in ogni altro paese dove la pillola è in uso. Lo pensa anche il direttore dell’Istituto «Mario Negri» di Milano, Silvio Garattini, per il quale «stiamo assistendo ad un caso così speciale solo da noi quando la RU486 da tempo è impiegata ovunque senza sollevare alcun problema».

Il primo punto, fortemente voluto dalle componenti cattoliche dell’esecutivo e recepito dall’Aifa nel dare il via libera, prevede il ricovero in ospedale fino ad aborto avvenuto. «Non accade in nessun altro Paese e l’Aifa si esporrà al ridicolo a livello internazionale nel momento in cui questa richiesta sarà ufficializzata», spiega Silvio Viale, ginecologo, che ha avviato la sperimentazione della Ru486 già nel 2005 all’ospedale Sant’Anna di Torino. «E’ un adeguarsi alle richieste della politica del tutto inusuale nel mondo scientifico», conclude.

«Il trattamento in day hospital è escluso – insiste il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella – e bisognerà prevedere un ricovero di almeno 3 giorni». Ma nel mondo medico è abbastanza evidente che sarà impossibile garantirlo. Maurizio Benato, vicepresidente della Fnomceo, la Federazione dei medici chiurghi: «La Ru486 deve essere somministrata nel rispetto della legge 194 e quindi in ambito ospedaliero ma se una donna decide di tornare a casa anche ad espulsione non avvenuta nessuno può obbligarla a rimanere. Non esistono strumenti per vincolarla, la volontà della paziente è sovrana, l’importante è che sia consapevole delle conseguenze che le sue dimissioni possono avere, e che quindi il consenso informato rechi tutte le informazioni necessarie».

L’eventuale decisione da parte della paziente che richiede l’intervento di firmare per la dimissione dalla struttura ospedaliera dopo l’assunzione della pillola Ru486, avverte infatti Eugenia Roccella, «dovrà essere scoraggiata dagli operatori sanitari e, comunque, risulterà appunto fondamentale il consenso informato». L’unica strada da percorrere per il governo per rendere più forte l’obbligo a rimanere in ospedale potrebbe essere la minaccia di denunce penali per le donne che dovessero abortire fuori degli ospedali dopo aver preso la Ru486 in quanto si tratterebbe di un’interruzione di gravidanza illegale, avvenuta senza rispettare l’articolo 8 della legge 194. «Ma in questo caso – replica Viale – significherebbe tornare indietro di quasi quarant’anni, l’aborto diventerebbe di nuovo una pratica illegale».

Il secondo punto su cui si intende lavorare sono i provvedimenti amministrativi e gli interventi nelle linee guida. Una delle idee allo studio è quella di un questionario da far compilare alle donne che richiedano la somministrazione della Ru486 per selezionare chi può aver diritto a prenderla. Come spiega Eugenia Roccella, si vorrebbe «appurare l’esistenza di alcune condizioni essenziali perchè l’intervento risulti sicuro per la donna, come ad esempio la vicinanza di un ospedale alla abitazione o il fatto che non sia sola». «Anche in questo caso non esiste nulla del genere nel mondo intero. L’idea di un test psicologico è da Stato totalitario», avverte Silvio Viale.