LAICITÀ E SENTIMENTO RELIGIOSO

di Paolo Bonetti
da www.italialaica.it

Proprio mentre scrivo questo editoriale sta esplodendo la polemica sulla RU486, la pillola abortiva che consente di evitare l’aborto chirurgico e che è stata resa disponibile anche alle italiane (in molti altri paesi lo è già da diversi anni) entro le prime sette settimane di gravidanza. Il cardinale Bagnasco, presidente della CEI afferma che siamo di fronte a un attentato alla nostra civiltà, mentre “Avvenire”, il giornale dei vescovi, e “l’Osservatore Romano” hanno scritto parole durissime, anche contro quei politici della maggioranza che non si sarebbero opposti con la necessaria energia alla somministrazione della pillola negli ospedali italiani. In realtà, la decisione è stata presa dall’organo tecnico competente a farlo e non pare che ci siano violazioni della legge 194, quella che prevede alcuni casi di interruzione di gravidanza sotto controllo medico. La Chiesa cattolica ha tutto il diritto di protestare per quella che essa ritiene una grave violazione della legge morale, ma lo Stato italiano, accertata la non nocività della RU486 (i casi contrari riscontrati sono, a livello mondiale, un numero esiguo) ha il dovere di dare libero corso a un farmaco che non è in contrasto con la normativa italiana sull’aborto. Ecco un caso in cui la laicità dello Stato (in cui tutti dicono di credere, compreso Ratzinger) si mostra evidente nella distinzione che esso deve fare fra le concezioni del bene (molteplici in una società come la nostra) e quella del giusto, vale a dire l’applicazione di una legge che molti non possono in coscienza accettare, ma che è stata, a suo tempo, approvata da un libero Parlamento e poi confermata, a larga maggioranza, da un referendum popolare.

L’aborto, ci è già capitato di dirlo, è una questione che rende inquieta e spesso perplessa la coscienza di tutti, ma, alla fine, con le necessarie garanzie mediche e giuridiche, non c’è, a nostro parere, altra soluzione ragionevole che quella di affidarsi alla libera scelta della coscienza delle donne e a disposizioni di legge che non coartino, in nessuna forma e in nessuna direzione, la libertà di questa coscienza. Lo Stato laico non può essere né abortista né anti-abortista, deve semplicemente essere lo Stato delle libertà. L’esercizio di queste libertà può creare, in molti casi, situazioni complesse e difficili da risolvere in modo equilibrato (si pensi ai problemi di ordine pratico generati dall’obiezione di coscienza), ma lo Stato laico non può essere, senza snaturarsi, lo Stato che impone, con la forza della legge, comportamenti che la coscienza morale degli individui ritiene inaccettabili. Lo Stato laico ha anch’esso un valore di fondo che lo sostiene e a cui deve restare fedele, un unico valore, nel quale possiamo riconoscerci tutti, credenti e non credenti, e questo valore è la libertà della coscienza individuale. Con tutti i rischi che essa comporta, con tutti gli errori a cui può essere soggetta.

Le questioni di libertà possono sembrare secondarie rispetto ai gravi problemi economici che il nostro paese è costretto ad affrontare in questi mesi. Eppure, anche quando urgono le preoccupazioni del benessere e della sicurezza quotidiani, gli uomini e le donne non si accontentano di vivere di solo pane. Si parla tanto di rinascita, nella nostra società, dello spirito religioso, e noi vorremmo che fosse veramente così, se per religione s’intende non l’ossequio conformistico a una fede mai veramente vissuta, ma l’adesione (nel caso italiano) a un cattolicesimo dell’interiorità morale e dell’impegno civile: il male della società italiana sta anche e soprattutto in questa mancanza di spirito religioso e di entusiasmo morale, che possono benissimo appartenere anche a coloro che non credono nei miti e nei riti di una qualche religione rivelata, ma sentono che non ci può essere futuro per un paese immerso nell’edonismo spicciolo vanamente mascherato di religiosità superstiziosa e utilitaristica. Se gli italiani diventassero più “religiosi” nel loro modo di concepire la vita, forse troverebbero una migliore soluzione anche i molteplici problemi della nostra vita sociale. Una religiosità più intensa e autentica non contrasta con la laicità dello Stato, le conferisce anzi quella forza morale che oggi appare in gran parte perduta. Anche la Chiesa cattolica dovrebbe comprendere che, nei nostri tempi trimalcionici, non sono gli atei o i cosiddetti laicisti che minacciano la vita spirituale dell’Italia.

Tornando al tema dell’aborto, la Chiesa sa bene, nel suo millenario realismo politico, che questo problema esiste e che non si può esorcizzare con le condanne apocalittiche e con la colpevolizzazione delle donne. La Chiesa dovrebbe sapere anche che una soluzione, inevitabilmente parziale, si può raggiungere soltanto, come ci è già capitato di dire, attraverso l’educazione a una maternità e paternità responsabili. Questa educazione deve cominciare molto presto, deve essere impartita nella scuola pubblica e non deve essere ostacolata da una concezione della sessualità ancora gravata da pregiudizi incompatibili con la sensibilità delle nuove generazioni e, ormai, anche con quella delle persone di una certa età. C’è un cristianesimo, quello non contaminato dal neoplatonismo, che non teme il corpo, che sottolinea anzi, la dimensione corporale della persona umana nella sua concretezza. Dunque, occorre avere coraggio, cominciando ad affidare anche alle donne le funzioni pastorali e vincendo la sessuofobia di una teologia maschilista e gerontocratica. Se ci permettiamo, da non credenti, di dire queste cose, è perché forse amiamo il cristianesimo, la sua straordinaria e variegata vicenda storica, più di quanto la Chiesa stessa non lo ami.