Honduras, il golpe senza e contro Obama

di Stella Spinelli
da www.peacereporter.net

Il golpe in Honduras, dopo 40 giorni, ancora vive e prospera, tra repressione e violenza, nella stanchezza dell’opinione pubblica internazionale, in altre faccende affaccendate. Ma cosa c’è dietro a questo colpo di Stato che sembrava dovesse finire un istante dopo le immediate dichiarazioni di condanna dei governi democratici di mezzo mondo, Usa compresi?

Lo ha spiegato chiaramente Guillermo Almeyra, giornalista de La Jornada. Il golpe in Honduras ha avuto due obiettivi, uno eclatante, l’altro in tipico stile 007. Il primo era liquidare l’anello più debole dell’Alternativa bolivariana per le Americhe (Alba), l’alleanza strategica ideata da Hugo Chavez, a cui per motivi economici, il conservatore Zelaya si stava avvicinando, abbracciando anche timide riforme sociali ben lungi da quelle che un ‘pericoloso rivoluzionario’ – com’è stato definito Mel – avrebbe intrapreso. Il secondo ci riporta alla mente la vecchia sanguinaria politica che lo Zio Sam ha privilegiato per il suo cortile di casa: l’intento era destabilizzare l’intera regione centroamericana, rafforzando il Plan Merida e creare dal Messico alla Colombia un corridoio per la dominazione Usa, convertendo la Colombia del fedele Alvaro Uribe nella testa di ponte per controllare Venezuela, Ecuador, Brasile e il Caribe tutto. Quindi, via Zelaya, via Colom (il presidente guatemalteco da tempo nel mirino dei destabilizzatori), via il Frente Farabundo Marti de Liberacion Nacional (appena vittoriosi nel Salvador dove controllano il governo ma non il potere, ancora nelle mani dell’ultradestra), e via Ortega (il sandinista capo di Stato del Nicaragua).

“Il golpe civico-militare è stato accuratamente preparato nella base Usa di Soto Cano, alla presenza dell’ambasciatore degli Stati Uniti Llorens – afferma Almeyra – Questi se n’è andato e si è portato dietro la famiglia, anche se sapeva del golpe in anticipo, per non sembrare troppo legato ai gorilla honduregni, che sono stati formati dagli Stati Uniti, i quali li conoscono dal tempo di John Dimitri Negroponte e dell’Irangate (vennero armati i paramilitari Contras in Nicaragua con armi passate dall’Honduras e pagate con la droga della Cia). Negroponte che è stato, oltre che capo diretto di Llorens, ex segretario nazionale di sicurezza di Bush, ex rappresentante Onu, ex vicere in Iraq, e che non è l’unico cospiratore di alto livello coinvolto in Honduras”.

Infatti, se si guarda l’entourage del golpista Micheletti i conti sono presto fatti. Tra i suoi consiglieri ha due degli aiutanti principali di Bill Clinton. Uno è Lanny Davis, che lo sostenne durante lo scandalo Lewinsky, che è stato l’uomo di ferro accanto a Hillary Clinton durante lo scontro elettorale contro Obama, e che è nientemeno che il referente del Consiglio hondregno delle Imprese private, crogiolo dell’oligarchia golpista. L’altro è Bennet Ratcliff, braccio destro dell’ex presidente democratico. “Di conseguenza – tuona Almayra – è assolutamente impossibile che il Dipartimento di Stato americano (ossia Hillary Clinton) e il Pentagono siano rimasti sorpresi dal colpo di stato tanto “annunciato” e tanto grossolanamente organizzato dai quattro gorilla, sicuri di restare impuniti”. In quest’ottica, il golpe non è che un “siluro sotto la linea di navigazione del tentativo di distensione con l’America Latina e con Cuba portato avanti da Obama”, missile lanciato dalla destra conservatrice statunitense, sia quella che c’è nel Partito Democratico, come Hillary Clinton e il suo clan, sia quella repubblicana (attraverso i legami dei bushisti con i militari e la destra latinoamericani).

La crisi honduregna va letta dunque come il primo indebolimento serio made in Washington del medesimo Obama, che qualcuno vorrebbe relegare a un ruolo di facciata, senza nessuna possibilità di iniziativa, con una politica estera controllata in tutto e per tutto dal Dipartimento di Stato e quindi dalla Clinton? Almayra non usa mezzi termini: “L’opinione che ‘Obama è un negretto che non sa nulla di nulla’ l’ha formulata il ministro delle Relazioni estere dei golpisti honduregni – spiega – ma, anche se ancora non la esprimo apertamente, è condivisa da tutti i santi che i gorilla tendono nel paradiso dell’establishment Usa”.

Siamo di fronte a un golpe che dunque ha molti bersagli. È un golpe contro Venezuela, Cuba e gli amici dell’Alba, un golpe contro tutti i governi progressisti del Sud America e anche un golpe senza Obama e contro Obama.
L’unico tentativo concreto portato avanti dagli Usa è la mediazione di Oscar Arias, presidente costaricense, quindi vicino da sempre alla Casa Bianca. Ne è uscita una proposta che altro non sta facendo se non guadagnare tempo ai golpisti, che intanto stanno mettendo in atto il loro potere di fatto nel peggiore dei modi, stancando e demoralizzando fino allo sfinimento l’opposizione pro Mel. Il fatto che, se accettata, prevedrebbe un’amnistia per i gorilla è ancora più grave. Si tratta di uomini che hanno fatto uccidere gente inerme che manifestava pacificamente per difendere i diritti costituzionali, come poterli amnistiare? E, secondo l’Accordo di San José, sono proprio questi signori, colpevoli di golpe, omicidi e sparizioni, coloro che il presidente legittimo dovrebbe ammettere nel proprio gabinetto, se vuole riottenere il posto che loro stessi gli hanno brutalmente e illegittimamente torto manu militari, sequestrandolo e esiliandolo con la forza.

“Se la solución Clinton venisse accettata si stimolerebbero futuri golpes e dittature militari dalla facciata legale – spiega l’analista – L’alternativa è difficile, ma è l’unica positiva: rigettare il lodo Arias-Clinton e iniziare in Honduras un processo di lotta con tutti i messi possibili, per imporre un’assemblea nazionale costituente che decida chi e come governerà il paese. Ossia, tentare di creare una breccia nelle forze armate e nella polizia attraverso la mobilitazione, come è avvenuto in Bolivia contro Sanchez de Lozada o in Venezuela, con il golpe contro Chávez”. E, come in quei casi, a capo di un tale movimento non potrà che starci il popolo d’Honduras, unico reale garante della Costituzione.