Crisi alimentare: Oltre la scarsità

di Giuseppe De Marzo
da www.carta.org

Si moltiplicano i segnali di un ritorno alla crisi dei prezzi agricoli che ha dominato lo scorso anno. Le cause strutturali delle distorsioni del mercato agricolo mondiale non sono state rimosse. L’intero pianeta sta affrontando negli ultimi anni una crisi alimentare gravissima, come testimoniano diverse relazioni di organismi multinazionali. Una crisi caratterizzata dalla scarsità di prodotti alimentari e dall’incidenza crescente di fenomeni climatici catastrofici e carestie. Si stima che attualmente un miliardo di persone soffrano la fame nel pianeta, una percentuale cresciuta di quasi il 20 per cento nell’ultimo decennio.

Secondo i dati incrociati della Fao e del Wto la crisi dei prezzi del cibo alimentare non è finita, anzi sembra nuovamente acuirsi. Durante la seconda metà del 2008, grazie all’abbondanza dei raccolti, in relazione con la congiuntura economica finanziaria e del crollo del petrolio, i prezzi scesero allentando la stretta della fame nelle aree più povere.

Nei mercati le fluttuazioni del greggio legate alle speculazioni sulle materie prime hanno dato una scossa al prezzo di prodotti come la soia e la canna da zucchero ma c’è chi teme che il petrolio possa tornare a salire, portando a un aumento del costo dei vegetali da cui si producono biocarburanti.

Le cause strutturali della crisi alimentare sono relazionate anche con le politiche economiche e di sviluppo applicate indiscriminatamente nel corso degli ultimi trenta anni su scala planetaria, che sono le principali responsabili della situazione attuale. Le responsabilità sono da ricercarsi nella struttura tesa all’esclusione, nell’iniquità stessa del sistema che condanna miliardi di esseri umani alla marginalità, alla povertà, preoccupandosi prevalentemente di garantire che la ricchezza continui a concentrarsi in poche mani.

Il problema non è la disponibilità di alimenti nel mondo ma l’utilizzo che si fa delle produzioni alimentari, la loro iniqua distribuzione e – non ultimo – il prezzo che le fasce più deboli della popolazione mondiale non possono permettersi. La crisi alimentare attuale ha molto a che vedere con la speculazione del capitale finanziario internazionale e con il mercato degli agrocombustibili.

Il prezzo dei cereali si è alzato vertiginosamente. Fino all’80 per cento della spesa totale delle famiglie nei paesi più poveri è dedicata agli alimenti. Un dato impressionante se comparato, ad esempio, col 15 per cento speso in provviste dalle famiglie statunitensi.

Nel caso del riso il prezzo è addirittura raddoppiato. Il malessere sociale nei paesi più colpiti dalla crisi ha provocato già tumulti di maggiore o minore intensità in Camerun, Senegal, Egitto, Etiopia, Haiti, Indonesia, Costa d’Avorio, Mauritania, Filippine, Tailandia, Uzbekistan o Yemen, e minaccia di infiammare altri luoghi. Un crescente numero di esperti considerano che la produzione globale di cereali non è diminuita, ma non scartano che si stia producendo una speculazione alimentare da parte di chi ha immagazzinato grano per rincarare il suo prezzo.

Perché sono cresciuti i prezzi degli alimenti basilari? La verità è che a concorrere in tale aumento sono state cause diverse. L’Europa è stata penalizzata dal 2005 con raccolti piuttosto scarsi. L’Australia, uno dei principali esportatori di riso del mondo, soffre del sesto anno consecutivo di siccità, che ha decimato la sua produzione. Inoltre è crescente la domanda di biocombustibile elaborato con mais come alternativa al petrolio.

La crescita economica della Cina e dell’India converte i due paesi in divoratori di materie prime. Sebbene è certo che la domanda di alimenti stia crescendo grazie allo sviluppo di questi paesi, questo non spiega di per sé l’attuale scarsità di beni alimentari.

È possibile che l’impatto del cambiamento climatico si stia facendo già sentire attraverso le mutate condizioni climatiche che stanno riducendo i raccolti a livello globale. A questo va aggiunto l’incremento demografico (6,7 miliardi di persone, 9 per il 2050) e quindi un aumento proporzionale della produzione e delle risorse idriche per coltivare che però scarseggiano sempre più per la desertificazione di certe aree e per l’assenza di infrastrutture.

Una delle principali cause dell’attuale crisi alimentare è senza dubbio che buona parte delle immense estensioni di terra che nel mondo si usavano per produrre alimenti sono ora dedicate a produrre biodiesel o altri combustibili fabbricati a partire da prodotti come mais, canna di zucchero ed altri.

Istituzioni come l’ OMC, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale – con gli Stati Uniti e l’Unione Europea davanti – sono i suoi massimi promotori. L’applicazione sistematica nei paesi del Sud di politiche di aggiustamento strutturale, la riscossione del debito estero – a ben guardare già ampiamente corrisposto – e la privatizzazione dei servizi e beni pubblici sono stati una costante in questo periodo, insieme alla liberalizzazione del commercio frutto dei negoziati nell’OMC.

Le multinazionali del settore alimentare come Cargill o Monsanto sono le uniche che stanno traendo profitto dalla crisi attuale.

Insomma, le cause di questa crisi che riduce alla fame sempre più popoli hanno poco a vedere con la scarsità. I principali responsabili sembrano invece essere la speculazione del capitale finanziario internazionale ed il monopolio del mercato di combustibili.