NON SECONDO L’ETA’, MA SECONDO LE CAPACITA’

di Yupa
da www.anobii.com

Nota: quello che segue è il commento di Yupa su Anobii al saggio The Case Against Adolescence – Rediscovering the Adult in Every Teen di Robert Epstein. A personale avviso di chi scrive, le poche righe seguenti sono semplicemente fondamentali, in quanto riescono a riassumere mirabilmente i veri problemi di quella che viene definita “Adolescenza”.

[…] quella di Epstein è una tesi coraggiosa, e decisamente controcorrente rispetto a tendenze così radicate nel nostro tempo da essere quasi inavvertibili, se non con un grande sforzo per coglierle, e (se lo si vuole) contrastarle.

Già questo merita un elogio, quand’anche non si condividesse una briciola del pensiero dell’autore: il pensiero alternativo permette di inquadrare meglio quello dominante, di metterlo alla prova e ridiscuterlo, quand’anche l’esito della discussione fosse una riconferma di ciò che già si credeva.

Il nucleo della tesi di Epstein è molto semplice: l’adolescenza così come ora è vissuta nei paesi più industrializzati (il cosiddetto “Occidente”) è inutile e dannosa. Se ne può fare a meno, e farne a meno sarebbe assai vantaggioso per tutti (individui e società).

L’adolescenza “occidentale” qui significa due cose:

1) Il periodo in cui, terminata l’infanzia, si rimane ancora esclusi dal mondo del lavoro (perché vietato) e rinchiusi in quello della scuola (perché è scuola dell’obbligo)

2) Il periodo del malessere esistenziale, della frustrazione, della trasgressione, dello scontro col mondo adulto e genitoriale.

Epstein osserva che questo periodo, nell’ultimo secolo, è stato progressivamente espanso verso l’alto: dai 14 anni ai 16, poi ai 18, e così via. Sempre tramite le due leve, quelle dell’obbligo scolastico e del divieto al lavoro.

Questo processo Epstein lo chiama “estensione artificiale dell’infanzia”.

In pratica il Mondo attuale starebbe sempre più trattando gli adolescenti (e ormai anche chi arriva alla soglia dei vent’anni, se non oltre) come bambini, cioè come persone incapaci di badare a sé stesse.

Ciò sarebbe controproducente, perché gli adolescenti non dovrebbero essere considerati bambini cresciuti, ma giovani adulti, molti dei quali già dotati delle capacità di prendersi in mano una propria autonomia.

L’autore chiama a supporto della sua tesi dati e testimonianze provenienti da diverse discipline, principalmente storia, antropologia e psicologia. La storia mostrerebbe che lungo tutta la storia umana, ad esclusione dell’ultimo secolo e mezzo, gli adolescenti sono stati sempre considerati giovani adulti in grado di lavorare, sposarsi, agire in maniera autonoma e venire puniti dalla legge al pari degli adulti. L’antropologia mostra che la stessa cosa avviene in culture contemporanee non “occidentali”, cioè ancora in tutto o in parte sottratte ai processi di industrializzazione e scolarizzazione di massa. Quindi l’adolescenza come periodo di incapacità concreta e di instabilità emotiva (e quindi da sorvegliare in maniera paternalistica) sarebbe un’invenzione recente avvenuta in una parte limitata del Mondo: ovvero, l’adolescenza sarebbe un’anomalia.

Infine, la psicologia. Epstein stesso è uno psicologo, e a questo aspetto dedica una delle parti più corpose del volume. Attenzione, che qui per ‘psicologia’ si intende lo studio scientifico della mente umana: scienze cognitive, neurologia e simili. Niente fuffa freudiana o postfreudiana, quindi. Ebbene, Epstein riporta tutta una serie di ricerche, sia da laboratorio che sul campo, che mostrano come tutte le capacità logiche, cognitive, creative, emotive e via dicendo abbiano i loro picchi e la loro massima performance proprio negli anni dell’adolescenza, e siano destinate a calare dai vent’anni in poi, e quindi a precipitare dai trenta e quaranta in poi. Le capacità cognitive, logiche, ecc dei cinquantenni e oltre, nella maggior parte dei casi, sarebbero invece comparabili a quelle di bambini pre-adolescenti.

A questo punto Epstein va a rispondere alla domanda più ovvia: se gli adolescenti sono così competenti ed equilibrati, perché la maggior parte, oggi, sembra comportarsi in maniera immatura, illogica, trasgressiva, distruttiva e autodistruttiva, inaffidabile e incompetente?

Le potenzialità ci sono ma non si esprimono perché non è concesso loro di esprimersi. Di conseguenza moltissimi adolescenti sono frustrati, rabbiosi e riottosi perché il mondo adulto li considera poco più che bambini, quando bambini ormai non lo sono più.

Frustrati, rabbiosi e riottosi come succederebbe a degli adulti che venissero privati della propria autonomia senza una sufficiente giustificazione (tra l’altro Epstein mostra tramite una serie di ricerche che, attualmente, di norma un adolescente è sottoposto a molte più restrizioni di un adulto in carcere o nell’esercito… con l’aggravante che chi si trova in prigione o sotto le armi almeno conosce e/o accetta le ragioni del suo stato).

C’è inoltre da chiedersi quale società potrà mai generarsi, in futuro, da individui che hanno trascorso gli anni in cui maggiormente avrebbero il bisogno e le capacità di vivere attivamente nel Mondo, che hanno trascorso questi anni praticamente segregati e monitorati ancora come infanti incapaci. Forse una società composta in gran parte da adulti frustrati, sfiduciati e cronicamente indecisi?

Quel che è altamente provocatorio è la proposta di Epstein per superare questa situazione. Giustamente, invece di limitarsi a un appello alle coscienze del tipo ‘trattiamo con più rispetto i nostri giovani figli’, appello che lascerebbe il tempo che trova, le proposte di Epstein sono più che pragmatiche e concrete, anzi, concretissime.

Detto in breve: la società si deve sbarazzare di tutti i limiti che vincolano arbitrariamente gli individui alla propria classe d’età (età per votare, per richiedere la patente, per lavorare, per studiare, ecc); questi limiti in parte possono essere completamente rimossi: ad es. il diritto alla libertà di parola andrebbe assegnato fin dalla nascita a tutti gli individui, incondizionatamente. Altri diritti, invece, vanno assegnati non in base a un’età arbitraria ma alle competenze individuali. Ad esempio, chi desidera ottenere la patente, dovrebbe poter accedere al test in qualunque momento della sua vita, e non solo dopo una determinata età; chi desidera lavorare potrebbe farlo in qualunque momento, una volta superati determinati test che accertino adeguate capacità fisiche e psicologiche, e venire pagati adeguatamente e non con salarî inferiori a quelli adulti. E così via.

In pratica, la società deve giudicare gli individui per ciò che sono individualmente, e non per i gruppi a cui appartengono. Stiamo imparando a farlo rispetto all’appartenenza sessuale o etnica, è giunto il momento di farlo anche rispetto all’età.

In questo modo, l’età adolescenziale come età della noia, dell’odio, della frustrazione, della depressione, delle tendenze suicide, della trasgressione (con relativa criminalità giovanile) si dissiperebbe da sé. E verrebbe restituito alla società quel patrimonio di capacità, creatività, ingegno, industriosità, voglia di fare e di vivere presenti in molti adolescenti, patrimonio che attualmente viene represso e mortificato, se non distrutto (soprattutto dal sistema scolastico di massa).

Da notare che la posizione di Epstein taglia l’erba sotto ai piedi all’annoso dibattito tra permissivismo e severità, lasciandoselo alle spalle. Epstein rifiuta entrambe le posizioni, perché per lui sono due facce della stessa medaglia, quella dell’infantilizzazione dell’adolescenza. Epstein non afferma, ad esempio, che vanno tolti i divieti per i minori di accedere ad alcool o fumo perché i ragazzini, poverini!, non vanno oppressi. Tutt’altro! I divieti vincolati all’età vanno tolti perché gran parte degli adolescenti, tanto quanto gran parte degli adulti, sanno già agire in maniera responsabile, se la responsabilità viene
loro concessa. Responsabilità che ovviamente implica anche saper rispondere delle conseguenze delle proprie azioni, cioè pagare quando si abusa di responsabilità e autonomia. La punizione, però, almeno per gli adolescenti che si siano già resi emancipati, non dovrebbe più essere quella arbitria del genitore che ti vieta di uscire dalla camera per una settimana (o che magari non fa niente a parte qualche rimbrotto), ma è la punizione dall’autorità della legge, quella che già vale per ogni adulto.

A questo proposito Epstein osserva che questo servirebbe anche a riportare gli adolescenti che violino la legge entro le garanzie offerte dai tribunali ordinarî, dacché, come fa notare, attualmente i tribunali minorili agiscono in maniera assai discrezionale e arbitraria nei confronti dei giovani imputati, cioè contrariamente ai principî del “processo giusto” (in questo aumentando la conflittualità tra minori e società).

Ovviamente gli adolescenti ancora sotto la potestà dei genitori verrebbero da questi trattati ancora ‘come bambini’.

La grossa differenza rispetto all’oggi sarebbe che, come detto, togliendo gli attuali limiti d’età per l’obbligo scolastico e il divieto al lavoro, e tutti gli altri divieti basati su limiti d’età, qualunque persona potrebbe emanciparsi nel momento in cui lo riterrebbe maggiormente opportuno. Ed Epstein pensa che sarebbero molti più di quanti si crede i minori che saprebbero dimostrare di riuscire a farlo.

L’autore ritiene poi che i primi segni di questa ‘rivoluzione’ siano già visibili, e che l’impulso a valutare gli individui in base alle capacità e non a un’età arbitraria stia venendo soprattutto dalle tecnologie di rete, cioè da internet. Entro dieci o vent’anni, sostiene l’autore, la finzione chiamata adolescenza, durata poco meno di un secolo e mezzo, si dissolverà da sé.

Personalmente la ritengo una previsione troppo generosa.

Le due forze di base che hanno prodotto l’adolescenza come oggi la conosciamo, cioè la scolarizzazione obbligatoria di massa e l’esclusione dal mondo del lavoro, a me sembrano ancora estremamente forti e, anzi, penso aumenteranno ancor più la loro presa negli anni a venire. Per quanto l’idea della formazione permanente e la dissoluzione dei confini tra lavoro e svago possano effettivamente mettere in questione diverse cose. Ma è ancora tutto da vedere.

Soprattutto, Epstein non calcola un fattore che, secondo me, in tutto questo gioca un fattore cruciale, cioè la struttura demografica della società attuale.

La finzione dell’adolescenza è mantenuta innanzi tutto da un patto implicito, per cui lo Stato, per motivi economici e sociali, da una parte ha sottratto i figli ai genitori rinchiudendoli nelle scuole (mentre i genitori andavano a rinchiudersi nelle fabbriche e negli uffici), ma dall’altra ha consegnato agli stessi genitori un controllo sulla vita privata dei figli fino a età che un tempo sarebbero state impensabili. Imprescindibile dunque cogliere il nesso tra, da un lato, uno Stato che si propone come ‘difensore della Famiglia’ (cioè del controllo genitoriale sui figli) e, dall’altro, la Famiglia stessa che, in cambio, offre i suoi figli in sacrificio sull’altare della scolarizzazione di massa.

In secondo luogo, viviamo in società vecchie. Epstein stesso mostra come, al termine di un lungo declino dopo i settant’anni, nella maggior parte dei casi le capacità cognitive, emotive, ecc. degli individui siano tornate ai livelli di bambini di sette/otto anni. Eppure sono ancora oggi questi anziani a controllare le leve della società: a differenza dei bambini, a loro non viene sottratto se non in casi rarissimi, il diritto di voto, di possedere proprietà, di decidere di se stessi e così via. È anche facendo leva sulle paure, ansie e frustrazioni irrazionali di una popolazione sempre più vecchia, che si forgia la necessità di un controllo paternalistico nei confronti delle fasce più giovani della società: oggi gli adolescenti, domani i ventenni, e più avanti chissà.

Temo che finché non sarà stata demograficamente smaltita la massa dei baby boomers, i nati negli anni Cinquanta e dintorni, la società in cui viviamo sarà una società sempre più diffidente e sclerotizzata, per non dir terrorizzata, e soprattutto invidiosa e impaurita dalle capacità e potenzialità dei suoi più giovani componenti, cui si cercherà di stringere sempre più le catene di uno Stato paternalista e invadente nella privacy e nelle autonomie individuali.