Migranti: silenzio stampa

di Sara Milanese
da www.nigrizia.it

Il problema dell’immigrazione clandestina è risolto secondo il governo: sulle coste italiane niente più sbarchi. Ma le carrette del mare tentano ancora la sorte: oggi soccorsi 5 migranti eritrei. 75 loro compagni sono morti nella traversata. E nelle carceri libiche continuano le violazioni di diritti umani: almeno 20 migranti somali uccisi nel centro di Bengasi.

«Non registriamo sbarchi da mesi, ma non siamo autorizzati a rispondere ad altre domande» : è questa la risposta che si riceve telefonando alle Capitanerie di porto sicule. Ci eravamo ormai abituati ad estati scandite dall’arrivo di carrette del mare, eppure sono davvero pochi gli italiani che si chiedono come sia possibile che con la stagione estiva 2009 si sia davvero voltato pagina. Nemmeno un avvistamento al largo delle coste? Le motovedette girano a vuoto? A queste domande le autorità portuali dicono di non poter rispondere.

Eppure fino a maggio di quest’anno erano i primi a fornire informazioni: dove avvenivano gli avvistamenti, a quante miglia dalla costa, le prime stime sul numero di migranti e pure se si supponeva la presenza di donne e minori. Ora invece per sapere qualcosa di più bisogna rivolgersi direttamente al Comando centrale di Roma, ma anche qui è le informazioni sono poche: qualche segnalazioni, ammettono, c’è stata, ma non recente.

E qual’è la procedura dopo l’entrata in vigore degli accordi con la Libia? «Dipende da caso a caso» e la spiegazione si ferma a questo. Eppure alcuni pescatori affermano di trovare ancora cadaveri al largo, e che ogni sera gli elicotteri sorvolano il mare. I migranti non hanno smesso di rischiare la vita: lo conferma anche l’arrivo a Lampedusa, il 20 agosto, di 5 migranti eritrei, tra cui una donna, unici sopravvissuti ad un estenuante viaggio in mare durato 23 giorni, durante il quale sono morte 75 persone. I 5 per ora sono stati trasportati nel Cie dell’isola.

Di sicuro i flussi migratori non si fanno fermare da un pattugliamento congiunto: in base alle testimonianze raccolte e presentate dalle organizzazioni per i diritti umani (Human Rights Watch, UNCHR, Amnesty International, Cir) in Libia le carceri sono piene di quei migranti che altrimenti sarebbero altrimenti arrivati sulle nostre spiagge.

Vengono fermati prima di imbarcarsi, ma anche mentre si trovano già al largo, quando i barconi non vengono affondati dalle stesse autorità libiche. Sulla terraferma li aspetta l’inferno delle carceri, ormai tristemente note per le continue violazioni di diritti umani. Le denunce sul trattamento inumano riservato ai migranti detenuti (molti dei quali detentori del diritto d’asilo) non sono nuove, ma non hanno impedito all’Italia di firmare con Tripoli il famigerato accordo per il controllo dell’immigrazione clandestina.

L’ultimo grave episodio di violenza non ha quasi trovato spazio sulla stampa e le televisioni italiane (con poche eccezioni, per esempio Liberazione): almeno 20 migranti somali sono stati uccisi nel carcere di Ganfuda, vicino a Bengasi, 5 mentre cercavano di scappare. Accusati di aver organizzato la sommossa, a decine sono stati picchiati, feriti con manganelli elettrici, bastoni, coltelli. Almeno altre 15 le vittime. Le autorità libiche hanno smentito tutto.

Le continue violazioni dei diritti umani di rifugiati, carcerati e richiedenti asilo che avvengono in Libia, grazie alla firma degli Accordi , hanno un complice in più: il governo italiano. Eppure, come ricorda Fulvio Vassallo Paleologo, sia Italia che Libia hanno sottoscritto il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, e la Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura, e potrebbero essere sanzionate per le violazioni del patto e della Convenzione dal Comitato per i diritti dell’Uomo e dal Comitato per la prevenzione della tortura (CAT) delle Nazioni Unite per le violazioni del Patto e di questa Convenzione.

Non solo: potrebbero essere deferite di fronte agli organi dell’Onu che vigilano sul rispetto delle Convenzioni a difesa dei diritti dell’uomo, tra le quali quella contro la tortura.