Lettera aperta a Sua Santità Benedetto XVI in occasione dell’aggressione omofoba dello scorso 21 agosto

di Gianni Geraci
Il Guado – Gruppo di ricerca su Fede e Omosessualità – Milano

Caro Papa,

so già che molti si scandalizzeranno quando leggeranno questa lettera. Altri si metteranno a ridere e mi diranno che sono il solito ingenuo, che cerca di cambiare il mondo scrivendo lettere inutili. Qualche anticlericale mi accuserà poi di alimentare l’illusione che, nella mia chiesa, ci sia qualcuno che ascolta gli omosessuali credenti come me. Qualcun altro ancora, cancellerà l’email con cui ho deciso di rendere pubblica questo mio testo e magari mi chiederà di non seccarlo più con quelli che considera dei “piagnistei”.

Come vedi, caro Papa, scrivendoti, corro il rischio di dar fastidio a molti.

Tra questi potresti esserci anche tu, anche se spero davvero che ti possa mettere in ascolto di quello che scrivo, trasformando così, grazie all’azione misteriosa dello Spirito, le povere parole che compongono la mia lettera, in quello che tu hai bisogno di sapere per dare una risposta efficace ai tanti omosessuali cattolici che guardano a te con speranza.

Avrai certamente saputo di Dino, quel giovane omosessuale che è ricoverato all’ospedale san’Eugenio, per le ferite che ha riportato a causa di un’aggressione che si è svolta a Roma venerdì scorso. La persona che l’ha picchiato non approvava il fatto che Dino scambiasse pubblicamente alcuni segni di tenerezza con un altro giovane che aveva conosciuto quella sera. Li ha apostrofati, sono volate parole grosse e, alla fine, li ha aggrediti, ferendoli con un’arma da taglio.

Di certo non approvi questa aggressione, anche se, probabilmente, in merito all’opportunità di certe manifestazioni pubbliche di tenerezza tra due persone dello stesso sesso, potresti pensarla più o meno come il disgraziato che l’ha compiuta. Quando eri ancora Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, hai infatti reso pubblico un documento in cui si legge, tra l’altro, che: « Le persone omosessuali che dichiarano la loro omosessualità sono in genere proprio quelle che ritengono il comportamento o lo stile di vita omosessuale essere indifferente o addirittura buono e quindi degno di approvazione pubblica» criticando quei progetti di legge che le intendevano tutelare (cfr. Lettera ai vescovi degli Stati Uniti del 23 luglio 1992: Diritti sociali delle persone omosessuali).

Sia chiaro a scanso d’equivoci che non sto affatto paragonandoti all’aggressore di Dino. Tu l’avresti rimproverato educatamente e non avresti mai approvato la violenza. Il fatto è che i tuoi richiami, quando vengono letti da un esaltato, rischiano di diventare una scusa che può giustificare un’omofobia che è tanto più pericolosa quanto meno viene riconosciuta per quello che è.

Dico questo perché sono state tante le persone che hanno criticato le veglie di preghiera per le vittime dell’omofobia che i gruppi di omosessuali credenti italiani hanno organizzato negli ultimi due anni. In genere dicevano che non aveva senso parlare di una violenza omofoba che c’era solo nelle nostre teste, ma qualcuno arrivava addirittura a negare l’esistenza stessa dell’omofobia e, citando il Lexicon, che il Pontificio consiglio per la Famiglia, ha pubblicato nel 2003, ha affermato che l’omofobia non è altro che uno strumento di cui si serve la lobby degli omosessuali per propagandare un loro intrigo psichico.

A costoro. A quelli che, come l’aggressore del giovane Dino, non si vergognano per gli istinti violenti che suscita in loro l’immagine di due uomini o di due donne che si scambiano un bacio. A tutti quelli che rischiano di trasformare la condanna morale degli atti omosessuali in un sentimento di disprezzo o in un atteggiamento di emarginazione nei confronti delle lesbiche e dei gay, credo che si debbano ricordare queste parole della Congregazione per la Dottrina della Fede: «Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della chiesa, ovunque si verifichino. Essi rivelano una mancanza di rispetto per gli altri, lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile. La dignità propria di ogni persona deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni» (Lettera Persona Humana su alcune questioni di etica sessuale del 29 Dicembre 1975).

Ed è in obbedienza a queste parole che ti chiedo di intervenire per esprimere la tua solidarietà al povero Dino, per condannare l’episodio di violenza che si è svolto nella tua diocesi e per condannare tutti gli episodi analoghi che si svolgono in ogni parte del mondo.

Come scrive il libro della Sapienza «C’è un tempo per parlare e c’è un tempo per tacere». In materia di condanna delle violenze contro gli omosessuali credo davvero che sia arrivato il tempo di parlare, per non diventare inconsapevolmente dei complici di quei disgraziati che, come l’aggressore di venerdì scorso, si dimenticano della loro umanità quando vedono due uomini che si scambiano un bacio.

Con l’affetto di una persona che ti considera sempre e comunque un padre nella Fede, ti saluto e chiedo la tua benedizione su di me e su tutti gli omosessuali cattolici.

PS.
Qualcuno mi ha fatto notare che il ministero del papa è universale e che non può certo rincorrere i fatti di cronaca che avvengono a Roma. Questa giusta osservazione mi ha però fatto pensare che, proprio per questo motivo, il Santo Padre, ha un cardinale Vicario che, di fatto, esercita il ministero episcopale nella città. Le parole di solidarietà e di condanna potrebbero venire da lui. E anche questo Vicario, che potrebbe essere molto impegnato, ha ben tre vescovi ausiliari che l’aiutano nella gestione della Diocesi di Roma. Se proprio non ha tempo di intervenire lui, potrebbe incaricare uno di questi tre vescovi. Se si vuole, una soluzione capace di far capire che la Chiesa di Roma non approva la violenza omofoba che si è consumata nella città, la si trova senz’altro. Naturalmente occorre volerlo.