I veleni di Palazzo Chigi

di Andrea Scarchilli
da www.aprileonline.info

La vicenda dell’informativa confezionata contro il direttore dell’Avvenire Boffo, se letta con attenzione, rappresenta il primo atto della “guerra d’autunno” scatenata dal premier contro la stampa nemica. Feltri ha confermato di poter essere, per questa specifica esigenza, il direttore ideale. A controllare l’evoluzione della vicenda, infatti, il premier ne sta uscendo vittorioso su tutta la linea. Forse con qualche “aiutino” indebito dai servizi segreti

La vicenda che ha coinvolto il direttore del quotidiano “Avvenire”, Dino Boffo, è ancora avvolta in un polverone, come spesso accade nelle roventi polemiche giornalistiche all’italiana, che scompaiono dalle pagine dei giornali e dal dibattito politico con la stessa repentinità con la quale vi fanno l’ingresso.

Per comodità, può giovare un “riassunto delle puntate precedenti”. La giornata chiave è quella di venerdì scorso, quando Vittorio Feltri, il neodirettore del “Giornale” – il quotidiano della famiglia Berlusconi – scrive un articolo di fuoco contro Boffo. Rinvanga una vecchia storia, una condanna per molestie patteggiata da Boffo in cambio di una sanzione pecuniaria. Il patteggiamento, nel nostro ordinamento giuridico, non equivale a un’ammissione di colpa. E’ una misura prevista dal diritto penale per velocizzare i processi, e vi si può ricorrere con il consenso delle due parti, l’accusa e la difesa. Nello stesso articolo di Feltri, tuttavia, vi sono altri due elementi più che degni di nota. Al documento vero e proprio, il casellario giudiziario che testimonia della vicenda, viene allegata dal “Giornale” una pseudo – informativa della polizia giudiziaria. In questa informativa, si parla di Boffo come un omosessuale già “attenzionato” dalle forze dell’ordine. Dunque Boffo sarebbe omosessuale, e schedato come tale.

La bomba ha l’effetto immediato di far saltare l’incontro, previsto per la serata all’Aquila nell’ambito delle celebrazioni per la festa della Perdonanza, tra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone. Berlusconi era alla ricerca, dai tempi dell’esplosione dei noti scandali sessuali, di un contatto diretto, una “photo opportunity” con un esponente del Vaticano per riabilitarsi agli occhi dell’opinione pubblica cattolica. Fallito l’avvicinamento al Papa, si era deciso di ripiegare su quello che viene considerato il suo “vice”.

Ma l’incontro salta. Sulle motivazioni, le ricostruzioni sono completamente divergenti. Alcune sostengono che l’iniziativa di rinviare l’incontro sia partita dalla sala stampa vaticana, per evitare che il faccia a faccia potesse essere letto come una mancata presa di distanza dall’attacco del giornale berlusconiano a quello che è il quotidiano della Conferenza episcopale italiana. Un mancato compattamento, dunque, tra Cei e Vaticano. Altri dicono che la decisione è stata presa di comune accordo. Berlusconi prende le distanze dall’attacco di Feltri a Boffo in modo a dir poco furbo, richiamando il rispetto alla privacy. Quello che reclama, insomma, per la propria persona da quando le inchieste di “Repubblica” lo hanno messo all’angolo rivelandone le frequentazioni libertine.

Omettendo di registrare le prese di posizione e la solidarietà espressa nei confronti di Boffo – piuttosto macchinose e prevedibili – vanno registrati alcuni dati e meccanismi che sono emersi, in tutta la loro gravità, dalla vicenda.

Per richiamare la prima, capitano a pennello le dichiarazioni espresse da monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del Consiglio Cei per gli affari giuridici. Mogavero, in maniera felpata, ha consigliato a Boffo le dimissioni. E’ la prima crepa che si è aperta nella Cei, finora compatta nel sostenere il direttore del quotidiano di proprietà. Dice Mogavero: “In Italia chi si dimette è sempre ritenuto colpevole. Ma non sempre è così. Ripeto: se lo facesse per il bene del giornale e della chiesa. Se Boffo accettasse anche di passare per un disgraziato pur di non nuocere alla causa del giornale, farebbe la cosa giusta. Poi nelle sedi opportune si accerteranno debitamente i fatti”.

Si indovina, insomma, un primo effetto del siluro di Feltri. La credibilità di Boffo, agli occhi dell’editore, non è la stessa di prima. E’ un omosessuale “condannato” per molestie. Non è degno di ricoprire l’incarico del giornale dei vescovi. E’ incompatibile, molti lo considereranno così, e non solo nella Cei. Le prossime denunce contro le leggi governative e i comportamenti del presidente del Consiglio, quelli che Boffo aveva tante volte stigmatizzato, risulteranno più fiacchi. E’ probabile che sia il preludio del defenestramento di Boffo, che avverrà a polemica più che sopita e in tempi non sospetti. Dopo la delegittimazione, sarà la seconda punizione per l’aggressività adoperata contro il premier.

Feltri, insomma, ha raggiunto lo scopo. Poi è esercizio puramente inutile quello di tentare di scoprire se il direttore del “Giornale” avesse ricevuto o meno l’ordine esplicito dall’editore – premier. Se anche questo non ci fosse stato, non è importante: Feltri è stato già direttore del “Giornale” per diversi anni, quelli della discesa in campo di Berlusconi, in un periodo altrettanto delicato per il Cavaliere. Conosce le necessità e i trucchi di quella posizione, non ha bisogno di essere imbeccato. E’ proprio per rispondere al fuoco della stampa “nemica” che è stato richiamato.

Un altro dato, interessante, a integrare quello precedente. Le parole del direttore dell’Osservatore romano, il quotidiano della Santa Sede. Spesso citato come organo del Vaticano, utile per leggere le posizioni politiche (tanto è vero che nel giorno dell’incontro tra Bertone e Berlusconi il primo si fece intervistare proprio dall’Osservatore per esibire un atteggiamento conciliante), lo si deve fare anche stavolta. Il direttore Gian Maria Vian ha commentato in un’intervista al “Corriere della Sera” sul mancato incontro dell’Aquila tra il premier e Bertone: “Si è trattato di un gesto concordato di responsabilità istituzionale da entrambe le parti. Tanto più che i rapporti tra le due sponde del Tevere sono eccellenti” quindi, ha assicurato “l’incontro dell’Aquila è saltato per non alimentare polemiche ma era stato previsto proprio per segnare simbolicamente un impegno comune, dello Stato e della Chiesa, per le popolazioni colpite dal terremoto”.

Vian non ha lesinato critiche al linea editoriale impressa da Boffo all’Avvenire: “Non si è forse rivelato imprudente ed esagerato paragonare il naufragio degli eritrei alla Shoah, come ha suggerito una editorialista del quotidiano cattolico” . Ancora: “E come dare torto al ministro degli Esteri italiano quando ricorda che il suo governo è quello che ha soccorso piu’ immigrati, mentre altri – penso per esempio a quello spagnolo – proprio sugli immigrati usano di norma una mano molto più dura? Mi sembra davvero un caso clamoroso, nei media, di due pesi e di due misure”. C’è chi ha detto che la sparata di Feltri su Boffo abbia causato, oltre che le ire di Berlusconi, una spaccatura insanabile tra questo governo e il Vaticano. Ma a leggere queste dichiarazioni, il più isolato appare proprio il direttore dell’Avvenire. E poi si è proprio sicuri che Berlusconi fosse proprio infuriato di dover rinunciare a un incontro che non aveva potuto organizzare con la necessaria maestria, una cena di gruppo su cui si sarebbe potuto facilmente ironizzare?

Feltri è andato a segno, quindi. Ma come? Qui si apre un altro capitolo. Si è accennato al fatto che alla notizia sia stata allegata una pseudo informativa che testimonierebbe della schedatura di Boffo come omosessuale. Il ministro dell’Interno ha smentito l’esistenza di un documento del genere, eppure il Giornale l’ha pubblicato. Ed è arrivato sulla scrivania di tutti i vescovi italiani. Nel primo caso, quindi, è servito a rafforzare l’azione di screditamento. Una volta appurata l’inesistenza del documento, poi, poc
o male: rimane la “ciccia”, quella che si voleva far passare. L’omosessualità del direttore di un quotidiano cattolico e il patteggiamento per molestie.

Nel caso specifico dell’invio della “bufala” ai vescovi, la questione si fa più delicata. E’ una vera e propria intimidazione. Confezionata da chi? Sono stati utilizzati, per la falsificazione, gli apparati di sicurezza, quindi a uso e consumo del presidente del Consiglio? Dice bene, e speriamo che alle parole ci sia un seguito, il deputato del Pd e membro del Copasir Emanuele Fiano: “E’ assai curioso che il Giornale di Feltri abbia pubblicato un documento la cui natura, come altri quotidiani hanno oggi rilevato, non sembra affatto ricondurre ad un testo di sentenza giudiziaria ma a qualcosa d’altro di cui non si capisce né l’origine, né l’autore, né il motivo per cui sia stata compilata. A questi interrogativi Feltri deve dare risposta ed è ovvio che, se la ricostruzione dell’origine e della natura di quel documento dovesse ricondurre a comportamenti illegittimi o illeciti di appari dello Stato, il parlamento dovrebbe intervenire immediatamente”. O il giornalista Marco Travaglio: “Sicuramente questo è un linciaggio, mi preoccupa la modalità del linciaggio”.

Linciaggio e raffinata guerra informativa. Il beneficiario esclusivo è sempre lui, il presidente del Consiglio.