LIBANO: HEZBOLLAH PENSA AL DOMANI

di Eugenio Roscini Vitali
da www.altrenotizie.org

Sono passati più di tre anni dalla fine della seconda guerra libanese, quella che lo Stato ebraico ha definito “una guerra dal risultato insoddisfacente” e che la commissione Winograd ha marchiato come il fallimento dei vertici politici e militari di Israele: “E’ grave e sorprendente – si afferma nel rapporto della Commissione – che l’esecutivo abbia approvato l’avvio di un’operazione militare il cui risultato non era scontato e solo dopo un dibattito di due ore e mezzo, senza conoscere la portata del progetto e senza che questioni di grande importanza trovassero risposta”.

Trentatre giorni di combattimenti, durante i quali Hezbollah rispose colpo su colpo alle Forze di Difesa Israeliane (IDF): trentamila i soldati impiegati dal Tsahal, l’esercito della Stella di David; quattromila i razzi katyusha lanciati dai miliziani sciiti; quindicimila le sortite effettuate dalla Heyl Ha’Avir, l’aeronautica militare di Gerusalemme; settemila gli obiettivi attaccati, inclusi i centri abitati di Beirut, Bint Jbail, Marun al Ras, Eita as Shab e di tanti altri villaggi del Libano meridionale, martellati per oltre un mese dall’artiglieria, dall’aviazione e dalle corvette della Marina militare israeliana.

Trentatre giorni di combattimenti che si sono conclusi con un “cessate il fuoco” approvato all’unanimità dal Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite (Risoluzione 1701 dell’11 agosto 2006), accettato dal governo libanese, da Hezbollah e dal governo israeliano. Una guerra costata la vita a 1191 libanesi e a più di cinquecento militanti islamici, 43 civili israeliani e 120 soldati dell’IDF; 800 mila i profughi libanesi, 350 mila le persone evacuate in Israele; danni alle infrastrutture che, nel solo Libano, ammontano a più di 10 miliardi di dollari. A ciò va aggiunto un disastro ambientale da 64 milioni di dollari, principalmente dovuto al petrolio riversato nel Mediterraneo orientale e alla nube tossica scaturita dalle 25 mila tonnellate di greggio andate in fiamme durante il bombardato della centrale termoelettrica di Jiyeh.

Come ha scritto Molly Moore sul Washington Post, il secondo conflitto libanese sarà sicuramente studiato dagli addetti ai lavori come un “modello di guerra che richiede nuove e senza precedenti definizioni su come combattere e come vincere”. E in effetti questo è stato sicuramente un conflitto che ha lasciato una traccia indelebile, un moderno concetto di guerra ibrida molto lontano da quella asimmetrica che gli Stati Uniti ed Israele hanno sviluppato negli anni novanta e che oggi sembra essere già vecchio. Un modello inadatto a scenari nei quali vengono coinvolti attori che, pur rappresentando uno Stato, hanno un modus operanti notevolmente diverso da quello usualmente adottato da un esercito regolare; un ambiente operativo al quale Hezbollah si era invece preparato con cura e del quale ha fatto un’arma vincente.

Solo qualche giorno dopo la morte di Imad Mughniyeh, lo stratega militare del movimento sciita assassinato a Damasco il 12 febbraio 2008, Hassan Nasrallah spiegava come, attraverso due guerre, Hezbollah ha costruito la sua forza: nel 2000, da un’iniziale forma di lotta che ha affiancato un vasto e spontaneo movimento popolare si è passati ad un’azione militare armata, organizzata e concentrata su specifici obbiettivi, per poi dare vita ad una forma combinata di combattimenti, più o meno convenzionali.

Scontri attraverso i quali la guerriglia ha acquisito una sorta di legittimo riconoscimento che gli ha permesso di trasformarsi da gruppo paramilitare ad esercito di resistenza; un esercito preparato a prevenire e combattere qualsiasi forma di aggressione e a diventare un vero e proprio punto di riferimento all’interno del Libano e del mondo arabo in genere.

Nell’ultimo conflitto le cose non sono andate diversamente e, anche se Israele ha nuovamente dimostrato la sua capacità di fuoco, bloccare un nemico ideologicamente motivato, abituato alla guerriglia e dotato una struttura d’intelligence e di armi moderne, fu praticamente impossibile. Ossessionato dalla difesa dei propri confini e con una scarsa conoscenza sulla capacità di combattimento e sull’organizzazione di Hezbollah, Israele diede il via a un’operazione altamente distruttiva ma scarsamente efficace.

E quando i risultati sono cominciati a mancare e i tempi si sono allungati più del previsto, tutto divenne più confuso. Dei cinque obbiettivi dichiarati all’inizio della guerra, Gerusalemme praticamente ottenne la sola riduzione della presenza delle milizie Hezbollah a sud del fiume Litani: non riuscì a restaurare la credibilità israeliana in Libano, persa con la guerra del 2000; non riportò a casa i due soldati sequestrati dai miliziani; non indebolì il potenziale bellico del movimento sciita e non distrusse la rete di comando e controllo costruita dagli uomini di Nasrallah con l’appoggio di Teheran.

Sul piano politico non incrinò il rapporto dell’organizzazione con i libanesi e non isolò il partito dal resto del parlamento. Al contrario, Hezbollah uscì dallo scontro più forte e radicato di prima: fermando l’avanzata israeliana, per gran parte della popolazione il movimento dimostrò la vulnerabilità di un esercito ritenuto da molti invincibile; dichiarare che nessuna azione di guerra sarebbe servita a liberare i soldati rapiti divenne così un sinonimo di vittoria, una vittoria “divina”, a prescindere dal risultato finale del conflitto.

Che Hezbollah sia uscito rafforzato dalla seconda guerra Libanese lo dimostrano due fatti: i 40 mila razzi ammassati al confine con Israele e l’invito di Saad Hariri a far parte del governo di unità nazionale. Sul fronte politico la mossa a sorpresa del figlio dell’ex premier libanese Rafik, assassinato a Beirut a febbraio del 2005, mette in discussione la vocazione “occidentale” di una leadership che aveva basato la sua vittoria elettorale su una strenua opposizione alle ingerenze iraniane in Libano e sulla necessità di disarmare Hezbollah.

Sul piano militare, l’intelligence israeliana denuncia ormai da tempo la fornitura iraniana ad Hezbollah di una struttura di difesa aerea composta da missili SA-18 e SAM-8 (alcune batterie sarebbero già arrivate in Libano) e di una serie di vettori balistici a corto raggio Fateh-110, aggiornamento dei Zelzal 2 che nel 2006 gli sciiti hanno usato per colpire le città israeliane di Hadera, Afula e la valle di Jezreel e che ora, con testata da 500 chilogrammi e un range di 200 chilometri sono in grado di colpire Tel Aviv.