Serbia, l’autunno caldo dei lavoratori

di Giulia Cerino
da www.peacereporter.net

”Mi domando se queste proteste non abbiano un che di positivo. Protestare significa che la società civile c’è e che i cittadini serbi stanno uscendo dalla ‘depressione’ in cui erano caduti dieci anni fa con la guerra, che hanno ricominciato a combattere, a partecipare alle proteste sindacali, a far sentire la loro voce e soprattutto a rivendicare i propri diritti di lavoratori e cittadini. Questo è un segno di ripresa. Forse un primo passo verso il soddisfacimento di quei criteri necessari in vista dell’ingresso nell’Unione Europea?”.

Goran Sadzákov, membro del consiglio municipale e della commissione per gli Affari Comunali e la Protezione dell’Ambiente di Becej, la quarta località più povera della Vojvodina, regione autonoma al nord della Serbia, commenta così la notizia delle proteste dei lavoratori serbi che, ormai da sei mesi, presidiano l’Agenzia delle Privatizzazioni di Belgrado. Oltre 300 operai della Zastava Elektro, una fabbrica di materiali elettronici nella città di Rača, municipalità del distretto di Šumadija, Serbia centrale, sono scesi in piazza chiedendo che il piano di privatizzazione venga annullato. A scatenare l’ira dei dipendenti hanno contribuito molti fattori. Primo fra tutti, da febbraio scorso, proprio in vista della privatizzazione prevista per il mese di agosto, la compagnia ha smesso di pagare i salari dei dipendenti stanziali, i rimborsi dei lavoratori in missione all’estero e le assicurazioni sugli incidenti sul lavoro. A questa situazione di malcontento se ne sono aggiunte altre. Da Niš, una delle città più antiche della Serbia, arrivano infatti le notizie della Niteks tessili e la Građevinar costruzioni. I dipendenti hanno bloccato le strade chiedendo di ricevere i mancati stipendi. Anche la fabbrica di dolciumi di Čuprija Ravanica e i lavoratori della 1.Maj (primo maggio) di Lapov chiedono il blocco della privatizzazione delle loro aziende.

Insomma, per le strade serbe che collegano le città con la capitale, si respira ovunque la stessa aria di protesta. Si contano circa 32mila operai in sciopero in circa 50 fabbriche e 180mila lavoratori che ancora non sono stati pagati. Questa volta i manifestanti non sembrano voler demordere. Anzi. I sindacati, prevedono il divampare di una lunga serie di proteste dei lavoratori in difficoltà, in considerazione del fatto che solo il 24 percento delle privatizzazioni in Serbia ha avuto esito positivo, mentre negli altri casi, gli impegni assunti nei confronti del personale sono stati palesemente violati. Per dirla con le parole della giornalista del settimanale Nin, Ruža Ćirkovićm, questi scioperi rappresentano ”un evento straordinario, perché non si erano mai visti scioperi così massicci per motivi sociali. In Serbia i grandi movimenti sono sempre avvenuti per motivi politici: contro o a favore l’indipendenza del Kosovo, per la cattura di Karadžić o per esautorare Milošević, ma mai per la difesa del posto di lavoro”.

A Ranko Dejanović, il nuovo padrone dell’azienda Zastava Elektro, nonchè marito della presidente del Parlamento di Belgrado Slavica Dukić-Dejanović (Partito Socialista di Serbia) ed ex rappresentante a Rača dello Jul (Sinistra Jugoslava), il partito di Mira Marković vedova di Milošević, viene imputata la grave situazione attuale. Pochi investimenti e la responsabilità della rottura del fortunato accordo, che faceva lavorare l’impresa, con la multinazionale polacca Delfi. ”Vogliamo che venga rescisso il contratto con Dejanović – dice dal presidio il rappresentante sindacale Slobodan Gaijć – siamo in grado di provare che la documentazione fornita dal management non è valida». Anche il governo serbo si è accorto della pericolosità dell’evento. E per questo negozia. Il governo di Boris Tadić ha fatto sapere che sarà adottata una legge che consenta il versamento dei contributi per la pensione di invalidità ai lavoratori dipendenti, e il raggiungimento di un accordo di partenariato sociale tra il governo, i rappresentanti dei sindacati e le associazioni dei datori di lavoro.

Il pacchetto di misure d’emergenza prevede la garanzia dell’assicurazione sanitaria, la prevenzione di abusi e di varie forme di criminalità economica dei singoli proprietari delle imprese privatizzate. Una serie di misure atte a prevenire il cosiddetto ‘autunno caldo del sindacato’. Per ora però, si tratta solo promesse che comunque non risolvono il problema. «A questo punto è lo stesso processo di privatizzazione ad essere messo in discussione, poiché generalmente sono le imprese privatizzate che non rispettano i contratti di acquisto, portano l’azienda al fallimento o non pagano gli stipendi». A dirlo è Ljubisav Orbović, segretario del sindacato Autonomo (Samostalni Sindikat). Secondo lui, infatti, la radice del problema risiede nella composizione e gestione dell’Agenzia delle privatizzazioni. «Nonostante le polemiche sulla poca trasparenza, resta un luogo di potere strategico. Tant’è che lo stesso premier serbo, Mirko Cvetković, ne fu direttore tra il 2003 e il 2004». Si pensi poi che, l’attuale capo del Cda della Zastava Elektro, presentato da Dejanović (l’attuale proprietario della Zastava Elektro), è l’ex direttore regionale dell’Agenzia, quella che doveva fare i controlli.