Il ventre molle della doppia morale

di Rosa Salamone (gruppo Varco-Refo di Milano)
da www.gionata.org

Un mio amico straniero sosteneva che l’Italia è la patria della doppia morale e che la doppia morale viene dalla presenza della chiesa cattolica. Cioè, tu pecchi, ti confessi, si ricomincia daccapo. Cosa che lo scandalizzava alquanto. Ma che in un certo senso, ammetteva, aveva consentito quel non so che tutto italiano, impastato di tolleranza verso la vita privata di uomini pubblici e non. Nulla di paragonabile alla rigidezza dei puritani o all’intolleranza di certo fanatismo religioso.

Tale forma di moralità aveva permesso ai suoi occhi papi dalla vita privata dissoluta ma che al tempo stesso erano stati i magnati dei più grandi geni artistici italiani. Michelangelo, Leonardo, Raffaello e tanti altri. Al mio amico, però, sfuggiva a mio parere un altro aspetto della doppia morale. Una parte attinente le relazioni umane. Infatti, se chi predica in pubblico determinate cose, tipo la corruzione è un delitto contro la morale prima ancora che contro la costituzione, e poi in privato razzola male, cioè è il primo a corrompere, allora la persona in questione diventa ricattabile.

Tutti stanno zitti finché il soggetto in questione non procura particolare fastidio, ma nel momento in cui infrange anche in modo timido lo status quo esistente, ecco che c’è la verità scomoda da tirare fuori. In un certo senso, tutti quelli che si avvalgono della doppia morale sono ricattabili e il sistema che ne viene fuori si alimenta di un muro di omertà e di minacce incrociate basate sul “ io so che tu sai ma anche io so”. Insomma, il ventre molle del lassismo, inizia a produrre certe forme noiose di gastrite. Gli omosessuali sono i primi a risentire di queste ulcere. In fondo, ci viene detto spesso: fai quello che vuoi in privato, ma non sbandieralo in pubblico.

Per favore, niente gay pride, di che cosa vuoi essere orgoglioso? A che vi servono le associazioni gay, mica siete una specie da proteggere? Avete le discoteche e i locali d’ambiente per scambiarvi carinerie perché farlo in pubblico? Tutto questo ha delle conseguenze sociali ben precise.

Primo: la negazione dello spazio pubblico. Spazio in cui manifestare, spazio in cui essere ciò che si è. Chi viola questo patto tacito è sottoposto a intimidazioni, violenze fisiche, aggressioni verbali di ogni tipo. E nel momento in cui ne è vittima, scatena l’idea mediocre e affatto cristiana: in fondo se l’è andata a cercare. A tali pregiudizi della doppia morale pubblica, le donne sono state sottoposte in modo continuo. Chi non ricorda le immagini di Processo per stupro, in cui la vittima doveva dimostrare di essere una brava persona visto che si era accompagnata spesso con diversi uomini? Le urla indignate dell’avvocatessa Tina Langostena ci ricordano che non era la vittima la persona sottoposta a giudizio ma gli stupratori? Forse gli omosessuali dovrebbero imparare dalle donne il modo in cui abbiamo in parte rimosso questo modo di fare.

La seconda conseguenza è che più si viene privati di uno spazio pubblico, meno si ha capacità politica di rivendicazione. I locali gay e lesbo, dove intrecciare le proprie relazioni, diventano spesso ghetti in cui si viene rinchiusi. Qui puoi fare quello che vuoi, fuori no. Questo spiega in parte anche certo odio nel mondo degli stessi omosessuali verso persone a loro modo di vedere o troppo checche, in ambito gay, o troppo butch in ambito lesbico. Ebbene, io penso che bisognerebbe dedicare un monumento alle checche e alle butch. Non fosse perché sono una continua dichiarazione di ciò che sono, senza finzioni ma con coraggio, contro l’ipocrisia della doppia morale. Cosa che non tutti hanno l’ardire di fare.

La terza conseguenza mi viene da testimonianze di amici e amiche cattoliche. Finché si confessa al sacerdote di avere delle scappatelle omosex, paradossalmente si viene perdonati. Nel momento in cui si confessa di avere una relazione stabile, duratura e continua con una persona dello stesso sesso si è scomunicati. Di solito i miei amici cattolici, cattolici adulti direbbe Prodi, non fanno caso a una simile posizione e non confessano neppure di avere una relazione omosex stabile con qualcuno, semplicemente perché non la ritengono un peccato. Ma vorrei chiedere, non è anche questa doppia morale?

Non me ne vogliano gli amici e le amiche cattoliche. Termino dicendo che la doppia morale ha conseguenze ben precise su quello che qualche tempo fa’ in un articolo si chiamò il sacramento della sincerità (Il sacramento del coming out. Liberi di essere) . Perché sacramento? Perché Gesù vive con noi e in noi nel momento della autenticità con noi stessi e con gli altri. Io non ritengo l’opzione una sincerità, ma uno stato spirituale, morale e fisico verso cui gradualmente procedere. Se siamo autentici, come ho scritto spesso, non siamo più ricattabili.

La menzogna ci tiene in uno stato continuo di paura, cioè in una condizione di peccato che non ci consente di essere ciò che siamo. Ne sono eco le molte testimonianze che giornalmente riceve Gionata. Chiamo questa condizione anche “fisica” perché nessuno meglio di noi può raccontare le depressioni, i malori fisici, i disturbi psicosomatici a cui una condizione di mancata autenticità ci trascina. Non credo ci sia un’età precisa per fare coming out. Credo ci sia un momento interiore ben preciso quando farlo.

Come una forza spirituale che ci dice che è arrivata l’ora. Non importa se arriva durante l’adolescenza o in punto di morte. Ci sono età specifiche per ognuno ed ognuna di noi. Ma bisogna arrivarci. Altro, devo dire è il caso dei molti omosessuali politici, teologi, uomini di chiesa e non, così pronti a schierarsi contro qualunque rivendicazione dei diritti omosex e che in privato conducono una vita, loro sì, di promiscuità omosessuale.

Ho letto in questi giorni, per il caso legato alle vicende del direttore dell’Avvenire Boffo, che non bisogna dimenticare come la chiesa cattolica condanni il peccato ma mai il peccatore. Questa distinzione, da protestante, io non so bene cosa voglia dire. Ciò che cambia è che da noi nessuno ha diritto di giudizio sull’altro. Non c’è un’autorità gerarchica ecclesiastica che stabilisce poi chi sia il peccatore. C’è solo la nostra coscienza. Per tanto siamo tutti peccatori.

Chi nega questo stato di fallacia è il vero peccatore. Faccio un esempio: se qualcuno come eterosessuale, solo per il fatto di essere etero, si ritiene meno peccatore di un omosessuale, per noi sta affermando un nonsenso. Soprattutto se questa persona, in pubblico, si permette in nome della sua cosiddetta superiorità morale che gli deriva solo dal suo orientamento eterosessuale di condannare gli omosessuali. Per noi è già qui l’incomprensibile. Senza bisogno di stare a scoprire, magari solo per ragioni di manganellismo e opportunità giornalistiche ricattatorie, se la persona in questione conduce o no in privato una vita da omosessuale.