La medicina e le mani di Dio Il giudizio della persona è centrale

di Carlo Maria Martini (Cardinale, arcivescovo emerito di Milano)
da www.corriere.it

«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito»: sono, secondo l’evangelista Lu­ca (23,46), le ultime parole che Gesù morente «grida a gran vo­ce ». Sono parole già presenti nel­la tradizione ebraica, dove figura­no nel Salmo 31, una sofferta pre­ghiera nella prova, che inizia con le parole «In te, Signore, mi so­no rifugiato; mai sarò deluso». Al verso 6 si trovano le parole fat­te proprie da Gesù morente: «Al­le tue mani affido il mio spirito; tu mi hai riscattato, Signore, Dio fedele». Ma molte altre nella Bib­bia sono le espressioni che indi­cano un abbandono dell’uomo nelle mani di Dio, come ad esem­pio il Sal 16[17],7: «Mi affido alle tue mani; tu mi riscatti, Signore Dio fedele». Nel Vangelo si può notare che Gesù, invece di invo­care il «Signore, Dio fedele», si rivolge al «Padre», il che dà all’af­fidamento una accentuazione di ancora maggiore fiducia e tene­rezza.

Noi sappiamo bene che que­sto concetto del «mi affido alle tue mani» è decisivo per ogni esi­stenza umana, a partire dal but­tarsi fiducioso del piccolo nelle braccia della mamma e del papà, fino a tutte quelle realtà a cui affi­diamo una buona parte della no­stra crescita e della nostra matu­razione, come la scuola, il grup­po di amici, le autorità civili e po­litiche, l’opinione pubblica e così via.

C’è oggi un’altra autorità a cui, più che in passato, noi sentiamo a un certo punto di essere «nelle sue mani». È l’autorità del medi­co, soprattutto quella che soprav­viene quando non siamo più ca­paci di aiutarci da soli nella no­stra vita fisica, quando si svilup­pano in noi malattie gravi, che ri­chiedono una cura competente e prolungata. Per questo il titolo dato al suo ultimo libro da Igna­zio Marino Nelle tue mani: medi­cina, fede, etica e diritti corri­sponde a questa esperienza di mettere, in certi momenti, il no­stro futuro e la nostra sopravvi­venza nelle mani di chi ha studia­to il corpo umano, le sue malat­tie e le sorprese che esso può ri­serbarci: quali sono in questo ca­so le mie giuste aspettative, quali i miei diritti e doveri, che cosa spetta alle autorità pubbliche, quali i dilemmi che il medico vi­ve in prima persona?

Emerge così chiaramente che quell’espressione «nelle tue ma­ni » non si riferisce soltanto ad al­tri, ma tocca anche in prima per­sona ciascuno di noi, che sente di essere «nelle proprie mani». Così vengono a collegarsi i due elementi, cioè la forza della me­dicina e il sapiente e prudente giudizio della persona. I progres­si dell’arte medica potrebbero portare avanti per molto tempo, usufruendo di macchine spesso complicate, anche una esistenza senza più coscienza né contatti con il mondo circostante, ridotta a pura vita vegetativa. Qui inter­viene il giudizio prudenziale non solo del medico, ma anzitutto della persona interessata o di chi ne ha la responsabilità, per di­stinguere tra mezzi ordinari e mezzi straordinari e decidere di quali mezzi straordinari vuole an­cora servirsi.

Il libro esamina tanta di que­sta casistica e lo fa non tanto con assiomi generali, ma con la me­moria di fatti avvenuti, di cui l’au­tore è stato testimone in prima persona. Una tale situazione in cui la vita fisica si trova in perico­lo è anche l’occasione per descri­vere da vicino i problemi e i di­lemmi che si pongono al malato come al medico e a tutti coloro che hanno a cuore il malato stes­so. Le enormi possibilità della scienza medica pongono non di rado di fronte a situazioni in cui è molto difficile stabilire che co­sa sia un «rimedio ordinario», cioè quegli strumenti che ciascu­no è tenuto, non per obbligo le­gale, ma per dovere e impulso in­teriore, a utilizzare, e che cosa si­ano invece quei «mezzi straordi­nari » che il malato o chi lo rap­presenta, può decidere per ragio­nevoli motivi, di utilizzare o di re­spingere. Nasce qui quella do­manda che vediamo emergere sempre più distintamente nel di­battito pubblico: fino a che pun­to può e deve spingersi la medici­na? Certamente, come afferma l’autore «è dovere del medico non accanirsi, sapersi fermare quando non c’è più nulla da fare anche se questo provoca frustra­zioni e sconforto». Ma quando si verificano questi casi, che vor­remmo ancora chiamare «estre­mi », in particolare quando «c’è uno stato che non solo impedi­sce di esprimersi e di relazionar­si col mondo esterno, ma blocca la coscienza e riduce la persona a un puro vegetare e tale stato si ri­vela, dopo un attento e prolunga­to esame, come irreversibile?».

L’autore cerca di informare il lettore di tutte queste realtà e queste possibilità, pubblicando anche i documenti relativi, talo­ra poco noti. Come narratore, egli ci fa partecipare ai suoi dub­bi e alle sue certezze, facendoci per così dire vivere come in pri­ma persona gli eventi narrati. Non si tratta solo di eventi riguar­danti l’interrogativo dei limiti della medicina, ma anche di fatti riguardanti per esempio le sfide della sperimentazione, in parti­colare dei trapianti. Dal tutto traspare una umani­tà e una onestà nel considerare i singoli casi che spinge alla fidu­cia nel mettersi «nelle mani» di tanti servitori della vita. Ciò però non esclude il rischio e la respon­sabilità che ciascuno deve saper assumere quando venisse il mo­mento di farlo. È così che chi sen­te il mistero di Dio incombere sulla propria vita potrà anche esprimere quella fiducia nelle mani del Padre, da cui siamo par­titi in questa breve riflessione.