Avvisaglie di nuove crisi finanziarie

di Mario Lettieri, sottosegretario all’Economia nel governo Prodi
e Paolo Raimondi, economista
da www.aprileonline.info

Se dopo le distruzioni del terremoto de L’Aquila il governo si limitasse a ridipingere le case, ci sarebbe una rivolta popolare. Per la crisi finanziaria globale che ha messo in ginocchio anche l’intera economia reale, invece, c’è il rischio che il prossimo G-20 di Pittsburgh si limiti a mere riforme di facciata

A quasi un anno dal fallimento della Lehman Borthers e dalla crisi delle banche e nonostante le consistenti immissioni di liquidità nel sistema bancario, è stato fatto talmente poco per correggere le perversioni speculative che le stesse istituzioni finanziarie internazionali, mentre salutano come “promettenti” dati economici orribili, sono costrette ad ammonire dell’arrivo di nuove e gravi crisi.

Un recente documento della Banca Centrale Europea, analizzando la situazione dei credit default sawps (CDS), esprime il timore “di un rischio sistemico per la stabilità del sistema finanziario” che sarebbe aggravato dalla natura interconnessa e dall’opacità di questo mercato.

Come è noto, i CDS sono contratti derivati che dovrebbero garantire da futuri rischi la solvibilità dei crediti. L’ultimo rapporto della Banca dei Regolamenti Internazionali indicava che, a seguito della crisi finanziaria, il numero e il valore nozionale di questi contratti CDS era diminuito già negli ultimi mesi del 2008, ma il loro Gross Market Value, cioè il costo per rimpiazzare i contratti esistenti, era drasticamente aumentato. Ciò significa che chi voleva assicurarsi sui rischi futuri dei crediti doveva pagare un prezzo molto più alto.

Ma la BCE rivela che sono dieci le banche più attive che controllano tra il 62 e il 72% di tutti i CDS e aggiunge che “i principali attori di questo mercato fanno affari tra di loro e garantiscono il debito delle entità finanziarie a cui fanno riferimento”.

In altri modi e in altri campi, è lo stesso principio su cui operavano le agenzie di rating che distribuivano ottimi voti alle banche dalle quali erano controllate!

Inoltre, il Wall Street Journal, con dettagliati argomenti, sostiene che in America stia maturando una nuova crisi dei cosiddetti CMBS col rischio di una bolla da 700 miliardi di dollari.

I Commercial mortgage-backed securities (CMBS) sono obbligazioni basate sui mutui per immobili commerciali, come hotel, capannoni, negozi, etc. Per gli immobili commerciali sono l’equivalente dei titoli emessi sui famosi mutui subprime concessi a privati senza solide garanzie per l’acquisto di case. La crisi del settore immobiliare e il crollo dei consumi e della produzione hanno fatto crollare i prezzi degli edifici commerciali anch’essi portati in precedenza alle stelle dalla speculazione.

La Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), l’istituto statale americano che garantisce i depositi bancari e interviene anche a sostegno delle banche in crisi, riporta che è in corso un peggioramento del numero dei crediti non soluti.

Nei primi sei mesi dell’anno i prestiti non onorati per un periodo di 90 e più giorni sono di oltre 100 miliardi di dollari, pari al 4,35% del totale, una cifra mai raggiunta in passato. Sono cioè crediti che tra poco potrebbero essere dichiarati insolvibili. La FDIC dice anche che le attività, gli assets, della banche americane sono scese di 541 miliardi di dollari nelle stesso periodo.

C’è poi la questione della bolla delle carte di credito che solamente in America arriva a 1.000 miliardi di dollari.

L’aumento della disoccupazione e la perdita di reddito delle famiglie non può che mettere in crisi questo settore delle “carte di debito” che, come è noto, è stato la base per l’emissione di obbligazioni poi “spalmate” con altri titoli tossici e piazzate sui mercati.

Un’analisi a parte merita il debito pubblico, cresciuto a dismisura in tutto il mondo.

Tremonti non ha torto a prendersela con quegli economisti, grandi chiacchieroni sia nel passato che nel presente, che tanta responsabilità hanno avuto nel giocare con la crisi. Ma oggi sono i governi, compreso quello italiano, che devono far sentire la loro voce e non lasciare carta bianca alle lobby finanziarie di sempre.

La bomba globale del debito pubblico

Un nuovo fantasma si aggira nelle stanze dei governi e nelle borse dei maggiori mercati mondiali: il debito pubblico! Nel giro di pochi mesi è cresciuto a dismisura come una classica bolla pronta a esplodere. Si va ad aggiungere alle altre mine vaganti della finanza internazionale che fino ad ora si è sottratta a nuovi e più stringenti regole e controlli

Negli Stati Uniti il debito pubblico nel 2009 aumenterà di 2.000 miliardi, il 22% in più in un anno, arrivando a circa 11.500 miliardi complessivamente.

Il PIL americano è intorno ai 14.000 miliardi, ma nei primi sei mesi dell’anno ha perso oltre 200 miliardi a causa della recessione economica che fa chiudere fabbriche, crea disoccupazione e riduce i livelli di vita della gente.

L’incidenza del debito pubblico dell’82% sul Pil americano sembra contenuta rispetto al livello italiano del 115%, ma occorre non dimenticare che gli USA vantano anche un debito privato di oltre 14.000 miliardi.

Si stima che nel 2009 l’Europa metterà sul mercato obbligazioni per 800 miliardi di euro. in massima parte per coprire i nuovi disavanzi.

In Germania il debito pubblico aumenterà di circa 200 miliardi. In Spagna il disavanzo è aumentato di 50 miliardi di euro in 7 messi e si teme che a fine anno possa salire all’8-10% del Pil. In Francia il ministro del bilancio calcola un aumento del debito del 10% nel 2009, pari a circa 130 miliardi di euro.

In Inghilterra, con un debito privato pari al 115% del Pil, la stampa denuncia che, a seguito delle nazionalizzazioni della Lloyds Bank e della Royal Bank of Scotland in crisi, il governo, accollandosi i loro titoli tossici, porterebbe il debito pubblico dal 46 al 150% del Pil! In Giappone il debito pubblico è già al 170% del Pil e aumenterà quest’anno di parecchie centinaia di miliardi di dollari.

In Italia da gennaio a giugno il debito pubblico è aumentato di 90 miliardi raggiungendo la vetta dei 1752,2 miliardi.

E le recenti proiezioni fatte dal FMI sul suo andamento nei paesi industrializzati sono ancora più cupe.
Non è quindi esagerato parlare di un aumento del debito pubblico globale nel solo 2009 di circa 4.000 miliardi di dollari che dovranno essere coperti da nuovi titoli dello stato.

Non siamo dei monetaristi che vedono nel debito pubblico una perniciosa interferenza dello stato negli affari economici. Al contrario, crediamo che esso possa avere un importante effetto di stabilità e di stimolo, ma soltanto se viene usato virtuosamente per sostenere e promuovere i settori dell’economia reale, a cominciare dalle grandi infrastrutture che richiedono investimenti di lungo termine.

Allo scoppio della Grande Depressione del 1929 il debito pubblico americano era del 17% del Pil. Salì al 40% nel 1934, al 43% nel 1938 e al 121% nel 1946 per il gigantesco impegno nella mobilitazione militare e nella ricostruzione.

Però sosteneva investimenti nella produzione, anche quella bellica, che poi ebbe ricadute positive nei settori dell’economia civile, per cui il debito venne poi progressivamente riassorbito.

In questi mesi invece si è creato nuovo debito pubblico, in maggior parte neanche per sostenere le spesi correnti, cosa di per sé già problematica, ma per acquistare titoli tossici dalle banche. Solo una piccola parte è andata ad aiutare in modo concreto l’economia produttiva.

A partire dalla situazione patologica americana, molti si chiedono quale sarà l’effetto a medio termine di tanto debito e di tanta liquidità sull’inflazione.

Inoltre, si stima che l’anno prossimo gli USA e l’Europa dovranno rifinanziare enormi quantità di Obbligazioni del Tesoro in scadenza, ri
spettivamente per circa 3.000 miliardi di dollari e per 300 miliardi di euro.

Anche l’Italia nei prossimi 12 mesi dovrà rimborsare oltre 320 miliardi di vari titoli di stato in scadenza.

E’ difficile non immaginare che simili movimenti non provochino serie turbolenze sui mercati e sui tassi di interesse.

Il debito pubblico e i titoli di stato sono strumenti molto delicati e pericolosamente devastanti se usati male. L’emergenza della crisi ha erroneamente spinto molti governi a farne uso in modo sbagliato, cioè quasi esclusivamente per salvare istituti finanziari in bancarotta. L’idea che lo stato sia il creditore di ultima istanza funziona e crea stabilità se non se ne abusa. Il default dell’Argentina avrebbe dovuto insegnare qualcosa!