KABUL, OTTO PESSIMI ANNI

di Raffaele Matteotti
da www.altrenotizie.org

Dopo otto anni di occupazione dell’Afghanistan la situazione è quantomai caotica e fallimentare. Il presidente Karzai, secondo l’ONU, ha truccato le elezioni, senza peraltro riuscirci troppo bene. E’ ormai fin troppo evidente che la situazione nel paese stia sfuggendo al controllo degli occupanti. Che Karzai alla fine riesca a vincere le elezioni oppure no, gli Stati Uniti affideranno il paese ad un governo parallelo, perché il presidente uscente ha ormai perso la fiducia di Washington e il suo principale concorrente ne ha ancora meno. Karzai peraltro non ha mai governato oltre la capitale, il soprannome di “sindaco di Kabul” se l’è assicurato proprio perché la sua autorità non si estende oltre i confini della capitale.

Nonostante l’aumentato impegno dell’amministrazione Obama è evidente che la situazione sia ormai compromessa oltre ogni rimedio e le notizie degli ultimi giorni aggiungono benzina alle critiche incendiarie rivolte all’intera operazione. L’invasione dell’Afghanistan decisa da Bush è stata chiaramente un passaggio interlocutorio per legittimare quella dell’Iraq e a lungo l’amministrazione Bush ha abbandonato l’Afghanistan a un’occupazione senza pianificazione e senza alcun sostegno reale alla ricostruzione del paese.

Anche l’avventura afgana, come quella irachena, sta naufragando nel disonore e sotto il colpo delle inchieste, ogni giorno si svelano nuovi dettagli e si mettono a nudo altre menzogne. In pochi giorni allo scandalo delle elezioni truccate si è aggiunto quello dei mercenari che costringevano a porno-iniziazioni i dipendenti afgani. I mercenari in Afghanistan sono più dei soldati americani, 68.000 contro 52.000 e, come in Iraq, il loro status e il loro operato sfugge ad ogni controllo. Dopo l’emersione dello scandalo, il Dipartimento della Difesa (DOD) americano ha mandato gente per controllare: guardie che sorvegliano altre guardie. Una realtà insostenibile, che si aggiunge ai rapporti sempre più numerosi su prigioni segrete, esecuzioni illegali, malversazioni nella (mancata) ricostruzione e sulla commissione di stragi di cittadini afgani attraverso bombardamenti quantomeno azzardati.

Anche un maldestro tentativo minore di propaganda si è risolto in un disastro. Qualcuno ha pensato bene di riecheggiare analoghe accuse proposte in Iraq, sostenendo che l’Iran fornisce ai talebani la “tecnologia” per gli attentati ai convogli della coalizione. La dichiarazione a un giornalista di un (uno) anonimo “capo talebano” che sosteneva l’ipotesi è diventata “di alcuni capi talebani” in un documento del DOD e poi verità vera sulla stampa occidentale. Ma poi si è “scoperto” che gli ordigni esplosivi che fanno saltare i blindati occidentali sono costruiti principalmente mettendo insieme due o più mine TC-6. Mine prodotte dall’italianissima Tecnovar e spedite a milioni dalla Cia in Afghanistan negli anni ottanta per contrastare i tank sovietici.

Prima dell’invasione gran parte dell’impegno “umanitario” occidentale in Afghanistan consisteva proprio nell’opera di sminamento, oggi i talebani attingono da questo arsenale sepolto e riutilizzano le stesse mine, che sono in vendita anche sugli scaffali di Peshawar e Quetta, gran bazar delle retrovie talebane in Pakistan. Non è neppure il caso di aggiungere che gli Ayatollah persiani sono da tempo fieri avversari dei talebani e del loro Islam “eretico”, le dimostrazioni fattuali rendono inutile il perdere tempo per obbiettare agli alfieri della propaganda a gettone su questo punto.

Se c’è un dato “positivo”, sicuramente figlio dell’impegno nella “guerra al terrore” è proprio quello dell’aumento della quota di mercato statunitense nel mercato delle armi. Quasi 38 miliardi di dollari (dai 25,4 del 2007) e una quota che supera il 68% del mercato mondiale nel 2008, un successone in tempi di crisi e a ruota c’è proprio l’Italia che, pur a distanza, si piazza al secondo posto con vendite per 3,7 miliardi di dollari, superando anche la Russia, solo terza, che non è riuscita a ripetere l’exploit del 2007.

Per il resto è notte fonda e non sembra che siano all’orizzonte idee in grado di illuminare la situazione o di prevedere un futuro migliore per il paese o per le sorti dell’occupazione, che a questo punto si può dichiarare fallita senza tema di smentita. Nessuno degli obiettivi espliciti o impliciti che hanno dato vita all’occupazione del paese è raggiunto o sembra raggiungibile in tempi inferiori ai decenni e l’occupazione si rivela sempre più costosa politicamente, economicamente e umanamente senza che il paese o gli occupanti riescano a trarne il minimo vantaggio. Si continuerà allora sul filo della propaganda a ripetere stancamente che questo enorme falò di vite e di risorse serve a questo o a quello, magari tirando in mezzo ancora una volta le povere donne afgane e la loro misera condizione o dicendo che siamo laggiù per “portare la democrazia” a un popolo ignorante che vive ancora organizzato in tribù.

Balle che si sapevano tali anche prima dell’invasione, ci sono parecchi paesi nei quali la democrazia è un miraggio e sono quasi tutti alleati di ferro dell’Occidente virtuoso, così come ci sono paesi nei quali la condizione della donna è ugualmente medioevale, l’Arabia Saudita su tutti, senza che la cosa turbi minimamente le coscienze dell’Occidente democratico.

Il fallimento dell’occupazione non significa però il suo termine, forze potenti continuano a ritenerla necessaria (a scopi inconfessabili) e continueranno a sostenerla a forza di menzogne ed ipocrisie fino a che non diventerà insostenibile per il collasso di uno dei tre campi di battaglia sui quali si sviluppa il moderno modello di guerra occidentale: quello strettamente militare, quello economico e quello mediatico. Fino ad allora saremo deliziati da pessima propaganda e gli afgani continueranno cercare di sopravvivere al caos di un’occupazione ormai insensata e alle violenze dei fanatici talebani, rinvigoriti proprio da quell’incapacità che lo stesso Occidente ha provveduto ad auto-certificare negli ultimi otto anni.