Afghanistan, una missione diversamente difensiva – DIBATTITO

di Stella Spinelli
da www.peacereporter.net

Alla faccia del tanto sbandierato articolo 11 della nostra Costituzione e dei detti non detti della politica

Non vola una mosca fra la gente che riempie la grande sala congressi del quartiere espositivo e congressuale di Firenze Fiera. È il primo giorno dei festeggiamenti del quindicesimo anno di Emergency, e si apre in bellezza. Il tema è caldo e vasto, un mare magnum: Afghanistan, una missione diversamente difensiva. A gestire il dibattito, il giornalista di PeaceReporter, Enrico Piovesana, più volte inviato nel martoriato paese asiatico, e a sostenerlo, cinque personaggi, cinque punti di vista, per dire, indistintamente, una sola verità: che in Afghanistan si sta combattendo una guerra, in cui i militari italiani sono sempre più coinvolti, attori principali in un conflitto, la cui fine è sempre più lontana. Alla faccia del tanto sbandierato articolo 11 della nostra Costituzione – L’Italia ripudia la guerra – e dei detti non detti della politica.

A parlare, Gianandrea Gaiani, il direttore di Analisi Difesa, esperto di faccende militari appena rientrato dall’Afghanistan, dove ha più volte seguito l’esercito nelle sue operazioni. Poi, Fabio Mini, un Tenente Generale dell’Esercito Italiano, che pur sostenendo le ragioni militari, non risparmia critiche alla missione, chiamando con il loro nome sbagli e difetti delle operazioni Nato, e sostenendo la bandiera della chiarezza in nome del rispetto delle regole. Quindi Marco Garatti, chirurgo di Emergency, di cui è Medical coordinator degli ospedali in Afghanistan. Infine Emanuele Giordana, giornalista di Lettera 22, esperto del paese e accompagnato da un medico afgano che entrerà nella discussione più avanti, con pacatezza e sintesi, e Nico Piro, giornalista inviato del TG3, che adesso si trova a Kunar, montagne afgane al confine con il Pakistan, e che per via telefonica ha cercato di raccontare quel che ha visto, sentito, annusato in un paese reduce da elezioni tanto attese quanto contestate, e che si trova nel bel mezzo dello sconcerto per inaudite stragi di civili a opera di bombardamenti Nato, le quali stanno facendo tremare ai vertici l’alleanza atlantica.

“Ho passato le ultime due settimane a Kabul per le elezioni – inizia così a raccontare Piro – I dati rinforzano il timore, in un paese già in ginocchio, dell’arrivo di una fase preoccupante. Si dà Karzai vincitore al primo turno, un governo già negli ultimi anni senza legittimità. E in più si parla di gravi brogli. Duemila denunce. Tanto che gli oppositori parlano di brogli mafiosi, eseguiti da apparati statali. Di queste denunce, 600 sono considerate importanti, tanto da mettere a rischio il risultato delle elezioni. E questo potrebbe obbligare al secondo turno. Inoltre, ulteriore anello di instabilità sono state le stragi di civili, l’attentato di oggi all’areoporto militare, il razzo di ieri sparato su una casa, in cui sono rimasti uccisi il padre, la madre e una bambina. E che dire delle prime ammissioni da parte Nato della strage di Kunduz (il 22 agosto un bombardamento ha provocato la morte di almeno 76 civli, ma c’è chi parla di 200 morti). E non dimentichiamo, che al di là dell’orrore per il numero di vittime, è significativo il fatto che questa dell’ovest del paese era fino a poco tempo fa un’isola felice, dove io per esempio sono andato un anno fa, da solo, con amici afgani, senza problemi. Ecco ora invece la strada principale verso Kabul è impraticabile. I talebani attaccano continuamente. Questo vuol dire che l’insicurezza si sta espandendo verso nord, zona da dove entrano i rifornimenti. Quest’insicurezza che dilaga è preoccupante”. Quindi un accenno, tra alti e bassi della comunicazione, alla gente: “C’è grande confusione, ma anche grande entusiasmo tra i tagiki per Abdallah Abdallah, lo sfidante di Karzai. Qui comunque è tutto precario, eppure gli afgani mantengono una voglia estrema di libertà. Questo mi colpisce. La voglia di continuare a credere tra mille difficoltà in un futuro migliore, pur non avendo idea di quale possa essere. Tra i giovani c’è un entusiasmo da pelle d’oca”.

I morti civili, dunque, in questi giorni tornano alla ribalta delle cronache, eppure, ricorda Piovesana, in Afghanistan come in qualsiasi altra guerra a morire sono sempre stati i civili, che sempre sono i sicuri sconfitti di ogni conflitto. Morti senza nome e senza volto. Ma di queste vittime si parla solo quando le telecamere occidentali si trovano costrette a riprendere, quando i giornalisti non possono più voltarsi dall’altra parte. Peacereporter da sempre cerca di tenere il conto di questa gente uccisa, di questi morti civili. Il risultato: cifre totalmente diverse da quelle Nato e anche da quelle Onu. “Cifre, purtroppo, non volti e storie – si rammarica Piovesana – anche se una manciata di sguardi li potete almeno vedere nel filmato girato nell’ospedale di Emergency a Lashkar-gah (e trasmesso durante il dibattito ndr)”. Le più attendibili di questo nostro conto parlano di 11mila civili afgani morti dall’invasione del 2001, e di questi, 7-8mila sono stati uccisi da forze Nato o Usa. E il 2009 è già uno dei più sanguinosi dall’invasione: 700 civili dall’inizio dell’anno. La dice lunga l’indifferenza dei nostri mass media”.

“I morti ormai sono tanti, troppi, è diventato impossibile contarli – interviene Garatti – Dopo l’interruzione del 2002, dal 2003 il conflitto si è impennato, con un numero di vittime, non mi importa se civili o talebani, straordinariamente rilevante. Questo è il dato certo, chiaro, visibile, ogni giorno. Tutti i giorni a Kabul c’è un ferito da mina o ordigno. La priorità assoluta per gli afgani è non tanto la libertà, ma la salute, è stare bene. Desiderio straordinario al quale è stato risposto in modo straordinariamente inadeguato. Oltre a farsi male di più, gli afgani sono curati molto peggio in media rispetto a tutti gli altri paesi. Questo è il dato chiave”.

Un dato che i mass media occidentali si dimenticano di sottolineare. È su questo gap dell’informazione che si sofferma Giordana, profondo conoscitore del paese. “Avevo saputo nel primo pomeriggio dalle notizie arrivate via sms che Karzai era arrivato al 54 percento dei voti, e quando ho sentito il giornale radio mi immaginavo che la notizia fosse almeno tra le prime. Invece no. Ad aprire il Gr c’era la morte di Mike Buongiorno, che ha raccontato certo un’epoca della Tv, ma che è anche stato personaggio criticabile. Ecco, gli è stato dedicato metà del tempo a disposizione, quindi altre notizie e in extremis l’Afghanistan. Cosa ci rende così lontani rispetto a un conflitto in cui investiamo un milione al giorno, tremila soldati, e tante energie? Questa guerra non viene raccontata. Le immagini girate da Piovesana a Lashkar-gah fanno parlare gli afgani, ecco: queste immagini non le vedrete mai nella nostra tv, perché le cose cattive di questa guerra non si possono raccontare. Su You Tube ho visto dei servizi che mi hanno colpito tantissimo. Al Arabya, al Jazeera, hanno mandato in onda video su come le forze occidentali agiscono nelle case dei civili in Afghanistan. Scene raccapriccianti. Persone anziane che raccontavano di essere stati denudati e violentati con un bastone nel retto. Ci sono prigioni afgane e la prigione di Bagram che sfugge persino alle convenzioni di Ginevra e i detenuti non possono essere dunque visitati”. Quindi un’ulteriore, amara, riflessione sulle stragi di civili: “Quando sono stati bombardati quei civili a Kunduz mi sono sentito responsabile. Il mio governo ha la responsabilità perché ha deciso di essere presente, e ora mi deve delle spiegazioni. E mi stupisco che nessuno dica: ‘basta sganciare bombe, perché uccidono i civili!’ “. L’applauso a questo punto scroscia. La platea, rimasta in sospeso, si scioglie e fa vedere da che parte sta.

Ma quanto l’Italia è veramente coinvolta in Afghanistan? Quanti soldi ci costa questa guerra? È quanto Piovesana ha chiesto a Gaiani. “L’Italia presto supererà i 500 milioni di euro l’anno. Sold
i che il nostro governo dà sia attraverso il ministero della Difesa sia attraverso gli Esteri. E sono dedicati anche alla ricostruzione dell’ovest. Dalle fognature, ai ponti, quindi scuole e ospedali sotto controllo Nato. Comunque, su 500 milioni, solo una decina va alla ricostruzione. Da ottobre, tutti gli italiani andranno nell’ovest, lasciando Kabul per proseguire quell’operazione importante appena avviata che consiste nel concentrarsi dove sono gli insorti, per scovarli. Sempre e comunque affiancando gli afgani nelle azioni offensive, perché altrimenti non possono attaccare. Ultimamente, gli taliani caduti sono stati due, uno per un malore e l’altro per una bomba, in otto anni, sono 15, di cui 8 uccisi dai talebani”. Quindi qualche riferimento alle armi in dotazione dell’Italia: “Mortai, elicotteri e aerei da guerra, Tornado, e tra poco potranno anche sparare con il cannone e poi dall’autunno potranno finalmente sparare bombe”. È gelo in sala. Il direttore di Analisi e Difesa si riprende: “Sì perché le bombe servono anche a salvare i soldati che rimangono intrappolati in imboscate. Quindi non uccidono solo i civli. In Afghanistan c’è una guerra”.

“È chiaro che l’Italia combatte e uccide. Usa carrarmati, elicotteri e forse userà dei bombardieri. Il tutto con una disparità enorme tra la spesa per la ricostruzione e quella per fare la guerra”, sintetizza Piovesana per poi dare la parola a Mini. Che affronta la questione talebani.

“Il talebano estremista religioso, che è contro gli occidentali perché sono occidentali, ora in Afghanistan è quasi scomparso. E lo si vede andando all’università di Kabul, che è uno dei centri piu avanzati di democrazia e discussione. Ecco mancano i talebani lì. Non ci sono. Almeno che non ce li facciamo tornare noi. Sono i giovani, le donne, la gente per bene che si impegna in politica che farà in modo che i talebani non riprendano campo”. Quindi una questione su cui il generale ribatte spesso, ossia il concetto di guerra di occupazione. “Difendo la parola guerra e la parola occupazione. Io ne parlo da anni di guerra in Afghanistan, non è un’operazione di pace, non stiamo ricostruendo, noi stiamo facendo una guerra. Stiamo per essere convolti in 3-4-5-6 guerre diverse per le quali non siamo preparati. Gaiani ha messo in evidenza che ci siamo attrezzati per una guerra, contro quelli che ci sparano, che potenzialmente ci potrebbero sparare. Non siamo attrezzati per l’altra guerra, quella che sovverte le istituzioni, la corruzione, a favore dell’alfabetizzazione. Per la guerra di ricostruzione vera noi come occidente non siamo preparati, ancora oggi dopo sette anni”. Quindi la differenza tra il concetto di occupazione e di liberazione: “Io difendo l’occupazione dal punto di vista del diritto internazionale.

La forza occupante ha più doveri che diritti, soprattutto verso la popolazione civile. Il diritto internazionale sancisce diritti e doveri, non c’è nessuna legge invece che parla di diritti e doveri dei liberatori. Quindi parlare di missione liberatrice nasconde gravi pericoli. È dal 1907 che ci sono i regolamenti dell’Aja sull’occupazione. Per questo difendo ancora il fatto che se c’è una forza militare che, come dice il regolamento dell’Aja, per il solo fatto che è lì è occupante, deve badare alla sicurezza, alla sopravvivenza, non deve sottrarre risorse e deve proteggere i civili. Per questo è meglio essere occupanti, che liberatori: i liberatori non hanno leggi scritte a cui sottostare”. Poi Mini parla della novità Obama: “Obama ha scritto una strategia molto sensata: una priorità, ricostruire, sanare il territorio (economia e democrazia) e poi cercare di dare stabilità. Cambiando il generale che comanda le due missioni Isaf ed Enduring Freedom ha dato disposizione affinché i soldati mettessero il piede sul territorio, in ogni zona. Fino a poco fa c’erano tante zone in cui i soldati occidentali non si erano mai visti se non bombardando”. Un accenno ai Prt, Provincial Reconstruction Teams : “I Prt sono stati inventati dagli Usa come elementi di raccolta di info e pressione. Questo è il perché i Prt sono militari. Approvo l’idea che i Prt passino ai civili e non siano più sottoposte alle logiche militari, ma forse ormai tutti quelli che hanno a che fare con i Prt sono militari, è forse troppo tardi. Herat, il nostro Prt, è esempio di equilibrio e umanità, ma gli altri no”.

Infine la rivelazione: “Lo scopo fondamentale, il center of gravity della missione non è la ricostruzione, o la pacificazione né la democrazia, è la salvaguardia della coesione della Nato in un momento di crisi della stessa. Questo lo scopo dichiarato. È lì esclusivamente per dimostrare che è coesa e lo scopo è essere insieme. Per cosa? Pochi se lo chiedono. Ecco perche gli Usa chiedono soldati in più. Pensate manchino loro le forze per far da soli? E voi credete che i nostri o i lituani siano importanti? No. È importante che nessuno si sottragga a un impegno Nato. Ecco perché vengono chiesti continuamente uomini agli alleati. Ecco perche si chiedono di togliere i cavilli politici che imbavagliano i soldati”.

È qui che Garatti si fa portavoce del pensiero di quasi tutti i presenti: “Sono contento – dice sarcastico – che i 500milioni di euro italiani siano spesi per salvaguardare la coesione Nato, alla faccia degli afgani. Questi soldi equivalgono a 65 progetti Emergency in Afghanistan, sono 65 volte centomila pazienti curati ogni anno. Sono 500milioni di euro spesi perché siamo convinti che se ci sforziamo un po’ di più possiamo uccidere di più? I talebani sono sconfitti, perché all’università di Kabul c’è apertura mentale? Io sto dieci giorni al mese in Helmand, nel profondo sud, e non c’è differenza tra cultura talebana e la normale percezione della vita a Lashkargah. Non li sconfiggeremo mai, quando potremmo dire di aver vinto? Quanta gente dobbiamo ammazzare? La ricostruzione è una priorità e non può essere affidata ai militari, perché percepiti come occupanti”.

“Se la nato preferisce dare 500milioni ai soldati invece che 50 a Emergency – ribatte il generale Mini – il problema è di sensibilità politica, non della Nato”.

“Ma generale, nove anni di occupazione militare per accendere la luce a Kabul, dov’è arrivata ieri?”, interviene Giordana, riprendendo una frase di Maso Notarianni. “Eppure adesso abbiamo una grande responsabilità. Non ce ne possiamo andare ora, senza una ricostruzione seria. Ma per prima cosa dobbiamo smettere di tirare le bombe. E proprio ora, quando persino gli Usa cominciano a dire di diminuire i bombardamenti, Frattini che dice? Mettiamo le bombe sui nostri aerei”. È ancora applauso e l’atmosfera si scalda.

“Colpire civili è l’errore – ribatte convinto Gaiani – E poi si uccidono civili perché gli insorti si nascondono tra i civili. Se escludiamo Kunduz, non sono stati denunciati morti civili, mentre negli ultimi 2 mesi sono aumentati i soldati morti e sono i mesi più sanguinosi per i militari. Le vittime civili in Afghanistan sono meno di quelle delle guerre del passato, per merito della tecnologia. Ogni vittima è ogni vittima di troppo se civile, va bene, ma le vittime civili stanno calando. E dato che solo pochi dei 42 paesi presenti, combatte davvero, la coesione Nato si sbriciolerà: non c’è alleanza vera, non c’è cooperazione. Se la Nato non vincerà, si sfalderà. I talebani ti prendono per stanchezza. Cinquemila morti all’anno per i talebani non cambiano nulla, per noi pesa anche un caduto. E loro vinceranno così. Eppure abbiamo combattuto guerre come queste ai tempi delle guerre coloniali e lo abbiamo dimenticato”. Il termine coloniali si diffonde tra il pubblico, e qualcuno esordisce: “Allora si tratta di una guerra coloniale, finalmente è uscita la verità”.

Parla anche il medico afgano, amico di Giordana. “L’unica cosa da accettare è che abbiamo perso la guerra. L’Isaf è fallita. E non lo diciamo solo noi afgani. E mi stupisce che qui nessuno parli della società civile. L’Afghanistan è distrutto fisicamente e culturalmente. Trenta anni di generazioni di guerra. È o
vvio che per stanchezza la perdiamo la guerra. In afghanistan non vincerà nessuno cosi. I russi sono diventati 200mila e poi hanno perso perché si sono stancati. E costava meno alla Russia quella guerra che alla Nato. Stiamo andando verso il fallimento. Dobbiamo costruire l’Afghanistan dal punto di vista della società civile. La gente che è al governo non sa governare. Non c’è classe dirigente, classe politica.

Sono passate tre ore, volate. Il pubblico interviene, qualcuno dice la sua. Qualche domanda aprirebbe altri scenari, altrettanto complessi e interessanti. Ma Piovesana, soddisfatto e contemporaneamente dispiaciuto di dover troncare una discussione tanto appassionante e finalmente vera sull’Afghanistan, saluta e ringrazia. Il tempo è scaduto.