L’Aja indaga sulla guerra in Afghanistan

di Daniela Greco
da www.peacereporter.net

La Corte penale interazionale ricerca prove su crimini di guerra commesi da Nato e talebani. Luis Moreno Ocampo, Procuratore Generale della Corte penale internazionale (Cpi), ha dichiarato mercoledì in una conferenza stampa che il suo ufficio sta raccogliendo informazioni su eventuali crimini di guerra commessi in Afghanistan da talebani e truppe Nato.

Tra gli abusi commessi vi sarebbero attacchi indiscriminati contro la popolazione, torture e l’aver causato effetti collaterali al di là di quanto possa essere considerato inevitabile. Ocampo ha precisato che il reperimento di evidenze, in questa fase, non è facile, ma il lavoro della Procura è facilitato dal contatto con diverse organizzazioni non governative arrivate in Afghanistan ben prima della Corte e da tempo impegnate nella denuncia degli abusi commessi sia dai talebani, che dalle forze dell’Alleanza atlantica. Il Procuratore ha poi precisato che ulteriori rapporti sono stati forniti dal governo afgano, e che ogni altro contributo di autorità straniere sarà benvenuto. Se i sospetti di crimini di guerra si dimostreranno fondati, la Procura potrà aprire un’indagine formale.

L’Afghanistan è uno dei peasi signatari dello Statuto di Roma e ha quindi accettato la giurisdizione della Corte. Un’eventuale apertura di indagini e le conseguenti, possibili incriminazioni non porterebbero con sè tutte le critiche dell’ultima, clamorosa mossa del Procuratore dell’Aja, l’incriminazione del presidente sudanese Al Bashir. A meno che, naturalmente, tra gli individui incriminati non comparissero ufficiali della Nato, in particolare statunitensi.

Nel 1998, gli Stati Uniti non hanno infatti ratificato il trattato istitutivo della Cpi, proprio per difendere le proprie truppe da eventuali procedimenti sovranazionli. E in almeno due modi potrebbero impedire alla Corte di incriminare militari statunitensi: iniziando un procedimento in patria che, in base al principio della complementarietà, bloccherebbe ogni procedimento della Cpi, o chiedendo al Consiglio di Sicurezza di intervenire “nell’interesse della legge”. Gli Stati Uniti, in particolare sotto l’amministrazione Bush, hanno fatto della difesa delle proprie truppe da indagini internazionali un caposaldo.

Inoltre, pare alquanto improbabile che, pur ammettendo un’apertura di un’indagine formale, la Nato nel suo complesso possa accettare che la Corte sottoponga a giudizio i propri uomini, indipendentemente dalla loro nazionalità. Con tutta probabilità, se evidenze a carico di qualche militare dell’Alleanza dovessero apparire impossibili da ignorare, i singoli uomini verrebbero piuttosto messi sotto processo da corti militari nei rispettivi paesi di origine.

Quel che appare rilevante, però, è la scelta di Ocampo, negli ultimi mesi, di annunciare decisioni che lo pongano nell’occhio del ciclone. Qualche mese fa, infatti, il Procuratore aveva dichiarato di aver iniziato ad investigare, su invito dell’Autorità Palestinese, la situazione di nella striscia di Gaza, con particolare riferimento all’operazione israeliana Piombo Fuso. Israele non ha però ratificato lo Statuto di Roma, rendendo in teoria possibile l’apertura di indagini solo in caso di un’alquanto improbabile richiesta del Consiglio di Sicurezza.

Eppure Ocampo ha ribadito di valutare la possibilità di aprire comunque un procedimento, affermando implicitamente la possibilità di riconoscere alla Palestina lo status giuridico di Stato, unico soggetto, secondo lo Statuto di Roman, capace di accettare la giurisdizione della Corte.

Al di là dei cavilli giuridici, una decisione del genere sarebbe tanto storica quanto problematica, per la Corte, che stando ad una precisa lettura del suo mandato non ha il potere di attribuire lo status di Stato indipendentemente dalle decisioni delle Nazioni Unite, che invece riconoscono alla Palestina unicamente lo status di osservatore.

Ocampo è stato spesso accusato di voler politicizzare la Corte, ma più probabilmente, dopo l’incriminazione di Al Bashir, queste mosse rientrano in un tentativo di migliorare i rapporti con i paesi arabi e di spingere le indagini della Corte al di là dei confini africani. Sebbene sia quindi prematuro dare il benvenuto ad indagini su crimini commessi da militari Nato (oltre che, naturalmente, dai Talebani) e dalle forze armate israeliane ai danni di civili afgani e palestinesi, il monito di Ocampo risulta comunque significativo: nessuno si ritenga al di sopra dei sospetti della giustizia internazionale. O almeno di quelli del suo Procuratore.