Afghanistan, una strage utile a chi?

di Domenico Moro
da www.aprileonline.info

Nell’attentato dieci i civili afgani morti, 55 i feriti

17 settembre. Oggi a Kabul sei militari della Folgore sono stati uccisi in un attentato condotto mediante l’uso di una autobomba. Altri morti che si aggiungono a una lista già troppo lunga. Questo attentato, comunque, per gravità è il secondo da quando l’Italia, a partire dall’inizio degli anni 90, decise di riprendere la conduzione di operazioni militari all’estero, a dispetto della Costituzione e dell’avallo del Parlamento. Solo l’attentato di Nassiriya, nel 2003, fu più sanguinoso, con la perdita di diciannove soldati italiani e nove civili iracheni

Allora Berlusconi era al governo e la reazione fu ispirata a una retorica patriottarda veramente fuori luogo che mascherava il fatto che i soldati italiani erano morti per una guerra inutile, visto che, come si seppe in seguito, le armi di distruzione di massa in Iraq non c’erano mai state. Ma, forse tanto inutili quei morti non furono, se si pensa che all’Eni erano stati promessi da Saddam Hussein importanti giacimenti dislocati proprio presso Nassiriya. Si trattava di vigilare su un diritto di prelazione. Quasi nessuno, a parte pochi, ribadirono il ritiro delle truppe italiane. Eppure, non molto tempo prima, c’era stato un possente movimento contro la guerra. Prevalse, invece, un clima da “union sacrè” bypartisan: “oggi non c’è spazio per le divisioni dobbiamo stare tutti uniti”. Quei morti ebbero, comunque, un funerale come mai dalla fine della seconda guerra mondiale, con una cerimonia (trasmessa in TV) che partì dall’Altare della Patria. I familiari dei caduti, invece, non ebbero e non sono ancora riusciti ad avere una medaglia al valore militare (come richiedono inutilmente da anni), perché, se concessa, si dovrebbe ammettere che i nostri non stavano lì per una missione di pace o per una missione di polizia internazionale, ma per fare la guerra.

Del resto, se gli attentatori ebbero buon giuoco a penetrare nelle deboli difese italiane fu perché da Roma era giunta l’indicazione che non solo bisognava rimanere imprudentemente all’interno dell’abitato, ma che non bisognasse predisporre misure che potessero isolare gli italiani dalla popolazione. Una situazione di guerra in Iraq allora, come è anche in Afghanistan oggi e all’epoca del governo Prodi, quando, a dispetto dell’evidenza, il ministro della Difesa Parisi si ostinava a negare in Commissione Difesa il coinvolgimento degli italiani nella guerra, e intanto mandava carri armati e elicotteri da combattimento.

Ora, come al tempo di Nassiriya, al governo c’è Berlusconi e il ministro La Russa si affretta a rispolverare il patriottismo e il piglio duro, affermando: “Infami e vigliacchi, non ci fermeranno”. Non ci fermeranno a fare che cosa? A pretendere di costruire sotto la minaccia delle canne dei fucili una democrazia all’occidentale in un Paese dove le recenti elezioni hanno rivelato brogli e irregolarità enormi, e dove la retorica democratica insiste a parlare in termini di partiti, exit poll, e marketing elettorale in una società dove le divisioni non sono su base partitica e ideologico-politica ma tribale? A pretendere di aiutare una popolazione in difficoltà e poverissima scaricandogli in testa le bombe dagli aerei in picchiata, come successo, malgrado tutti i buoni propositi di “conquistare le menti e i cuori” degli afghani, nell’ennesimo errore collaterale di qualche settimana fa? La verità è che se le truppe occidentali stanno in Afghanistan è perché si tratta di una zona di importanza strategica straordinaria al centro della massa euroasiatica. E, soprattutto, al centro del transito di petrolio e gas, specie quello dei ricchissimi giacimenti del Caspio.

Gli interessi in gioco sono soprattutto quelli degli Usa, che vogliono controllare attraverso l’Afghanistan i tre principali concorrenti emergenti del XXI secolo, Russia, Cina e India. Noi che ci stiamo a fare? Pagare un tributo di sangue sempre più alto e spese, che lievitano con l’aumento delle truppe in campo e di mezzi sempre più potenti, a quale scopo? Anche in Germania si stanno facendo la stessa domanda. La Spd in campagna elettorale sta promettendo il ritiro delle truppe tedesche dall’Afghanistan, e la Linke negli ultimi anni è cresciuta elettoralmente anche per la sua opposizione all’imperialismo e alla missione in Asia centrale.

Sembra di essere ritornati all’inizio del 900 (e del resto gli esperti militari parlano di expeditionary era), all’epoca della spedizione contro i Boxer, quando, con la scusa di reagire alla barbarie, le potenze europee e gli Usa aggredirono la Cina per depredarla. La civilizzazione dei barbari (il fardello dell’uomo bianco!), oggi declinata come esportazione della democrazia e liberazione delle donne dal velo, è sempre stata una buona copertura per il colonialismo.

Questa strage non deve diventare l’ennesima occasione per rinfocolare un militarismo, che, a quanto pare, è sempre vivo nel Paese della “brava gente” e che ci ha portato sempre sciagure. Deve diventare il punto da cui ripartire per rivendicare con forza il ritiro delle truppe italiane da una guerra che non è nostra, serve a interessi dell’elite economica Usa e che, oltre a costare sangue italiano, che nessun Kharzai merita, ci rende corresponsabili di una vera occupazione militare e delle stragi di civili afghani.