Nel giorno dei funerali, si invoca la pace

di Carta.org

La solenne cerimonia funebre per i sei parà uccisi giovedì a Kabul viene interrotta dall’invito a ritirare subito le truppe dall’Afghanistan. Un rapporto degli Usa, però, dice che in Afghanistan servono altri soldati e una nuova strategia, altrimenti si rischia «il fallimento».

Non è bastata la retorica del tricolore, né quella del lutto per gli «eroi», né le urla dei commilitoni della brigata Folgore. La macchina ormai ben oliata dei funerali di stato per i soldati italiani uccisi giovedì a Kabul dall’attacco di un kamikaze, non è riuscita a coprire del tutto il desiderio di pace che si rafforza nel paese. Durante la messa funebre, subito dopo il Silenzio suonato da un trombettiere, durante lo scambio del «segno di pace», un uomo ha preso un microfono e ha urlato «Pace subito». L’intervento del servizio di sicurezza ha riportato ordine tra la folla dei parenti dei sei parà morti e dei cittadini che assistevano alla cerimonia nella basilica di San Paolo fuori le mura, ma solo per poco.

All’uscita dei sei feretri, infatti, dopo un lungo applauso, sono partite urla contro Berlusconi. «Adesso ritirateli!» ha gridato una voce tra le migliaia di persone che attendevano all’esterno della basilica. «Quanti morti ancora?» ha fatto eco un’altra voce, sommersa dagli applausi. Umberto Bossi, che più volte ha chiesto di lanciare il «tutti a casa», ha ripetuto il suo pensiero ai giornalisti: «Li abbiamo mandati noi a Kabul e sono tornati morti – ha detto il ministro delle riforme e del federalismo ai cronisti assiepati davanti al basilica – Non è per questo che avevamo votato».

Le parole del leader della Lega, però, non sembrano destinate ad avere peso quando tra un mese circa il parlamento si appresterà a rinnovare la missione militare italiana in Afghanistan e a stanziare un altro cospicuo finanziamento. La missione in Afghanistan costa attualmente circa un miliardo di euro l’anno. Lo ha ripetuto ieri il ministro della difesa Ignazio La Russa, per il quale, «la missione non si cambia».

Qualche cambiamento, e non per il meglio, è invece invocato dal Pentagono. Secondo il rapporto del generale Stanley McChristal, comandante delle truppe statunitensi in Afghanistan, «la missione è destinata a fallire» senza un ulteriore consistente aumento del contingente militare internazionale. Nel rapporto, ottenuto dal Washington Post, il generale McChrystal scrive che «il fallimento nel riprendere l’iniziativa e nell’invertire il momento positivo per l’insurrezione nel breve termine [i prossimi dodici mesi] rischia di configurare una situazione nella quale la sconfitta dell’insurrezione potrebbe non essere più possibile». Più truppe, dunque, e subito. Altrimenti il rischio di una sconfitta dalle conseguenze gravissime diventerebbe molto più concreto. Da maggio, il numero dei soldati statunitensi in Afghanistan è quasi raddoppiato, arrivando a circa 68 mila uomini. Il generale, però, non si limita a chiedere più soldati.

Altri punti essenziali del rapporto riguardano le critiche alla Nato, preoccupata più di combattere la guerriglia che di proteggere i civili afghani, e al governo afghano, incapace, secondo il generale, di tenere a freno la corruzione e costruire delle istituzioni credibili. Senza un ulteriore sforzo in tutti i settori, scrive McChrystal, a partire dalla «costruzione della fiducia» dei cittadini afghani verso le truppe internazionali e le istituzioni nazionali, la guerra potrebbe avere un costo economico, politico e in termini di vite umane che la renderebbe insopportabile.

Il cambiamento, in realtà, è già avvenuto. Secondo gli ultimi sondaggi, il 51 per cento dei cittadini statunitensi è ora contrario anche alla guerra in Afghanistan. In Germania, la questione del ruolo delle truppe tedesche in Afghanistan è al centro della campagna elettorale, dopo la strage di Kunduz, quando gli aerei Nato hanno ucciso almeno 90 civili, per la richiesta di appoggio aereo arrivata dai soldati tedeschi. E anche l’Italia, finora uno dei paesi più decisi a «finire il lavoro» in Afghanistan, scopre, davanti alle bare dei sei parà, che la guerra è meno popolare di quanto non credano le forze rappresentate in parlamento.