I peccati di B. saranno espiati dai laici

di Paolo Bonetti
da www.italialaica.it

Per la morale cattolica il primo ministro italiano è più volte caduto in peccati mortali. Ma per quella ecclesiastica, ossia per la morale della Chiesa-istituzione, le sue colpe sono ben più gravi, perché di tratta di peccati politici che, se non gridano vendetta al cielo, la invocano, comunque, di fronte alla scandalizzata segreteria di Stato vaticana. I peccati religiosi si possono anche lavare, secondo la morale cattolica, con una confessione (Berlusconi ha già dichiarato pubblicamente di non essere un santo) seguita da qualche preghiera più o meno sincera, ma quelli politici richiedono ben altra e assai più pesante espiazione.

Il Cavaliere, a lungo guardato con indulgenza e benevolenza dalla gerarchie vaticane e perfino dal giornale dei vescovi, appena quest’ultimo si è azzardato a fare qualche prudente critica al suo stile di vita non proprio sobrio, ha subito reagito, per interposta persona, con una durezza che ha sorpreso dolorosamente coloro che lo avevano fino a quel momento sostenuto come il miglior rappresentante, in campo politico, dei valori cristiani. In fondo, che cosa mai gli chiedeva la Chiesa-istituzione? Di mettere in pratica, come hanno fatto per decenni tanti uomini politici democristiani, la vecchia massima gesuitica “nisi caste, saltem caute”, se proprio non riesci a comportarti come il catechismo ti impone, almeno le tue trasgressioni praticale con sobrietà e prudenza, tienile accuratamente nascoste, non dare scandalo alla comunità dei fedeli.

Essere cattolici secondo l’insegnamento del Vangelo non è semplice: l’esercizio della vera carità non consiste in quel facile sentimentalismo che ci permette di commuoverci sui dolori del prossimo, conservando tranquillamente tutti i nostri privilegi e coltivando, senza troppi scrupoli, i nostri egoismi. Ma essere cattolici, secondo la morale ecclesiastica che ha plasmato secoli di vita individuale e sociale italiana, è quanto mai accattivante, per non dire dolce.

Non per nulla l’espressione “dolce vita” è stata usata, per un suo film, da un geniale regista cattolico, che veniva dalla Romagna sanguigna e anticlericale, ma aveva trovato a Roma il clima morale più adatto per rappresentare al meglio lo spirito compromissorio della maggioranza degli italiani, la loro voglia di essere maternamente assolti senza mai davvero pentirsi dei loro peccati. In questo senso, chi meglio li può rappresentare di Silvio Berlusconi? Egli non fa mai i conti con la propria coscienza, tuttalpiù, attraverso il suo confessore e padre spirituale Gianni Letta, li fa con la Chiesa cattolica, ben sicuro che questa è pronta a perdonarlo sempre, purché si mostri obbediente alla sua autorità e accetti tutte le sue pretese.

Ben più del fascismo, che, fino almeno al Concordato del 1929, qualche velleità laicizzante effettivamente la ebbe, il berlusconismo rappresenta l’autobiografia della nazione, la sintesi ridanciana e grottescamente virilista di alcuni secoli improntati all’etica della doppiezza: doppia morale, quella proclamata in pubblico e quella praticata in privato, doppia politica, quella del rispetto formale delle leggi e quella della loro sostanziale violazione, doppio registro della virilità, quella vantata con gli amici al bar o con gli spettatori in televisione e quella bisognosa di sostegni chimici svelata dai farmacisti.

L’avvocato Agnelli era solito dire che gli italiani parlano continuamente di donne, ma pochi di loro parlano davvero con le donne. E in tutto questo, mai un problema di coscienza, un conflitto, un dubbio, un rimorso. Naturalmente, e per nostra fortuna, non tutti gli italiani sono così e molti di loro, pur non essendo “santi” come non lo è Berlusconi, qualche problema morale se lo pongono, qualche conflitto di coscienza lo hanno e cercano onestamente di far luce (non è facile) nel groviglio delle loro contraddizioni. Ma i più votano il Cavaliere perché egli, nelle questioni fiscali non meno che in quelle erotiche, rappresenta pienamente il loro permanente bisogno di facili assoluzioni.

Questa volta, però, il nostro primo ministro l’ha fatta davvero grossa, ha smascherato non la religione cristiana (che sta a un livello ben più alto), ma la Santa Romana Chiesa, l’ha messa impietosamente di fronte alle sue ipocrisie, alle sue reticenze e ai suoi compromessi. Adesso deve espiare, se non vuol perdere il consenso di quel mondo cattolico ufficiale che è stato, finora, uno dei pilastri del suo regime. Non scrisse lo stesso “Avvenire”, qualche tempo fa, che il programma del Pdl era molto più vicino alle esigenze della Chiesa di quello, pur moderatissimo e assai poco laico, del Pd? Purtroppo, come è nel suo carattere e nel suo costume che tende allo scarico di ogni responsabilità, Berlusconi ha già individuato i modi di un’espiazione che per lui non sarà dolorosa, ma costerà terribilmente cara agli italiani, credenti e non credenti, sinceramente laici.

La prima tappa della via crucis (ne seguiranno molte altre, dal finanziamento alle scuole private alle esenzioni fiscali, dallo status dei professori di religione alla legislazione sulle coppie di fatto e alle questioni della contraccezione) che egli si appresta ad imporci sarà quella dell’approvazione della legge sul testamento biologico varata dal Senato e graditissima alla Chiesa. E’ una legge che offende alla radice la libertà di noi cittadini in ciò che la coscienza ha di più intimo e irrinunciabile, la facoltà di scegliere il modo in cui affrontare la malattia e la morte.

In tanto parlare che si fa, da parte dello stesso Berlusconi, della libertà di coscienza, quella che nella legge manca è proprio la coscienza, che è tale solo quando può scegliere. In quanto alla Chiesa di Roma, che è in primo luogo un organismo politico, resta più che mai valido quello che Dante scrisse in epoca così diversa dalla nostra e tuttavia così simile:quando si tratta di difendere il suo potere sui nostri corpi e sulle nostre menti, la Chiesa-istituzione non esita a puttaneggiare coi governanti e a far mercato del nome di Cristo e della sua parola.